“L’immagine riflessa” di Alessio Piras


Luca vomita e si contorce dal dolore.

Aveva esagerato con quella roba. Ma non ne poteva fare a meno. Da quando aveva iniziato con la cura sentiva dolori insopportabili in tutto il corpo. E allora il dottor Riccio gli aveva consigliato un antidolorifico tra i più potenti in commercio.
-Prendi questo. Ma con parsimonia-, gli aveva detto.
Poi gli spiegò dove procurarselo: nel retrobottega di un farmacista della città vecchia, a metà del vicolo che corre parallelo al porto. Ci era andato quella stessa notte. L’uomo, curvo sul suo lavoro di alchimista, era molto alto, grasso, con i capelli grigi e l’aria sfatta. Un lungo camice di paraffina lo avvolgeva fin sotto il ginocchio. Quando Luca entrò, il campanello della porta in legno lo distolse da una provetta su cui stava lavorando.
-Mi manda il dottor Riccio.-, disse.
L’uomo sorrise mostrando i denti ingialliti dal fumo delle troppe sigarette. Gli fece cenno di avvicinarsi e lo condusse nel retrobottega. Una porta dietro il bancone che dava a una scala che portava a una microscopica soffitta.
-Siediti.-, disse l’uomo mentre si accendeva una cicca. Piegato in due, iniziò a frugare in una vecchia cassettiera e ne tirò fuori una boccetta con delle pasticche.
-Ecco. Una al giorno, non di più. E ora va.
Luca si dileguò e si diresse verso la stazione, aveva bisogno di un bagno dove prendere quella roba. Camminò in fretta sotto la pioggia ghiacciata. Da quando non aveva più una casa era un disastro. Pochi vestiti accatastati nella stanza da letto di una pensione dell’angiporto, niente ombrelli o scarpe da pioggia. Sul selciato dei vicoli che portavano alla stazione i suoi piedi affogavano in enormi pozzanghere. Erano fradici e sentiva freddo. Ma sudava, perché i reni non gli davano pace e anche l’inguine era sofferente. Ma doveva resistere e continuare la cura. Arrivò alla stazione centrale, si rinchiuse nel bagno e ingollò la pasticca. L’effetto fu immediato, quasi una doccia fredda. Uscì e tornò alla pensione.
Per qualche giorno rispettò le consegne del farmacista e del dottor Riccio, ma ben presto si rese conto di un inquietante effetto collaterale: quando l’azione del medicinale svaniva, il dolore tornava molto più forte. Decise di duplicare la dose, e all’inizio funzionava. Ma ogni volta il dolore aumentava e quasi non stava in piedi. Passò a tre pasticche, poi a quattro, fino a quando non ne diventò dipendente. Prendeva la cura e ingollava l’antidolorifico. Tre, quattro, cinque volte al giorno. Ben presto iniziarono il vomito e la diarrea. Perse peso, le sue gambe si raggrinzirono e gli zigomi si scavarono. Quasi non riusciva a lavorare tanto era sfatto, i clienti si lamentavano del suo stato, della sua fiacchezza. Anche quelli abituali, anzi soprattutto loro, che sceglievano Luca per le sue doti fisiche. Solo Roberto sembrava comprenderlo, ma era impotente, intrappolato nella sua vita di impiegato e impegnato a tenere nascosta la sua vera natura.

Luca si solleva e si guarda allo specchio. Non si riconosce nel viso, ma nota con piacere che il suo corpo inizia ad assomigliare alla sua anima. I peli sulle braccia sono più radi, i lineamenti più morbidi e il petto inizia ad avere volume. È sulla giusta strada, deve resistere un altro po’. Prende la boccetta degli ormoni e ne ingoia una pasticca. Poi è la volta dell’antidolorifico.
Si lega i capelli biondi, un velo di rossetto e fondotinta. Una sistemata alla camicetta scollata ed è pronta. Luca rimane nell’immagine riflessa. Al suo posto Lucia prende la porta e scende in strada: il primo cliente della notte l’aspetta.


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