“il rispetto delle regole” di Massimo Fagnoni


«Cercando di mantenere la calma lei dovrebbe tentare di spiegare l’accaduto».
«È stato un incidente».
«Questo lo sappiamo, è evidentemente un incidente e non è l’informazione che ci serve, lei era sobrio, le analisi del sangue non hanno riscontrato la presenza di sostanze stupefacenti nel suo sangue, ma riconoscerà con noi la particolarità dell’incidente».
«Ho perso il controllo del veicolo».
I due agenti della municipale si guardano, sono stanchi, hanno dovuto compilare moduli, ricostruire la scena del sinistro, il loro superiore ha avuto l’onere di informare la famiglia delle vittime e la situazione non è ancora definita, troppi lati oscuri e troppi testimoni.
Loro non sono sbirri, non sono abituati agli interrogatori, non hanno l’esperienza delle salette con i vetri specchiati dove da una parte si piange e si confessa e dall’altra si scruta e si confronta.
Gli agenti della municipale rilevano incidenti, a volte arrestano ladri e spacciatori, assassini al volante certo ma solitamente ubriachi o drogati, non hanno esperienza di persone apparentemente normali, come il soggetto che hanno davanti.
«Ricapitoliamo signor … Vecchi» mormora lento Marco Paggi sovrintendente a due anni dalla pensione, un’esperienza di motociclista, una saggezza ruvida di pulismano bolognese, uno che non coglie le sottigliezze della follia, al massimo le blandisce durante un trattamento sanitario, ma Giacomo Vecchi non sembra matto, occhialini senza montatura, fisico asciutto, Lacoste azzurra e capelli castani, sembra uscito da una pubblicità del Mulino Bianco, unica nota stonata un piccolo taglio sulla fronte che si è procurato durante l’incidente.
«Lei era nel parcheggio dell’Ipercoop Lame, immagino fosse lì per fare la spesa».
«In realtà dovevo  andare da Game Stop per acquistare un nuovo gioco per l’xbox one uscito da poco».
L’agente annuisce, conosce l’xbox perché suo figlio, quello che vive con l’ex moglie, è appassionato per i giochi, spara spara, ammazza ammazza, li definisce lui e considera il figlio un simpatico ritardato, ma è carne della sua carne e quindi gli perdona quasi tutto, però non si capacita di come il trentenne che ha davanti possa avere la stessa insana passione.
«Bene e …».
«E mentre cercavo il parcheggio, colpa forse il caldo umido e afoso, la stanchezza, sa io lavoro di notte, e un momento di distrazione, invece di schiacciare il pedale del freno ho schiacciato l’acceleratore ed è accaduta la tragedia».
Non un’emozione traspare dalle sue parole, il viso rimane immobile, non una lacrima di disperazione o un movimento inconsulto della mani, non una parola per le vittime, come se stesse raccontando di come per sbaglio è passato con il rosso o ha dimenticato di obliterare il biglietto sul bus.
«Può attendere qualche minuto per favore?» domanda Paggi.
L’uomo annuisce e accavalla le gambe, l’agente fa un cenno al collega più giovane e insieme escono dalla stanza, appena fuori l’anziano afferra il collega più giovane per un braccio e quasi lo trascina a pochi metri dalla porta, senza perderla di vista.
«Questo è matto …».
Il collega più giovane lo guarda inclinando appena il capo, capelli neri, occhi scuri, fisico scolpito da ore di palestra, potrebbe essere suo figlio, quasi.
«A me sembra a posto».
Il vecchio avvicina il viso e mormora nelle orecchie dell’altro.
«Ma non vedi che è autistico? Non esprime un’emozione, sembra sia qui con la delega dell’investitore, ti sembra uno che perde il controllo di qualcosa? Uno che si fa cogliere da un colpo di sonno nel bel mezzo del parcheggio di un centro commerciale? Ma hai visto o no le immagini delle telecamere?».
«Certo, si vede il suo Range Rover girare intorno al parcheggio, entrare nel breve rettilineo e …».
«E accelerare ecco … con tutta l’intenzione di centrare l’obiettivo».
«Se hai notato bene la sagoma all’interno dell’abitacolo, si nota con certezza che l’autista ha come un mancamento, il movimento del collo, in avanti, tipico del colpo di sonno».
Il vecchio agente guarda il giovane, la mascella quadrata, gli occhi scuri e remoti, la pelle abbronzata di lampade, lo vorrebbe afferrare per il bavero della camicia azzurra e scrollarlo per mettergli in movimento i neuroni residui, ma si rende conto che sarebbe una battaglia persa, meglio farebbe a colpirlo con un gancio e stenderlo lì quel coglione, tanto bello e sicuro quanto ottuso.
«Non si reagisce in quel modo davanti alle proprie responsabilità … non è normale» riesce a dire con la voce strozzata dalla rabbia.
«Ti devi calmare Paggi, ti si alza la pressione, probabilmente è ancora sotto shock, lo sai che in questi casi la consapevolezza arriva solo dopo, magari stasera crollerà».
Paggi sbuffa, fa un passo indietro e respira lungo, poi guarda il collega che rimane lì, con le mani piantate sui fianchi a guardarlo con un sorriso sornione.
«Ma sì hai ragione, devo pensare alla pressione e poi, noi non siamo mica sbirri, a proposito ha precedenti il tipo?».
«Immacolato».
«Torniamo dentro gli facciamo una bella elezione di domicilio, sequestro dell’auto che in ogni caso è da buttare e che vada a farsi fottere».
Alle cinque di sera Giacomo Vecchi esce dal comando della Polizia Municipale bolognese, dovrà sostenere un processo, per un po’ non potrà guidare l’auto, e il suo avvocato avrà un nuovo incarico, ne valeva la pena? Giacomo rivede la scena.
Era arrivato al centro commerciale verso le undici, voleva solo un caffè, perché davvero era stanco e forse anche leggermente nervoso, il gioco che sta facendo gli toglie il sonno, ma può smettere quando vuole. Il gioco si chiama Dead Island e la parte che gli piace di più è quella a bordo di un grosso blindato in giro per l’isola a investire zombie.
Era appena sceso dal suo suv e l’Audi lo ha sfiorato e si è fermata inchiodando sul passaggio pedonale, Giacomo normalmente avrebbe ignorato il comportamento incivile, ma la stanchezza e l’adrenalina a volte inducono a comportamenti atipici.
Giacomo ha raggiunto l’uomo, un corpulento cinquantenne che velocemente stava avviandosi verso i negozi tenendo per mano una bella ragazzina di dieci forse dodici anni e lo ha toccato lieve sulla spalla ipertrofica.
«Mi perdoni signore ma la sua auto, non può lasciarla sul passaggio pedonale, impedisce il transito ai disabili».
L’uomo si è voltato lento, ha squadrato Giacomo dal suo metro e novanta di energia compressa e ha sorriso.
«Fatti i cazzi tuoi se vuoi arrivare a stasera … vivo» poi ha ricominciato a camminare.
Giacomo è rimasto immobile a guardare i due allontanarsi e forse davvero avrebbe dimenticato il suo improvviso slancio di senso civico se non fosse stato per la ragazzina, bionda, dolce, innocente.
Lei si è girata verso di lui e gli ha sorriso, ma non era un sorriso di comprensione o un tentativo di scuse, era il sorriso di chi ha già interiorizzato che il mondo è degli animali come suo padre, di coloro che si muovono nel mondo come razziatori.
Giacomo è rimasto immobile e li ha guardati scomparire in qualche negozio mentre dentro qualcosa di inarrestabile stava già montando, e insieme alla rabbia, alla determinazione, si stavano delineando i possibili scenari, le conseguenze, ciò che il suo comportamento successivo avrebbe comportato.
Ha sbagliato di un’ora, lui aveva previsto che sarebbe uscito dal comando verso le diciotto.
Sbadiglia, è stanco e ha già deciso, quel gioco … meglio disinstallarlo, in fin dei conti è assai ripetitivo, meglio, molto meglio la realtà, lei non ti delude mai, anzi spesso ti sorprende.

 


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