I drabbles di Roberta Marinucci (prima parte)


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LO SGUARDO
Lo spartano camerino di prova aveva un piccolo sgabello: Rosalba vi gettò i pochi indumenti indossati, rigirandosi poi davanti allo specchio, del tutto nuda.
Si era accorta degli occhi vogliosi che la spiavano dietro la tenda poco accostata.
Infilò con studiata lentezza reggiseno e tanga di pizzo color malva:
un’increspatura della tenda la convinse a scartarli, a favore dell’impalpabile babydoll blu.
Sentì una silenziosa approvazione accarezzarle la pelle.
“Prendo solo questo” disse all’uomo, uscendo dal camerino.
“Peccato, quel perizoma…”
“Non voglio farti spendere troppo, dai!”
“Che donna assennata sei, tesoro!”
E si avviarono ridendo verso le casse.

 

LE STELLE DI SAN LORENZO
Erano saliti per la stretta stradina fino al belvedere:
“Da quassù le vedremo benissimo, le stelle cadenti!”
Lei lo aveva seguito, un po’ incerta sulle sue scarpette,
fingendo di voler davvero guardare il cielo.
Sfiorati dai rami delle acacie arrivarono in cima:
così, il braccio di lui contro il cotone giallo del vestito,
rabbrividirono di fronte al vuoto.
Lui aspettava il momento giusto per baciarla,
ma non è facile quando hai sedici anni.
“Troppo timido” disse uno degli angeli.
“Diamogli una mano” sorrise un altro.
Una manciata di meteore gettate in quell’istante:
“Eccole! Guarda che belle!”
E bacio fu.

 

LE NOTTI DI PRISCILLA

Tornarono alle due di notte, allegri, incespicando nelle risate su per le scale.
Congedò tutti schioccando baci colorati di rossetto vivace.
Una volta chiusa la porta, calciò via le scarpe dal tacco altissimo e sfilò il vestitino a fiori.
Via le calze, il reggicalze di pizzo, il perizoma, il reggiseno dalle coppe imbottite.
Via la parrucca da rossa fatale.
Iniziò a struccarsi.
Il fondotinta coprente veniva via, rivelando le sue fattezze virili
Un’ombra di barba lo riportò alla sua vera natura.
Si sarebbe rasato l’indomani mattina prima di recarsi in ufficio:
c’era la solita noiosa riunione mensile.

 

SCINTILLE GELATE
Busso alla porta della centodue: ho il vassoio con la bottiglia, i bicchieri, il secchiello del ghiaccio.
Mi apre lei, annodando la cintura della leggerissima vestaglia: indugio un attimo di troppo sui seni che ammiccano in trasparenza.
Prende sorridendo il vassoio.
Un sorriso troppo intenso per un semplice sollievo alla sete.
Dietro la porta immagino i cubetti del ghiaccio, che lui fa scivolare su quel corpo liscio da dea,
disegnando cerchi di gocce intorno ai capezzoli rosa.
Un cubetto scende deciso, si lancia sul monte di Venere: vorrei sciogliermi così anche io…
Va bene, devo portare la frutta alla duecentosedici.

 

IL MARE DU LUISA
È sempre bello il mio mare, pensò, guardando la distesa scintillante che si faceva trasparente verso la riva. Bella la sabbia così chiara che faceva da cornice al telo scuro, telo che faceva da cornice al corpo felino di Vittorio.
Sonnecchiava riverso bocconi, con l’avambraccio piegato davanti a sé a fare da cuscino.
La torsione della spalla metteva in risalto i muscoli giovani, i capelli bagnati rigavano il viso 
un po’ imbronciato.
Chissà che sognavi, amore mio.
Rimise nel cassetto le foto in bianco e nero.
Dalla finestra, alla casa di riposo, poteva ancora scorgerlo, uno spicchio di mare.

 

IL SEDUTTORE
Alto, bello, fisico perfetto.
Vincitore nell’eterna partita della seduzione, Maurizio, mai soddisfatto, cercava sempre nuove prede
da far capitolare.
Quando il suo direttore adornò il proprio ufficio con una biondissima, slanciata assistente dalle ciglia ondeggianti, Maurizio si fiondò nella nuova sfida.
Sguardi, messaggi, una rosa sulla scrivania.
Un invito per l’aperitivo.
L’assistente accettò con finta timidezza.
Ho vinto ancora, canticchiava a se stesso parcheggiando l’auto sportiva.
“Grazie!” sussurrò lei di fronte ai calici del vino.
“Così sarà contento il direttore… sai è così geloso di sua moglie:
con te intorno, non sospetterà di me e lei.”

 

SUL TETTO
Restava fino a notte inoltrata sul terrazzino che guardava verso le montagne.
A una certa ora si spegnevano le luci e i rumori del quartiere: restava solo lei lassù, una luna non grande e neppure liscia e argentea come volevano i poeti, però vera, di luce giallina un po’ sporca, con quelle macchie immutabili, rassicuranti lineamenti da viso amico.
Da bambina sognava di poterla toccare, la luna: bastava allungare la mano, agitandola per dissipare le nuvole intorno.
Adesso era grande, aveva dei figli e troppe nozioni scientifiche.
Ti toccherò lo stesso, sai.
Quando sarò soltanto energia, volerò fino a te.

 

LA PARTENZA
Un bel commiato, niente da dire.
Solenne cerimonia, parenti afflitti.
Anche quelli che di fatto l’avevano spinta all’inevitabile. 
Lui era al funerale: si, lui, lo storico amante che sembrava sincero nelle sue lacrime, quasi più di suo marito.
Che cari, piangevano per lei.
Troppo tardi: fine trasmissione.
Si stava allontanando rapidamente dalla Terra l’astronave rettiliana che l’aveva sottratta durante il volo dal cavalcavia.
Rettiliani efficienti: avevano lasciato in terra un cadavere artificiale per quei dannati umani, capaci di rivoltare la galassia per la scomparsa di un esemplare ignorato fino ad allora.
Bella specie siamo, rise lei.

 

BLACK OUT
Una goccia, due gocce si erano staccate dal bordo inclinato della candela bianca, precipitando sui seni.
Un piccolo sussulto di lei le aveva rapprese. 
Un piccolo gemito di piacere aveva dischiuso le sue labbra.
Una goccia, due gocce.
La mano di lui, sollevata, guidava lentamente la candela verso il pube rasato, teso.
Bendata, lei non poteva vedere la fiamma, ma avvertiva netto sulla pelle il desiderio.
Desiderio che si scioglieva in ogni piccolo punto infuocato.
Un ronzio molesto.
Cercò il telefono a tentoni: l’inquilino del piano di sotto.
”L’elettricista ha riparato tutto, potete riattivare la corrente.”
Proprio adesso, accidenti.

 

CATTEDRALE
L’avevano avvistata da lontano, in quella spianata arida e sassosa.
Un imponente gioiello di pietra bianca lustrato dal vento.
Guglie taglienti, pareti lisce come facce di prismi di quarzo.
Tutti e cinque-esploratori audaci e spensierati-in timoroso silenzio, scrutandosi a vicenda, adesso
si apprestavano a varcare una delle tante entrate.
Colonne nude, imbiancate dalla luce; altre pareti, altri passaggi che di certo portavano al centro,
al cuore del segreto.
Avanzavano lentamente ma con passo continuo, verso la grande scoperta, verso la verità.
Si fermarono però agghiacciati, come sull’orlo di un abisso, sbucando in una immensa, immacolata, abbagliante sala vuota.

 

IL PECCATO
Si erano riuniti nella vecchia abbazia diroccata, in cima al colle.
Lontani dal frastuono, dai colori della città.
Lontani dagli echi della rete.
Erano pochi: ne sarebbero rimasti sempre meno, assediati dal pragmatismo, dall’efficienza,
dalla scorrevole banalità.
Loro erano un inciampo, una stonatura.
Uno sbaglio.
Erano i nuovi peccatori, che seduti in circolo si scrutavano, stupiti di scorgere negli altri volti la loro stessa colpa.
”Iniziamo.” Esordì l’uomo magro dai capelli rossicci.
Tutti tirarono fuori i loro quaderni.
A turno, sommessamente, recitarono i versi.
Gli occhi sgranati: per la prima volta pronunciavano ad alta voce le loro poesie.

 

UN ANNO PRIMA
Non voleva ricordare: preferiva annegare la noia ricorrendo al ripiano dei CD, un film dopo l’altro. Tuffarsi in esistenze finte per dimenticare la sua.
Non che stesse così male, era questo il punto.
Né gioia né dolore, soltanto vuoto: una palude immobile e nera dentro, che rendeva incolore anche l’esterno.
Un anno fa, a quest’ora, stavamo correndo sulla spiaggia, gli unici due pazzi in quel vento salino.
Che bella pazzia baciarsi con le labbra gelate.
Non mi manchi tu, no.
Mi manca la corrente impetuosa del sangue nelle tempie.
Mi manca quello che ero io con te.
AMICHE
Era colpa di Valeria.
Per settimane aveva magnificato Maurizio:
è bello, è intelligente, è affascinante, è gentile.
Avrebbe saputo accendere l’invidia anche nell’animo di una santa.
Arianna, che santa non era, se lo fece presentare con fare innocente.
Una telefonata fatta “per sbaglio”, un messaggio, un incontro “casuale” al bar sotto l’ufficio di lui.
Maurizio la portò a letto nonostante i sensi di colpa.
Sei un ciclone, sussurrò dopo lei, estasiata.
Il giorno seguente lui le mandava messaggi infuocati.
Arianna, a pranzo con Valeria, lasciò casualmente il telefono in vista.
”Che porco, Maurizio…” e sorrise all’amica.
UNA SERATA TRANQUILLA
Stava acciambellata sul divano, con un vecchio pigiama sformato e una tazza di latte tra le mani:
mancavano due gatti, poi sarebbe stata il perfetto ritratto della single patetica.
Solo che non era single.
Lui stava per uscire con gli amici, cinema d’autore.
Gli amici, la partita, le cene di lavoro: ogni scusa era buona per evadere da lei.
La baciò frettolosamente passando per uscire.
Lei ascoltò il rumore dell’ascensore.
Sollevata.
Sfilò il pigiama, rivelando il corsetto fetish e le calze nere: inviò il messaggio.
Dal piano di sotto salirono gli altri: festino piccante a quattro, quella sera.

 

NOE’
Il nuovo diluvio si preannunciava più lungo del precedente e il nuovo Noè era in serie difficoltà.
Intanto, i figli e le nuore facevano storie: non vengo sull’arca, troppa noia, sono allergico al pelo dei gatti, che schifo i rettili.
Poi gli animali erano ostili, poi era difficile trovare il foraggio non trattato; i generatori non funzionavano bene e la connessione internet non ne parliamo.
Un sacco di problemi insomma.
Noè, stanco, salì sul ponte dell’arca. 
Questa volta non ce la possiamo fare, pensò.
Tanto vale godersi gli ultimi giorni.
Abbiamo stivato abbastanza vino, erba ed escort, spero


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