"La rabbia nel sangue" di Elisabetta Miari (parte quarta)


la rabbia nel sangue

 

Milano, febbraio 2014

Ti spio nell’ombra. Vedo quello che stai facendo.

Riuscire a trovare la mail di Monica De Bellis, quella privata, non fu facile, e fu ancor meno facile trovare le parole giuste per dirle che aveva notizie importanti riguardo la salute di  Alessandro che potevano in qualche modo riguardarla. Le lasciò il numero del suo portatile e lei non tardò a chiamarla.

-Buongiorno

disse con una voce impostata da scuola di dizione

– sono Monica De Bellis e ho letto la sua mail. Mi dica.

Di quella comunicazione penosa Carlotta ricordò solo che quando finì di parlare, la signora non aveva più la voce impostata, ma un accento romanesco e una voce rotta dalla paura.

– Ma come è possibile? E quel maiale schifoso non me lo voleva neppure dire! disse l’attrice sconvolta.

– Faccia il test e cerchi di stare tranquilla Monica, io sono negativa e la carica virale di Alessandro è molto bassa. Ho ritenuto di dirglielo per scrupolo. Mi faccia sapere se vuole, ma non è in dovere di farlo se non le va.

Ci fu un silenzio e poi la De Bellis le chiese:

– Quanti  anni ha Carlotta?

– Trentatré. Perché?

Vi fu un sospiro dall’altra parte del filo

– Perché quell’uomo è un mostro, non si è fatto scrupolo di prendere la sua giovane vita e di metterla in pericolo. Non credo neppure  che non lo sapesse o che gli fregasse di saperlo. Meriterebbe di essere punito per questo.

– Sono d’accordo, anche se  gli credo quando dice di non averlo mai saputo. C’è un limite a tutto, non penso sia un mostro simile. Quello che non riesco a perdonargli è di non averlo voluto dire a lei e alle altre per egoismo. Maora  la cosa più importante è che lei sia negativa e si tolga il pensiero.

– Grazie Carlotta, comunque vada, ti sarò sempre grata di avermi avvertito.

Il fatto di essere passata dal lei al tu, la faceva sentire ancora più vicina alla donna e ancor più in pena per lei.

– Era mio dovere Monica, in bocca la lupo.

 

Ma Monica De Bellis finì davvero in bocca a un  lupo, e della peggior specie. Risultò essere sieropositiva.

Lo disse a Carlotta una settimana dopo, tra singhiozzi ed esternazioni di odio nei confronti di Alessandro.

Aveva tuttavia già consultato i medici migliori in qual campo che le avevano proposto una  cura tempestiva ma pesante, per tenere sotto controllo la bestia.

Certo, il suo rapporto con il fidanzato era finito nel peggiore dei modi. Contagiato anche lui, in seguito al suo incosciente tradimento. Giusto perché no si può fare causa a una persona per contagio, se avvenuto involontariamente, e perché anche il notaio si guardava bene dal rendere la cosa pubblica, sennò l’avrebbe rovinata volentieri. Lo aveva tradito e infettato, la puttana.

Le due donne cominciarono a comunicare spesso e Carlotta le rivelò che lo stava tenendo d’occhio tramite Facebook e che aveva sgamato delle mosse sospette.

Aveva chiesto l’amicizia a donne vistosamente belle, alcune rifatte, quelle che noi donne amiamo definire “troioni”.

Sapevano anche che quella di Alessandro ora poteva essere  un’inconscia rivalsa nei confronti dell’HIV, che avrebbe cercato di far colpo sulle poverette con la promessa di invitarle alla sua trasmissione, che queste ci sarebbero cascate, e che forse  lui le avrebbe scopate senza protezione. Bastava quel forse ad allertare Carlotta, ma anche il pensiero, che pur usando la protezione, lui non le informasse sulla sua sieropositività.

Un altro dilemma morale.

Monica le disse che doveva avvisarle, doveva cercare di prevenire un altro dramma come il suo e che lei era disponibile a confermare la sua versione, nel caso che queste non ci avessero creduto.

Al momento erano due quelle che Carlotta aveva identificato, cominciò con il chiedere  loro l’amicizia.

Le studiò da lontano. Una, ex valletta televisiva sul viale del tramonto ma con un debole per la chirurgia plastica, aveva velleità intellettuali e questo la rendeva una probabile vittima di Alessandro, ma allo stesso tempo mostrava anche atteggiamenti femministi da donna indipendente. Diana era il suo nome.

L’altra, leopardata, zebrata e ossigenata, di nome Vanessa, sembrava avere le stesse capacità neuronali di un’ameba.

Decise di osservare le mosse del serpente ancora un po’ prima di agire. Lo vide strisciante e sibillino, depositare qualche “mi piace” qua e là nelle loro bacheche, con parsimonia, quasi fossero gioiell.

Carlotta spiò i suoi passaggi su Messanger, era sempre più spesso online, chiaro segno di scambio di conversazioni zelanti, tese unicamente ad irretire e catturare.

Alla fine si decise e mandò e entrambe un messaggio in cui diceva che aveva importanti informazioni su Alessandro Cefis e che se erano interessate a parlare potevano sentirsi.

Passò qualche giorno, prima che una sola delle due decidesse si rispondere e le chiedesse il numero del suo cellulare.

– Ciao, sono Diana

disse con una voce nasale, che le ricordava un po’ Patty Pravo

– cosa c’è di così importante da sapere su quest’uomo? Che è un bastardo si vede ad occhio nudo, ma con la mia esperienza so tenerli a bada quei tipi…

Carlotta optò per l’effetto speciale, nessun giro di parole.

– No niente, è solo sieropositivo, e sospetto che non lo dica e vada in giro a cercare di scopare donne. Può bastare?‘

Ci fu un lungo silenzio in cui Carlotta capì che aveva fatto la cosa giusta, che prima o poi quel figlio di puttana ce l’avrebbe fatta e a quel punto solo Dio poteva salvare Diana.

– Grazie

disse

– adesso non riesco a dire niente, ci sentiamo.

Riattaccò e  pensò che non l’avrebbe più risentita.

Pensò che anche lei, come Monica, nel giro di pochi secondi, aveva perso l’impostazione arrogante ed era diventata fragile e vera.

Dell’altra, la leopardata,  non seppe mai nulla, se non che l’aveva bannata e si supponeva  che lui continuasse a lavorarla ben bene.

Diana invece si fece viva ancora  e divennero amiche, sebbene fossero molto diverse, ma lo scampato pericolo unisce persone di ogni tipo.

 

Era guerra aperta ormai, lui sospettava qualcosa ma teneva ancora la porta aperta perché aveva un debole per lei, ma visto il rifiuto, aveva ben pensato di mettere parzialmente in atto le sue minacce.

Carlotta infatti, ricevette una mail dal suo agente che rinunciava all’incarico e una lettera della casa discografica che non le rinnovava il contratto. Casualmente.

Ora non aveva più nulla da perdere nel combattere quell’uomo, se necessario sarebbe finita sui rotocalchi, anche se  preferiva evitarlo.

Certo, poteva sempre ammazzarla, non era un’ipotesi così remota. Ma chi vive di paure muore di rimpianti,  si dice, ancor prima che di morte violenta.

 

I mesi che seguirono furono all’insegna della nuova amicizia con Monica e Diana.

Il Mostro, così lo chiamavano, era il loro argomento ricorrente. Come spiarlo, come verificare se erano spiate, cosa faceva e chi vedeva. Tutto quello che lo riguardava  le interessava. Mail giornaliere e telefonate.

Carlotta e Diana si incontrarono per un aperitivo e si sorpresero diverse ma uguali nel gradimento maschile. Due trofei da esibire per l’ego maschile vecchia maniera.

– Ma come fai Carlotta a seguire le sue mosse?

disse Diana mentre sorseggiavano un bicchiere di vino al Bar Blanco.

– Non ho la pretesa di seguire ogni sua mossa, solo lo conosco molto bene, e dalle nuove amicizie di Facebook e dai commenti ai suoi post, capisco chi gli può interessare. Poi vado sulla bacheca della prescelta e visiono i mi piace ai suoi ultimi post: se c’è anche lui significa che è una possibile vittima. Non mette mai mi piace ai post di una che non vuole scopare. Infine guardo i suoi passaggi online su Messanger e su Wht’s app.

Diana rimase interdetta con il bicchiere a mezz’aria per qualche secondo, poi disse:

– E’ talmente assurda questa stori da sembrare accettabile, nella sua linearità maschilista ed egocentrica.

Carlotta annuì e sorrise.

Le  due donne e si fermarono qualche secondo a guardarsi intorno, il locale era popolato di bella gente spensierata  ed entrambe desiderarono di essere parte di quella leggerezza.

– Mi sembri una persona a posto Carlotta, scusa se te lo chiedo, ma come hai fatto a stare per un anno con quell’uomo?

La domanda non giunse inaspettata, sapeva che sarebbe arrivata prima o poi e che la verità sarebbe stata l’unica risposta.

– Per ambizione, la più cieca delle debolezze. Hai mai provato a pensare di avere un talento, lottare per anni, lavorare in squallidi pub per mantenerti perché credi nel tuo sogno e non riuscire mai ad arrivare a niente?

Ci fu una pausa, durante la quale Diana teneva incollati gli occhi ai suoi, poi Carlotta riprese.

– E un bel giorno, spunta fuori dal nulla un conduttore brillante e potente, che è interessato a te e ti promette, lasciandotelo intuire, tutto quello che hai sempre sognato. Tu cosa avresti fatto?

Diana si scosse dal pensiero che la stava attraversando, e come se presa alla sprovvista rispose:

– Non so, non mi sono mai trovata in questa situazione, di dover vendere l’anima al diavolo.

– Ma se non ti avessi avvertita in tempo forse  ti ci saresti trovata. Tu stessa mi hai detto che hai fatto vari provini come valletta, se lui ti avesse offerto un posto nel suo programma come spalla, non ti saresti fatta lusingare?

– Suppongo di sì

ammise Diana abbassando il capo e capendo che era stata soltanto fortunata ad incrociare Carlotta prima che il Mostro la ghermisse.

Facciamo tanto i fenomeni e non ci rendiamo conto che buona parte del nostro fato dipende dalla fortuna.

Con Monica era un po’ più impegnativo parlare, la sua vita era stata rovinata da Alessandro e Carlotta doveva cercare di sedare i moti di rabbia della donna perché non commettesse una sciocchezza e passasse il resto della vita in prigione.

Stava seguendo una terapia per migliorare le difese immunitarie e per tenere sotto controllo l’HIV. Si sentiva bene diceva, mai stata meglio, ma quella cura nel tempo le sarebbe pesata, non era leggera e avrebbe dovuto farla finché campava.

Carlotta provava una gran pena mista a empatia per lei, in fondo era stato solo l’intervento divino ad impedire che  fosse nelle stesse condizioni.


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