“Pianeta Terracqua” di Rino Casazza


Con la mano a visiera sulla fronte, Prímulo Nast guardava l’ astroincrociatore rovesciato su un fianco tra le dune sabbiose.
Sotto il sole implacabile, il velivolo mandava un riflesso accecante.
– L’ unico lato positivo – osservò cupo – è che, almeno, non siamo finiti sull’altro emisfero…
– Beh, avevamo il 50% di probabilità di cavarcela, no? – ribatté scherzoso Pásso Ullam.
Era fermo accanto a lui nell’identico gesto, scrutando dalla parte opposta l’ondulata distesa desertica.
Per loro fortuna, erano usciti indenni dal brusco atterraggio.
L’avaria li aveva colti alla sprovvista mentre orbitavano affascinati intorno a quel pianeta incredibile, per metà coperto dalle acque, e per metà asciutto.
Si trovavano a due parsec da lì, in un giro di perlustrazione, e solo per curiosità avevano puntato gli strumenti di bordo su quell’ isolato sistema planetario, cinque pianeti ruotanti intorno ad una nana gialla di dimensioni simili al sole terrestre.
Non appena era comparsa sui visori, l’immagine del quarto pianeta li aveva lasciati senza parole.
Attraverso l’atmosfera priva di perturbazioni, si vedeva da una parte l’azzurro bagliore di un’oceano sconfinato su cui pendevano, a ravvicinatissima distanza, due giganteschi satelliti butterati, dall’altra il riflesso giallastro di un immenso deserto sabbioso.
Contravvenendo agli ordini, all’insaputa del Comando della Flotta avevano fatto un salto nell’iperspazio per andarlo ad ammirare da vicino.
Contavano di tornare nel giro di qualche ora/luce, invece, il repentino guasto ai propulsori elettrogravitazionali aveva mandato all’aria i loro piani.
Sotto lo sfolgorio micidiale di quel caldissimo sole, che metteva a dura prova il sistema autorefrigerante delle tute di volo, Nast rimpiangeva amaramente di essersi lasciato trascinare in quell’avventura.
La picchiata verso il suolo si era conclusa con un tremendo impatto che aveva messo fuori uso l’intero sistema di comunicazione.
La tranquillità di Ullam, nient’affatto in ansia per la loro sorte, ed anzi attratto dal paesaggio, lo metteva ancor più di cattivo umore.
A parte il fatto che erano finiti in un luogo del tutto inospitale, una pianura di sabbia che si stendeva a perdita d’occhio, senza tracce di flora o di fauna, si rendeva conto che l’arrivo in tempi brevi di una missione di soccorso non era scontato?
Vero che, una volta accortisi della scomparsa, alla Flotta avrebbero scandagliato il quadrante di spazio dove loro stavano pattugliando, con ottime probabilità di trovare tracce dell’avvenuto balzo iperspaziale.
Ma i calcoli per determinane la traiettoria erano lunghi e complessi, e le loro scorte d’acqua e di cibo, programmate per un breve volo di pattuglia, e non per un soggiorno di imprecisabile durata in mezzo a un torrido sahara, pericolosamente esigue.

– È la Miami Beach della galassia!- scherzò Ullam, entrando nella cabina di pilotaggio. – Peccato che siamo troppo lontani dalla riva dell’oceano: avremmo potuto fare un bagnetto!
Dopo un lunghissimo tramonto, era calata la notte.
Il repentino precipitare della temperatura aveva indotto Ullam, rimasto fuori tutto il giorno a perlustrare i dintorni, a cercare riparo nell’astroincrociatore.
Nast lo fissò cupo.
Poiché non metteva mai piede fuori, il suo viso, in confronto a quello brunito del compagno, sembrava di un pallore cadaverico.
Altrettanto agli antipodi era il loro stato d’animo.
Ullam proseguiva imperterrito a cercare tracce di vita vegetale e animale ( o, chissà mai, come affermava con aria saputa da archeologo galattico, i resti di qualche civiltà intelligente), Nast, a tre giorni dal naufragio, era sempre più angosciato.
Fischiettando allegramente, Ullam azionò il comando che abbassava la cupola protettiva della cabina e tracannò l’ultimo sorso dalla capiente termoborraccia. Intorno si spalancò una vista a 360 gradi sul deserto notturno.
– Richiudila! – protestò istericamente Nast.
Ullam nemmeno lo stava a sentire.
Era rapito dalla distesa di dune sotto il cielo stellato.
Ai bordi, come in un’immagine di sogno, incominciavano a spuntare le gobbe enormi delle due luminosissime lune.
Nast scattò verso la consolle e riattivò la chiusura della cupola.
– E’ ora di finirla con queste pose da spazio-turista! Basta anche sprecare le riserve d’acqua! Due borracce al giorno consumi, nelle tue inutili perlustrazioni!
Ullam rimase a guardare con stupito candore la faccia stravolta del compagno.
Non lo credeva così fragile di nervi.
Si chiedeva come facesse a superare i severi test periodici di tenuta psicologica.
Mah, l’aveva pensato sin dall’inizio che qualcosa non andava, in quel Nast…

Ullam si svegliò di soprassalto.
Nella cabina echeggiava un gemito affannoso. Si volse verso la cuccetta di Nast, e constatò che era lui, in preda ad un incubo, ad agitarsi in quel modo nel sonno.
Oh mamma mia! Non gli bastava più stressarlo da sveglio, voleva rovinargli l’esistenza anche da addormentato!
E pensare che, per quieto vivere, quel giorno aveva rinunciato alla sua escursione…
O meglio: si era piegato all’assurda prepotenza di Nast che, pur di impedirgli di portare con sé anche un solo goccio d’acqua, si era mostrato pronto allo scontro fisico.
Proprio una bella giornata, non c’era che dire!
Chiuso nel claustrofobico spazio dell’astroincrociatore insieme a un compagno taciturno e roso dall’ansia, ossessivamente teso a cogliere il rombo di un’astronave di salvataggio.
Stizzito, si alzò e andò a scrollarlo.

Nast palpava la parete della campana di vetro rovesciata, sospesa in un buio tenebroso, in cui era rinchiuso. Cercava disperatamente una via d’uscita. E sotto di lui la campana opposta e simmetrica, collegata alla sua dallo stretto canale di comunicazione, era minacciosamente ricolma di sabbia…
Quando la clessidra incominciò a inclinarsi, sconvolto dal terrore prese a battere i pugni contro la parete, chiamando aiuto a squarciagola, finché si sentì sballottare da una serie di scossoni e si ritrovò seduto sulla cuccetta, madido di sudore, faccia a faccia con Ullam.
– E’ orribile! – esclamò scattando in piedi – Non usciremo vivi di qui!
– Ancora questa storia? Non ti ha detto nessuno che, a furia di chiamarla, la sventura finisce per arrivare davvero?
– Quel maledetto deserto là fuori!- seguitò imperterrito Nast – Ci seppellirà tutti e due sotto la sua sabbia!
– Non dire sciocchezze! Guarda! – fece Ullam, andando alla consolle e azionando l’apertura della cupola.
Di nuovo il magico scenario della landa desolata li circondò da ogni lato, nitido e quieto sotto il manto luminoso dei due imponenti satelliti, alti sopra l’orizzonte
– S’è mai visto uni spettacolo più bello? Non si nasconde nessuna insidia, qui ! Dobbiamo solo aspettare con calma che ci vengano a prendere!
– Moriremo come topi in trappola, ti dico!

Ullam cominciava ad aver paura di Nast.
Sotto l’influenza di quel delirio pessimistico, stava sclerando.
Il guaio era che il presentimento di una brutta fine, invece di annichilirlo e spengerne lo spirito di sopravvivenza, ne accentuava le tendenze aggressive.
Spinto da un’attenzione sempre più morbosa al razionamento delle scorte alimentari, ne aveva assunto d’autorità il controllo, centellinandole con parsimonia maniacale.
Di uscire, neanche a parlarne: due o tre volte Allam si era avvicinato casualmente al portello, e Nast si era messo a strillare.
Il terrore ancestrale del compagno per il pianeta rendeva impossibile anche solo provare, di giorno come di notte , ad aprire la cupola.
Ormai Ullam si era rassegnato a sopportare quelle angherie.
Non vedeva l’ora che arrivasse la spedizione di salvataggio per farlo trasportare d’urgenza al più vicino manicomio.

Ullam si destò di colpo.
Questa volta nella cabina regnava un perfetto silenzio.
“Troppo” perfetto, ecco perchè si era svegliato!
Nast non era nella sua cuccetta, e il portello era aperto.
Preoccupato, indossò la tuta e uscì.
Lo accolse una scenografia spettacolosa.
Le due lune gigantesche , così vicine che sembrava di poterle toccare, erano a picco sopra l’astroincrociatore e illuminavano il deserto di un intenso, latteo chiarore.
Per un attimo Ullam rimase senza fiato.
Poi distinse Nast, a un centinaio di metri da lui, in ginocchio sulla sabbia.
Si copriva il viso con entrambe le mani in un gesto di disperazione, minuta figura spersa tra la piatta immensità del deserto e l’ incombere dei due mastodontici satelliti
Corse verso di lui, gli fu sopra, lo scosse.
– Cosa t’ è saltato in testa? Che ci fai qui fuori, con questo freddo?
– E’ inutile – mormorava Nast, con cupa rassegnazione – Tutto inutile…
– Sì, sì d’accordo. Vieni, torniamo dentro…
– Mi ero svegliato credendo di aver sentito un rumore in lontananza… Mi sembravano i propulsori di un’ astronave… Sono uscito per andare incontro ai soccorsi, e invece non c’è niente, assolutamente niente! Solo questa tomba di sabbia pronta ad inghiottirci! E ci inghiottirà, mio Dio ci inghiottirà…
Ullam tese le orecchie in preda a improvvisa eccitazione. No, non era vero che fuori non c’era niente! Un rombo lontano, quasi impercettibile incominciava a sentirlo anche lui!
Nast non aveva preso un abbaglio!
– Siamo salvi! – esclamò tirando su il compagno ed abbracciandolo. – Hai visto che avevi torto? Stanno arrivando davvero!
Il rombo cresceva vertiginosamente, in pochi secondi riempì tutta la valle, echeggiando tumultuoso.
Troppo forte per provenire da una sola astronave.
Sconcertato Ullam scrutò la linea dell’orizzonte.
Non era un rombo, mio Dio! Era il fragore di un’impetuosa mareggiata che avanzava verso di loro.
Ullam alzò gli occhi alle due lune, percependone per la prima volta, con orrore, l’ enorme forza attrattiva.
Paralizzato dallo sgomento, attese d’esser raggiunto dalla ciclopica marea che spostava periodicamente da un emisfero all’altro l’immane massa d’acqua dell’oceano.


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