I drabbles di Roberta Marinucci (seconda parte)


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L’IMPREVISTO
C’era fermento negli uffici per l’arrivo del nuovo direttore, Matteo G. 
Ambizioso quarantenne che in pochi anni era asceso ai vertici della società.
Le donne sospiravano per gli impeccabili completi sartoriali, il fascino di maschio alfa. 
Soprattutto Veronica, quella che lavorando di bocca aveva ottenuto promozioni e favori: tutti ricordavano le moine al vecchio direttore per farsi assegnare un ufficio spazioso.
 Il primo giorno di Matteo G lei entrò ancheggiante in ufficio a sussurrargli il benvenuto.
Ma divenne ghiaccio, sbirciando sul tablet rimasto acceso, la foto di Matteo abbracciato a un palestrato biondo.
“Il mio Davide” mormorò lui.

 

PIACERI TERRENI
“Allora hai deciso”

“Sì, sono stanco di fare l’angelo. Dopo millenni trascorsi a proteggere un umano dopo l’altro, voglio godermi qualche decennio da mortale”
“E poi?”

“Poi non so, intanto provo.”
“Sarà strano immagino, avere un corpo così vulnerabile, avvertire sonno, fame, sete, stanchezza, dolore. Un continuo accavallarsi di sensazioni quasi mai piacevoli, una gran fatica…”

“Ci saranno anche delle gioie però”
Sì, pensava proprio alle gioie carnali l’angelo, quando arrivò fiducioso sulla Terra e si mise alla ricerca di una donna da amare. 
Immaginava piaceri sconfinati, infinite dolcezze.
Atterrito dalle complicazioni ripartì sconfitto dopo pochi giorni.

 

PICCOLI SOLI PROFUMATI
Mi sono sempre piaciute le mimose, tesoro, lo sai. 
E non per la retorica della festa della donna.
Sai che non festeggio, non amo le convenzioni.
 Mi piacciono le mimose sì, questi soffici, piccoli soli profumati.
Me ne portavi sempre un rametto.
 Non comprato: figurati, no. Strappato dalla pianta del vicino. 
Una beffa, visto come mi trattavi: la tua bambola scema. 
Non ti manca niente, dicevi. Niente tranne l’amore.
 Così mi distruggevi, ogni giorno. 
Oggi ne ho ricevute parecchie, di mimose, ho pensato di portarne un po’ a te.
Questo giallo allegro ravviva così tanto il marmo della lapide.

 

DOMANI SARÀ’ NUVOLOSO
Era sul parapetto, pronto a lanciarsi, quando arrivò lui: quel guastafeste dell’ Angelo della Morte.
 Mi dirà che non è giunta la mia ora, bla bla bla.
 Scese rassegnandosi ad ascoltarlo.
Ma l’Angelo non era in vena di prediche: gli chiese se fosse davvero convinto, in tal caso si sbrigasse, lui non aveva tempo da perdere.
”Tutto qua? ” protestò: “Speravo che almeno la mia morte sarebbe stata solenne!”
” Perchè mai” replicò l’Angelo “la tua morte dovrebbe essere più solenne della tua vita?
Rendi speciale il presente, se proprio vuoi. Adesso scendi, goditi il sole, che domani sarà nuvoloso.”

 

IL QUATTORDICI FEBBRAIO
Finita finalmente, quella stupida giornata.
 Non ne poteva più di cuori, alette candide, di improbabili archi e frecce.
Tutti gli anni la stessa menzogna, lo stesso vortice di rose, cioccolatini, stupidi orsetti di pezza.
 Uscì dal ristorante per fumare una sigaretta, ma ci ripensò aspirando solo l’aria gelida.
 Gli ultimi clienti avevano finalmente sloggiato e adesso il personale si affrettava a pulire la sala.
 Tutto esaurito nonostante la crisi, buoni incassi.
 Ci avrebbe pagato le cure per Margherita, in coma dall’anno prima.
 E vergognandosi come un ladro avrebbe sfilato cinquanta euro per comprarsi una puttana.
 Perdonami tesoro mio.

 

IL SOGNO
Sempre lo stesso sogno: percezione alterata.
Il cielo così trasparente da mostrare fittissime le stelle,
 le vette delle montagne così vicine da poterle toccare.
 Il silenzio così pulito da rivelare ogni soffio di vento.
Nessun pensiero appannato, solo intenso sentire che avvolgeva il corpo 
ormai leggero, lo trascinava in volo.
Poi il risveglio torbido, impastato;
il cattivo sapore del caffè scadente, della nebbia cittadina.
 Si portava dentro la nostalgia di quel sogno ricorrente.
Quella mattina, quando il pirata della strada tirò diritto 
inchiodando al suolo il suo corpo ammaccato,
 lui finalmente libero allungò la mano per toccare le vette innevate.

 

UN LUOGO DI PACE
Era mattino inoltrato, quando arrivò al convento.
 Due suore l’accolsero: la Baronessa che dopo tante avventure galanti aveva deciso di cambiare vita, dedicandosi alla preghiera e alla penitenza.
 Dopo pranzo avrebbe incontrato la Superiora, dissero.
 Intanto poteva riposarsi nella spartana cella che le era stata assegnata.
 Si guardò intorno: mura spoglie, un crocefisso, una finestrella affacciata sulle colline. 
Tutto così lontano dai salotti, dai letti peccaminosi, dagli appuntamenti clandestini. 
Una novizia portò delle lenzuola.
 Il ringraziamento della baronessa morì sulle labbra quando riconobbe la sua ultima rivale.
”Speravate di sfuggire alla mia gelosia?”
 La novizia rise, affondando il pugnale.

 

IL MAGICO BACIO
Non se l’aspettava davvero quella mattina.
Aveva visto a volte degli esseri umani nei pressi dello stagno,
ma non li temeva: stavano a una certa distanza 
e quasi mai volgevano gli occhi verso di lui. 
Invece questa giovane umana aveva affondato i piedi nell’acqua fangosa
e l’aveva afferrato.
 Adesso lo stava avvicinando alla bocca, certo per mangiarlo!
 La paura lasciò il posto alla disperazione quando la bocca umana 
arrivò a sfiorarlo: si immaginò stritolato dai massicci denti
e ingoiato senza pietà.
 Serrò gli occhi…
”Ecco! Sapevo che ti saresti trasformato nel principe dei miei sogni!” 
Che cosa??? Nooooooo!!!

 

UNA DONNA FORTUNATA
“Sai che non sono geloso, puoi raccontarmi tutto”

Lo sapeva sì, ma era imbarazzante parlargli del marito.
 Poche settimane prima lei, reduce da una lite matrimoniale,
si era sfogata col giovane amante.
 Si era scusata, ma lui aveva insistito per continuare il discorso,
sviscerando ogni aspetto della questione. 
Da quel giorno il marito era diventato ricorrente argomento
di conversazione.
 Lei era felicissima di lui: così comprensivo, privo di gelosia.
 Sono fortunata, si ripeteva.
 Capì quanto fortunata fosse, il giorno in cui rincasando,
trovò il giovane amante in soggiorno col marito.
 La lotta sul divano non era certo per aggiudicarsi lei.

 

FEMME FATALE
Glielo aveva urlato in faccia cacciandolo di casa:
”Di uomini ne trovo quanti ne voglio, non credere!”

Comprò lingerie sexy, scarpe tacco quindici.
Primi appuntamenti: giovani spensierati, ottime premesse per notti di follie.
Non era stato difficile: era una bella donna, le richieste fioccavano.

“Ecco bastardo, dovresti vedermi adesso: sono una regina!”

Ma dopo alcune focose notti, il primo amante in preda a crisi esistenziale,
il secondo in lacrime per la ex, il terzo per problemi di lavoro.
 Lei ascoltava, rassicurava con una carezza.

“Sei una donna speciale, davvero!”

Rassegnata buttò via le giarrettiere.
”Inutile: non sarò mai femme fatale.”

 

MEZZANOTTE
Camminava per le strade deserte: solo i botti spezzavano il silenzio.
Era arrivata la neve quell’anno: che fortuna, dicevano tutti.
 Proprio un capodanno da cartolina.
 Lui continuava a camminare, le mani affondate nelle tasche del cappotto.
 Arrivò al ponte poco prima che l’orologio sovrapponesse le lancette.
Guardò l’acqua che si increspava scura là sotto.
 La mano salì alla tasca interna del cappotto, alla foto di lei.
 Mezzanotte, ora perfetta per un addio.
 Si sporse pericolosamente.
 Solo affinché la foto cadesse in acqua.

“Neppure tu sei più importante di me, amore. Vado a brindare, che qui si gela.”

 

QUALCOSA DI ROSSO
Ecco, con l’arrivo del Capodanno la solita storia del perizoma rosso.
 Magari abbinato al reggiseno coi fastidiosi ferretti e al reggicalze. 
Tutti gli anni le regalava la solita lingerie kitsch e si aspettava la serata piccante.
 I soliti elogi alla sua inimitabile bravura a letto,
il solito:

“ Amore, è stato bellissimo, il modo perfetto per iniziare il nuovo anno!”

E poi infiniti giorni di noia e indifferenza.
“Stavolta sarà diverso” disse lei
“Ti compro io qualcosa di rosso!”

Lui immaginò stuzzicanti erotiche novità, per questo poi restò male
alla vista della grande, bella, nuovissima valigia rossa fuori dal portone.

 

L’ULTIMO NATALE
Erano riusciti a trovare un piccolo abete tra le macerie del laboratorio botanico.
 Forse l’ultimo della sua specie sul pianeta devastato.
Meglio di niente, pensarono. Si apprestarono a decorarlo con frammenti di vetro colorato e alluminio, prima di stappare le bottiglie, forse risalenti al decennio precedente,scovate per caso in quello che restava della cantina di un palazzo sventrato.
 Eccoli, novelli Adamo ed Eva di una umanità non agli albori, ma alla fine,
a brindare intorno all’ultimo albero di Natale.

“Manca il vischio” disse lei. Aveva raccolto un arbusto, di chissà quale specie.

“Baciami stupido, finiamo in bellezza”.

 

POCO OLTRE
Niente da fare: tutte, in ufficio, ai piedi di Maurizio.
 Lui era il maschio alfa: avvocato vorace, accanito di palestra e di sesso.
 Tutte gareggiavano con tacchi quindici, camicette dai bottoni allentati sul seno. 
Alberto non poteva reggere il confronto, ma per Valeria lo avrebbe volentieri strozzato,  quello lì.
 Valeria, brillante e spigliata, diventava una bambola scema per quel bastardo. 
Lui ne approfittava senza ritegno, al lavoro e nel letto.
Sgomento generale, quando Maurizio, con gravi accuse, fu cacciato via.
 Si pensò alla vendetta di un’amante gelosa.

“Nessuno guarda un po’ oltre!”

Sorrideva Alberto.“Peccato, Maurizio… mi piacevi davvero.”

 

LA SPINA
“Cicciona”
“Bassotta”
“Contadinotta”
“Ti metti i vestiti di tua zia?”

Queste erano solo alcune delle cattiverie che le sue compagne di liceo le sbattevano in faccia.
Ma lo aveva superato, era riuscita a crearsi una vita serena.
 Lavoro, matrimonio, figli.
 Le era rimasta solo una piccola spina, che con pazienza avrebbe tolto. 
Un pezzetto per volta.
Ci pensava, agganciando il reggicalze civettuolo.
 Sotto casa il rombo della macchina sportiva.
Un sms.
 Attraverso le tende lo sbirciò: elegante e impaziente di farla godere.
Cancellò il nome dalla lista: ne restavano solo cinque.
Cinque mariti, fidanzati, conviventi 
delle vecchie compagne di liceo.

 

SOTTO IL PELO DELL’ACQUA
Mi piace stare qui.
 Le acque sono tranquille, il cibo non manca.
 La luce bianca al mattino filtra dal cielo liquido sopra di noi.
 É vero, gli anziani raccontano di un terribile pericolo:
mostri della terra, che con una canna calano in acqua delle prede,
 per invogliarci a mangiare.
Sono trappole: chi ci capita viene rapito, non fa più ritorno.
 Si dice che i mostri usino cibarsi di noi, dopo aver bruciacchiato 
i nostri cadaveri: ma non ho paura, sono solo leggende.
“Allora, dove sta questo laghetto pieno di carpe?
Sono tre volte che mi porti qui, senza poi trovarlo!”

 

Il BUIO DELLA LUCE
“Sono fatta per la luce del giorno, almeno così pensavo.
 Famiglia amici lavoro.
 Finestre aperte sull’azzurro, sul verde delle colline. 
La notte, credevo, non è per me.
 La notte è per i folli, gli alieni, i vampiri.
 La notte è per i disperati che non hanno posto alla luce del sole.
 Ma da qualche tempo non mi basta la mia vita verde e azzurra,
 e sempre più mi sento risucchiare da quel blu quasi nero”

Così pensava infilando i lunghi stivali lucidi.
Vita strizzata, acrobazie di rimmel sulle ciglia.
Messaggi voraci sul telefono.
Poi, di corsa, verso il caos.

 

LA STRADA SUL RETRO
“Branco di nullafacenti, di questo passo apro in Romania e vi lascio a fare la fame!”

Tuonava a fine turno il Titolare della fabbrica.
Il giovane magazziniere lo salutò con deferenza avviandosi agli spogliatoi.
 Doccia, jeans neri, camicia slim fit sui muscoli tesi.
 I capelli ancora bagnati enfatizzavano lo sguardo felino.
In sella alla moto raggiunse la strada sul retro. 
Una Jaguar si avvicinò lentamente, un viso sensuale dal finestrino:
“Ho già prenotato la stanza, questa notte voglio farti impazzire…
ti voglio tutto per me, il mio magnifico stallone!”

Le parole sussurrate dal rossetto scarlatto erano della moglie del Titolare.

 

LA MALEDIZIONE
Da qualche tempo, tutto quello che di negativo sarebbe potuto accadere, accadeva.
 Forava la gomma dell’auto: conseguenza del ritardo, niente promozione.
 La compagna, istigata dalla ex, lo mollava.
 Veniva rapinato in strada.
“Basta!!!” urlò.

“Basta! Vita maledetta, mi hai stancato!!!”

La domenica mattina si svegliò prestissimo.
Raggiunse la spiaggia.
 Un ragazzo guardava assorto le onde.
 Si voltò, lo chiamò per nome:
“Sai chi sono, e adesso ti porto via”

“No! Non farlo, sono ancora giovane!”

“Perché? Questa vita non ti interessa, l’hai maledetta…”

“Ti prego, dicevo per dire!”

“Anche io!” rise l’altro.
“Sono un angelo buono, dai!”

 

L’ULTIMA NOTTE ( Tema : sulla strada )
Strada nera con pochi lampioni.
 I fari delle macchine arrivavano prepotenti.
 Prepotenti le voci che chiedevano il prezzo, 
poche decine di euro per una voglia inconfessabile.
 Per il fantasma che tutti fingevano di non vedere, 
senza un vero nome, senza un vero viso sotto trucco e parrucca.
 Senza un vero corpo: un corpo davvero suo.
 Ancora per poco.
 Le banconote che i clienti allungavano sprezzanti, erano passi verso la meta. 
Verso l’ intervento.
Ancora qualche anno…
L’ultimo cliente quella notte sfilò dalla tasca un coltello da cucina.
“Trans sgozzato da un maniaco”,
 scrissero i giornalisti, incuranti dei suoi sogni.

 

PERCORSO EVITATO ( Tema: sulla strada)
Diceva sempre di voler fuggire dalla vita piatta di provincia che malediceva.
 Con un lavoro come il suo avrebbe trovato facilmente posto in qualunque città d’ Europa,
o anche del mondo.
 Aveva mille possibilità, ma non si decideva mai.
 C’era sempre un motivo per rimandare:
non era la stagione giusta, la città giusta, l’occasione giusta.
 Continuava a vegetare, lavorando senza passione,
nel piccolo quartiere di quella piccola città.
 Fino a che arrivò il momento di andare in pensione:
troppo tardi per fuggire, tempo scaduto.
 Tirò un sospiro di sollievo:
era per sempre al riparo dal futuro che sognava.

 

LA SOLITA STRADA
La strada che percorreva tutti i giorni improvvisamente sembrò diversa: 
stesso tragitto, stesse curve, ma il paesaggio spariva via via.
 Niente più orizzonte, niente colline lontane.
 Dopo la terza curva, invece della vista sulla città, un gran vuoto grigio e silenzioso. Dove sarebbe arrivato? 
Il terreno ai lati si riduceva sempre di più.
 Alla fine l’auto correva su un nastro etereo sospeso sul nulla.
 Urlò, quando anche il nastro si dissolse davanti a lui.
 Urlò, ma senza produrre alcun suono. 
Fine.
 Trovarono il giorno dopo il corpo esanime,
 nella macchina che era precipitata dalla scarpata.
 Morto sul colpo, dissero.

 

LA SCOMMESSA 
(Tema: sulla strada )
Ma che mi è venuto in mente, devo essere pazza!
 Solo perché con lui si parlava di “quelle” e mi fa:

“Tu non ce la faresti mai, non hai fegato. Credi che sia così facile?”

“Scommettiamo?” Ho risposto io.

Adesso sono qui per davvero. 
Lui osserva dalla macchina.
 Ride il bastardo, lo so, in attesa che intimorita torni dentro con lui.
 Non immagina, povero tesoro,
 che irresistibile brivido dà, a me, donna “per bene”,
 stare qui offrirmi al primo che passa.
 Una macchina rallenta…

“Basta, hai vinto.” Mi paga.

“Questi sono per la scommessa: manca il compenso per la prestazione.”

 

VERSO LA FINE                                                    La strada liscia e dritta tagliava in due la spianata ventosa.
 Alberi stenti, cespugli, erba ingiallita, sassi.
 Nubi scure e pesanti schiacciavano l’orizzonte. 
Non sapeva se la benzina sarebbe bastata per arrivare.
 Solo questo il suo timore: tanto non gli sarebbe
servita per il ritorno.
 Niente ritorno
.Tutto sarebbe finito là, su quella roccia dalla forma assurda: monumento al nulla.
 Due anni prima ci si era arrampicato: felice, pieno di energia.
Due anni prima.
 Una vita prima.
 Quell’albero imponente caduto di traverso sulla strada, accidenti! 
Non c’era modo di proseguire.
Rassegnato fece inversione.
 Morirò la settimana prossima.


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