“Metamorfosi pericolose” di Davide Zardo


 

Doveva essere una giornata di grandi trasformazioni. In città, mentre andavo a prendere l’auto, avevo incontrato il capo della polizia municipale, che mi aveva sorriso. Non mi aveva mai potuto soffrire, per via di alcune cose che gli avevo detto riguardo a certe multe che mi avevano appioppato grazie a degli autovelox disseminati a tradimento sui rettilinei più trafficati. Quel giorno, invece, sembrava di buon umore. Ricambiai il sorriso, mandandolo mentalmente a quel paese. Nemmeno lui mi stava un granché simpatico, proprio per via di quelle multe. Arrivai nei pressi dell’aeroporto poco prima delle dieci, e visto che ero un po’ in anticipo decisi di fare un giro al centro commerciale poco distante, vicino al lago, intanto che aspettavo l’aereo di mia moglie.
Appena uscito dal supermercato stavo tornando verso la macchina, quando la mia attenzione fu attirata dal laghetto, dove un piccolo motoscafo distante circa duecento metri dalla riva era stato appena agganciato da una jeep militare sulla terraferma. C’era molta agitazione accanto all’automezzo. Un ufficiale in tuta mimetica fece sgombrare la zona e diede ordine all’autista di partire. L’auto si avviò, allontanandosi rapidamente dallo specchio d’acqua, e iniziò a trascinare l’imbarcazione. Non capivo il senso di quella manovra: stavo pensando che lo scafo sarebbe inevitabilmente andato a sbattere contro il bordo del lago, quando vidi che prendeva a sollevarsi, man mano che si avvicinava alla sponda. Quando uscì dall’acqua, era sollevato di una decina di metri da terra. Vidi sganciarsi il cavo che lo trainava, mentre un paio di larghe ali spuntavano dai fianchi dell’imbarcazione. Era incredibile: sembrava uno di quei film di avventura, dove l’agente segreto di turno scappava a bordo di un’automobile che si trasformava in aereo, o di un aeroplano che diventava un sommergibile. Cose del genere, che questa volta accadevano veramente.
Grandi trasformazioni, sì. L’avevo percepito vedendo il capo dei vigili sorridere. E adesso assistevo a qualcosa di stupefacente. Solo che non era ancora finita.
La barca trasformata in aereo si era allungata e ristretta nella parte posteriore, da cui erano spuntati anche un paio di alettoni, e ora volteggiava tranquillamente nel cielo. Intorno a me, tra la gente nel parcheggio e intorno al lago, sentivo un coro di mormorii d’approvazione e stupore.
L’aereo adesso aveva preso l’aspetto di un piccolo velivolo a due posti, e si librava disinvolto nel cielo limpido, azzurro e senza nubi. Ripresi il tragitto verso l’auto. L’avevo ormai raggiunta, e stavo per aprire la portiera, quando il mormorio generale si trasformò in un’esclamazione di stupore e ammirazione. Un lungo “Oooohhh”, come quello dei bambini quando ricevono una bella sorpresa, un regalo per Natale o per il compleanno.
Dall’aereo partivano in tutte le direzioni grandi fogli colorati, che sembravano fuochi d’artificio. Ma presto il mormorio di meraviglia si trasformò in un grido di terrore, perché quelli che si stavano spandendo nel cielo – e che presto sarebbero caduti sulla terra – non erano fogli di carta. Erano i pezzi dell’aereo, che si stava disintegrando.
Quello che era partito come un grido all’unisono, presto iniziò a scomporsi in una serie di urla rabbiose e disperate. La gente correva avanti e indietro, per cercare riparo dall’oggetto volante che stava precipitando. Guardai in alto, anch’io cominciando a correre, senza sapere bene dove, e mi pareva che i pezzi simili a fogli, piatti e sottili, stessero volando in tutte le direzioni. Mi diressi allora verso il centro commerciale, dove mi accorsi che stavano convergendo anche tutte le altre persone che si trovavano nel parcheggio. Quelli attorno al laghetto stavano invece correndo verso gli alberi del parco, mentre qualcuno era già salito in macchina, allontanandosi in tutta fretta con un gran stridore di gomme. Presto l’entrata verso la quale mi stavo dirigendo si riempì così tanto di gente, da bloccare il passaggio sia in un senso che nell’altro. Chi voleva entrare si trovò impedito da quelli che volevano uscire, attratti dalle urla e dal rombo nel cielo. “Tornate dentro! – gridò qualcuno di quelli fuori – Dentro, idioti, dentro! Saremo tutti al sicuro, all’interno!  Sta venendo giù tutto!”
Ma dentro non capivano. Quando fui a pochi metri, vidi che davanti alle porte scorrevoli si andava formando un capannello sempre più grande, così cambiai direzione, e costeggiando la parete mi diressi verso il lato sinistro, per raggiungere l’altra entrata. Intanto, mentre le lastre metalliche colorate volavano da tutte le parti, senza aver ancora raggiunto il terreno, il corpo centrale dell’aereo sembrava dirigersi proprio verso le mura basse e squadrate del centro commerciale.
Mi allontanai dalla costruzione e corsi verso il laghetto, mentre vedevo la sagoma cilindrica puntare sul centro commerciale. “Andate via! – gridai – Via di lì!” Ma nessuno mi sentiva, urlavano tutti in preda al panico.
Mi fermai, voltandomi, aspettando di vedere la costruzione che esplodeva nell’impatto con quella specie di missile. Ma l’involucro d’acciaio aveva nuovamente cambiato direzione, anzi sembrava aver riacquistato una parte delle ali e della coda. Come una gigantesca farfalla volteggiava di qua e di là senza decidersi, cadendo in picchiata per poi sollevarsi e puntare in alto. Poi di colpo tornava a inclinarsi verso il basso, girando a destra e poi a sinistra, senza lasciar minimamente intendere quale sarebbe stato il bersaglio definitivo.
Mi voltai e ripresi a correre verso il centro commerciale. Alla fine il relitto sarebbe stato comunque troppo incompleto per causare grossi danni all’edificio, le cui grosse mura squadrate ci avrebbero protetto. Mentre puntavo verso una delle entrate laterali, mi accorsi che anche qui la folla era nel frattempo aumentata, rendendo difficoltoso il passaggio in entrambe le direzioni. Stavolta però ero deciso a entrare, certo che lì avrei trovato la salvezza. Mi feci largo a spintoni, cercando di far indietreggiare quelli che mi stavano di fronte, ma presto fui trascinato dalla marea di incoscienti che, molto più numerosi di chi stava all’esterno, volevano uscire. Caddi nella polvere, tacchi e punte di scarpe e sandali mi graffiarono la faccia, qualcuno mi camminò anche sulla schiena. Mi rialzai, insieme ad altri due o tre che erano finiti in terra, e aspettai che la folla si riversasse fuori dall’edificio. Peggio per loro, pensai. Quando fossero usciti tutti, saremmo potuti entrare più facilmente. Ma dopo alcuni istanti iniziai a realizzare che quella marea di folla che usciva a fiotti dalle porte scorrevoli, era interminabile. Pareva non avere mai fine, anzi moltiplicarsi sempre più. Come quel corpo celeste – che a quel punto sarebbe stato più appropriato definire infernale – che anziché assottigliarsi sembrava riacquistare un po’ alla volta tutte le parti perdute, ingigantendosi e cambiando ogni volta direzione.
Allora finalmente capii.
Un giorno di grandi trasformazioni. Prima il capo dei vigili, poi la barca che diventava un aereo. E adesso quell’aereo che cadeva senza fermarsi. Era la nostra paura che lo rendeva sempre più grande. Ad ogni urlo, ad ogni grido di terrore, l’apparecchio spaziale nato da un’imbarcazione tornava a ricomporsi, per poi disintegrarsi nuovamente, senza mai riprendere la perfezione originale. Perché non era nato per volare, se non nei nostri sogni.
Perché, mi chiedevo, perché quegli stupidi militari avevano trasformato una barca in un aereo?
E intanto lui precipitava sulla terra, cambiando direzione ogni volta che sembrava sul punto di schiantarsi, per poi tornare su nel cielo, e ripiombare giù, verso di noi che correvamo e gridavamo. E la folla continuava a uscire dalle porte, e nessuno riusciva più ad entrare, e io correvo avanti e indietro in cerca di un riparo, di un rifugio, senza ancora capire del tutto che non esisteva rifugio, né riparo, da quella dannazione eterna che era la paura. La nostra paura.
E da quel maledetto coso, su nel cielo, che continuava a volteggiare in tutte le direzioni, e ancora non si decideva a cadere su di noi.


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