”Benedetto il sedicesimo” di Rino Casazza


 

Zero
– Ah! Così sei appassionato di Montale!- disse Margherita.
Paolo non fece in tempo a rispondere. Proprio in quel momento il cameriere avanzò tra i tavoli, esclamando tutto emozionato: ” E’ il tedesco!”
Paolo, interdetto, si volse verso di lui, distogliendo malvolentieri lo sguardo dal viso di Margherita. Aveva occhi che catturavano, più ancora del suo busto statuario.
-Ci avrei scommesso!- commentò un vicino di tavolo.
“Ma certo!” pensò Paolo. Anche Margherita aveva afferrato. Si scambiarono un’ occhiata complice, poi lui chiese: – Come si chiama? –
– Benedetto, quindici o sedici, non ricordo – informò il cameriere.
Paolo rimase deluso, come tutti, compresa Margherita: perché non Giovanni Paolo III?
Ma la domanda era un’altra: come avevano fatto a dimenticare che il mondo attendeva col fiato sospeso la proclamazione del nuovo Papa dal balcone di San Pietro?
Margherita riprese il discorso – Allora?
Paolo fu ben contento di tornare a fissarla. Da quando si erano seduti avevano parlato occhi negli occhi, con spontanea confidenza, estraniandosi da tutto. Una specie di conclave a due: ecco perché l’altro, quello vero, era sparito dall’orizzonte.
Azzardò una cosa che non aveva immaginato di poter fare con una sconosciuta: iniziò a recitare la seconda strofa di “Notizie dall’Amiata”, i versi del poeta genovese che più sentiva suoi . Quelli che avrebbe voluto scrivere, e forse era proprio così se, come si dice, tutto è già scritto.
Un paesino di montagna dopo la pioggia, senza leopardiana quiete, correlativo oggettivo dei tormenti dell’anima…
Mentre declamava, senza curarsi di attirare l’attenzione dei vicini per la voce troppo alta, si convinceva che non stava facendo qualcosa di nuovo. Semplicemente, lei non era una sconosciuta.
Al termine dell’esibizione si trovò indifeso, ma non a disagio. Lo sguardo di Margherita brillava. – Tu hai fatto l’attore!
-Sì- confermò lui, senza aggiungere: dilettante. Non per immodestia: se glielo riconosceva una sconosciuta così famigliare, doveva essere un vero attore.
Il loro incontro non era un caso.
L’aveva intuito non appena si erano parlati, sotto il portico di Piazza Mercanti. Solo una creatura mandata dalla Provvidenza avrebbe reagito con uno scherzoso rimbrotto al suo ritardo di mezz’ora. Solo una creatura mandata dalla Provvidenza avrebbe preso in ridere l’ombrello senza manico con cui si era presentato. Solo una creatura mandata dalla Provvidenza si sarebbe prestata all’esperimento, per giunta fallito, del telefono senza fili tra due pilastri del loggiato. Qualsiasi altra sarebbe già sparita nel pomeriggio piovoso.
Invece eccola lì insieme a lui a quel tavolino, “cellula di miele di una sfera lanciata nello spazio”, a carezzarlo col suo sguardo indescrivibile. E si accorse che la cilecca del telefono senza fili ( ” sai che se uno si accosta a un angolo del portico e parla a bassa voce, chi si trova nell’angolo opposto riesce a sentirlo?”) più che un maldestro tentativo di recuperare la brutta figura del ritardo, era una metafora. Anzi: un correlativo oggettivo. Di una consonanza che non ha bisogno di parole.
Glielo disse: – Stiamo parlando da mezz’ora, ormai…Sai che se invece di esserci detti frasi sensate avessimo ripetuto “blablabla” in continuazione sarebbe stato lo stesso ?
Lei sorrise annuendo, poi indicò le mani di lui. – Hai le dita cicciotelle, si spiega perché sei così lento con la tastiera.
Alludeva, scherzosamente, alle loro chiacchierate in chat. Paolo si guardò le mani, specchio dell’anima con la loro irrequietezza: – Sono molto piccole, da ginecologo.
Margherita inarcò le sopracciglia, gli occhi soffusi di candore: -Davvero?
Paolo protese la mano aperta, come in segno di saluto, verso di lei. – Più piccole delle tue, prova.
Margherita fece combaciare le loro dita.
Rimasero così alcuni istanti. La meraviglia di Margherita nello scoprire che lui aveva ragione era deliziosa.
Paolo avrebbe voluto prolungare quel contatto, così delicatamente naturale ma si staccarono per non fornire agli altri avventori un argomento di conversazione più ghiotto del nuovo Papa.
Lei guardò l’orologio, ricordando ad entrambi il suo impegno: doveva andare a visitare un’anziana zia malata. Paolo rifletteva sulla loro separazione. Non riusciva a considerarla definitiva.
Era sacrilego far della cabala sul nome di un papa, ma il numero sedici sembrava premonitore.
Uscirono nella sera ormai schiarita. A Paolo dispiaceva che la pioggia fosse cessata: aveva partecipato, non da semplice spettatrice, al loro incontro. Anche la luce timida ma limpida che li accompagnò fino alla Metropolitana era bella. Avevano entrambi un buon passo, sincronizzato sulla loro conversazione. Lei si muoveva facendo danzare le chiome. Paolo si accorse di non avere molto tempo per il suo discorso numerologico.
– Ti sei accorta della benedizione? — le disse, sulle scale del sottopassaggio.
Margherita si fermò, perplessa. — Come?-
Lui la prese sottobraccio facendole gentilmente riprendere il cammino.
– Ci è stato benedetto un numero – spiegò. Lei lo guardava attonita.
– Il sedici – soggiunse, faticando a non perdersi nei suoi occhi spalancati.
– Hanno eletto Benedetto sedicesimo mentre ci incontravamo. Coincidenza non casuale.
Nell’espressione stupita di Margherita comparve una sfumatura di sfida. – Cioé?
– Per esempio potremmo incontrarci di nuovo alle 16, ovvero le quattro del pomeriggio. Oppure alle 7 del mattino ( 1+6). Oppure il sedici, o il sette di ogni mese. Ma avrei un’ altra idea.
– Sentiamo.
Procedevano verso i tornelli della Linea Gialla. Anche i loro gesti, anche l’ alternanza dei loro sguardi erano ritmati.
– Un cammino iniziatico. Sedici tappe. Dobbiamo incontrarci 15 volte per toccare il culmine al sedicesimo incontro. Quello benedetto.
– Sei matto.
– Non ci sono dubbi.
La barriera della metro si avvicinava. Lei l’avrebbe superata, per raggiungere la zia; lui sarebbe rimasto al di qua, ricco e impoverito al tempo stesso.
Poco tempo ancora, e nessun rallentamento d’andatura: non s’interrompe una pas de deux sorto dal nulla.
– Incominceremo dal principio. I tetti.
Gli scoccò un’occhiata interrogativa.
– I tetti di Milano. E il Tetto di Milano per eccellenza. – aggiunse.
Margherita aveva capito perfettamente il luogo. Le era oscuro il legame tra i tetti e il principio.
– Il tetto è il passato. La sicurezza, la protezione. Ciò che è noto, su cui sappiamo di poter contare. Il tetto è il passato, quindi il punto di partenza- spiegò Paolo.
Neppure per un istante dubitò che lei disapprovasse.

 

Primo
-Guarda!- disse Paolo indicando la distesa di tetti tutt’intorno. Mossa, piena di sorprese. Più della foresta di guglie bianche innalzata contro il cielo nuvoloso. Minacciava pioggia, e lui teneva sottobraccio, geloso talismano, l’ombrello senza manico.
-Sai che nell’ottocento le città erano doppie? — aggiunse, distogliendo lo sguardo dal panorama per sprofondare negli occhi di Margherita. Riflessi dalla luce ombrosa, avevano un colore unico.
-Come?
– Una sopraelevata e una a livello del suolo. Le si poteva visitare di strada in strada come di tetto in tetto.
– Davvero?
– Sì. Oggi non più. Guarda tu stessa. La città sopraelevata è morta. Il popolo dei tetti è migrato in basso. Anche se potessi visitarla, non incontreresti nessuno.
– Da quel momento i tetti sono diventati il passato?
– Lo sono sempre stati. Il passato che intendo io è ricchezza che abbiamo accumulato, il patrimonio delle nostre certezze. Non ci sta alle spalle, è con noi.
Una lama di sole squarciò la nuvolaglia. Li centrò entrambi, come un occhio di bue. Il colore degli occhi di Margherita si schiarì. La sua figura rimase come scolpita, incastonata nella luce.
– Poi ci sono gli attimi senza tempo – disse – Quelli dei Quattro Quartetti. Tu li evochi…Ti guardo e il tempo si ferma.
Con grazioso senso dell’ ironia, Margherita guardò l’ orologio: – E’ già corso a sufficienza, mi sa… Devo ritornare.
Paolo avrebbe voluto dilungarsi, dirle che in quell’ stante eliotiano tra le guglie del duomo lei , con la maglietta nera e la gonna di blue-jeans, era una madunina postmoderna.
Una madunina con morbidi mossi capelli ad aureolare il viso sorridente .
Avrebbe voluto dirle delle onde di maremoto che il suo seno, alzandosi ed abbassandosi nel respiro, spingeva contro la scogliera della sua fantasia.
Ma l’ora era fuggita.
– Devo ritornare. -ripeté – Quale sarà la seconda tappa?
– Semplice: il sottosuolo
– Tetti uguale passato, sottosuolo uguale futuro?
– Non proprio. Il sottosuolo custodisce i germi del futuro. Senza discesa agli inferi, niente rinnovamento.

Secondo
La vettura, imbucandosi a precipizio nel tunnel, li sballottava senza riguardi. Sembrava agognare il riposo al capolinea di Molino Dorino. Della folla di passeggeri, era rimasto uno solo: un ragazzo brufoloso ed assorto, con pesante zaino a tracolla.
Paolo e Margherita rimanevano seduti a distanza, senza avvicinarsi approfittando dello spazio resosi libero. Paolo si sentiva piacevolmente contaminato dal blu elettrico della camicetta di lei.
– Le metropolitane sono luoghi esoterici – disse – Difficile credere che le abbiano costuite solo per facilitare i trasporti.
– Ah no? E per cosa? –
Gli occhi di Margherita lampeggiavano scettici e curiosi a un tempo.
-Alcuni dicono che comunicano con l’inferno…-
– Devo spaventarmi? –
– Per l’inferno? Se lo sanno tutti che il peggior inferno è il mondo dei vivi! Comunque, io credo di più alla teoria delle correnti sotterranee. Apposta ti sto facendo percorrere avanti e indietro tutte le linee … –
– Illuminami, mio Virgilio – scherzò Margherita.
– Le correnti sotterranee sono l’argomento del “Pendolo di Focault”. Pochi lo conoscono perché quasi tutti si sono fermati al “Nome della Rosa”…Secondo la leggenda i Templari ne custodirebbero il segreto. A proposito, chissà come staresti in costume da Templare… Naturalmente la tunica sarebbe blu elettrico-
– Blu elettrico con croce bianca? Uhm…
– Dicevo delle correnti sotterranee. Da esse dipenderebbe l’equilibrio del clima terrestre. Dunque se manipolate potrebberlo sconvolgerlo. Mi piace pensare che le linee della metropolitana milanese ne seguano il tracciato in questa parte del globo. La chiusura o deviazione di uno dei loro bracci, scatenerebbe le forze della natura…-
– O le libererebbe positivamente…
Si volse a guardarla. O meglio: s’immerse nei suoi occhi. Per non soffrirne la mancanza, ogni tanto doveva fare un tuffo.
– Mi capisci sempre, vero?
– Diciamo che presto attenzione alle tue metafore. Se il sottosuolo racchiude i germi del cambiamento, andando avanti e indietro tra i capolinea della metro è come se stessimo prendendo la rincorsa. Verso dove?-
– Verso lo spirito. La carne è troppo debole.
– Forse è lo spirito a esserlo…-
Paolo annuì silenzioso, sempre più convinto che parlare, tra di loro, fosse superfluo.

 

Terzo
Pomeriggio di bel tempo, e questo un po’ preoccupava Paolo. Il cielo spalancato ravvivava la variegata sequenza di monumenti funerari, ma cambiava lo scenario dei loro incontri, mai svoltisi in pieno sole.
Aveva torto. Margherita, flessuosa creatura impressionista, en plein air si fondeva allo sfolgorio della natura, cangianti gli occhi come un caleidoscopio.
Immutata (immutabile?) la naturalezza del loro approccio.
– Se ho capito bene -disse lei movendosi come un refolo di brezza in quella città del ricordo – un cimitero è il luogo dello spirito perché rende presenti esseri eterei come i defunti.
– Già. I cimiteri solo il trionfo della vita, non della morte.
– Il corpo è un accidente.
– Il corpo è un involucro.
Era meraviglioso filosofare così, per rapide sentenze, sotto il cielo turchino, tra monumenti, cipressi e aiole. Senza tema di far torto a una persona così vitale, trovava che Margherita fosse perfetta per un camposanto.
Fondamentalmente, era disincarnata. Aveva uno spirito così bello che non abbisognava del corpo.
– Sai cosa si potrebbe dire di te?
– Illuminami, mio Caronte.
– “I cimiteri sono la morte sua”.
Il paradosso la fece sorridere.
– Sono curiosa di conoscere la prossima tappa. O meglio: la conosco ma ignoro dove sia.

 

Quarto
L’urlante frastuono infastidiva Margherita, ed ancor più l’immenso carnaio.
Paolo soffriva per lei, ma non si cambia la traiettoria dei percorsi. Il loro li aveva condotti al terzo anello dello Stadio Meazza, insignificanti particelle nella moltitudine ammassata sugli spalti. Come diceva Eliot, citando Dante? “Tanti/ ch’io non avrei creduto che morte n’avesse tanti disfatti”.
Lì lui e Margherita non sarebbero riusciti a conversare. Non mancavano pause, nel rumoreggiare scomposto: mancava l’ intimità. Stretti fra altri spettatori, che avrebbero potuto dirsi? Era concesso solo parlare di calcio. Frammentariamente, impulsivamente. Non rimaneva che guardare il campo, unico particolare con qualche qualità estetica: un tappeto smeraldino su cui “si rompevano e intrecciavano” le magliette dei giocatori.
Pur senza conversare, il loro dialogo non si interruppe.
Gli stadi sono il contrario dei cimiteri, si dicevano con lo sguardo, con l’empatia della mente. Straboccano di vivi laddove i cimiteri di morti. Pieni di corpi gli uni, di anime gli altri.
Anche se si trovavano fianco a fianco, appiccicati, Paolo non la sentiva più vicina del solito.
Verso la fine della partita, quando il pubblico cominciò a sfollare per meglio imbottigliarsi nel traffico del rientro, Margherita accostò le labbra al suo orecchio : -Prossima tappa? –
Di nuovo, sapeva quale ma non dove. Paolo era certo che tra non molto avrebbe imparato a intuire anche quello. Le restituì il gesto, sussurrandole: – Indovina.
In attesa del triplice fischio dell’arbitro, lei ci provò.
Un posto a metà strada tra lo spirito e la carne…Un limbo sospeso dove le due realtà si confondevano…

 

Quinto
Giulietta si mosse leggera verso Romeo. Le punte delle scarpette sembravano sfiorare un letto di piume. Toccava terra o si librava, quella creatura in calzamaglia vestita d’abiti cinquecenteschi?
Nella penombra della platea, Margherita era incantata. Accanto a lei, Paolo era immensamente felice. Teneva in tasca il libriccino di Paul Valery “L’anima e la danza” per parlarne al termine della rappresentazione.
La danza, il movimento coreografico…
La danza: la carne che si smaterializza. La danza: il pensiero che si sostanzia.
Nelle sue vertiginose metafore Valery ne coglieva l’ essenza.
Quel saggio in forma di dialogo Paolo avrebbe voluto scrivelo lui. Rileggendolo il dubbio di averlo veramente scritto, su ispirazione di Margherita, cresceva.
Margherita era danzatrice in senso esistenziale. In lei terra e cielo s’incontravano. Cera un passo, nel libro, che lei avrebbe riconosciuto senza bisogno d’indicarglielo. “La vita è una donna che danza, e che finirebbe divinamente d’essere donna se lo slancio che la solleva potesse spingerla sino alle nuvole. Ma come noi non possiamo andare all’infinito, né in sogno né in veglia, egualmente lei torna sempre se stessa: termina d’essere piuma, uccello, idea e insomma ogni cosa in cui al flauto piacque di tramutarla, in quanto la terra medesima che la respinse ora la richiama e la restituisce anelante all’indole sua di donna e all’amato.”
Non rimaneva che ricondurla alla natura, restituirla all’anima primigenia del mondo da cui anelava continuamente staccarsi.

 

Sesto
– E un paesaggio leonardesco. E non per modo di dire – disse Paolo.
La superficie dell’Adda curvava maestosa tra due ali di verdissima boscaglia, sotto la cupola del cielo appena screziato di nubi vaporose.
Paolo e Margherita camminavano lungo l’alzaia, tra la placida corrente e la macchia rigogliosa.
Niente di più irreale, in quell’ eden originario fatto di cielo, acqua e piante, delle lapidi che ogni tanto spuntavano ai bordi del sottobosco.
“Il fiume racconta leggende mente veloce va al mare/le narrano piano le onde, i pioppi le stanno ad ascoltare./ Il fiume racconta leggende mentre veloce va al mare/ le ascoltano gli annegati e al vento le fanno cantare…”
– Leonardo è venuto qui moltissime volte – disse Paolo – Ne ha immortalato la natura nello sfondo dei suoi quadri. Natura naturante e naturata, che incessantemente si disfà e rigenera: sai meglio di me delle sue convinzioni panteistiche…-
Margherita annuiva.
– Veniva qui anche per motivi più pratici. – proseguì Paolo -Il sistema di chiuse che ha dato vita ai Navigli si basa sugli studi di Leonardo. E tra poco vedremo un’immagine vertiginosa: la tecnica che scaturisce dalla natura… –
La curva del fiume accentuò, per aprirsi in un’ansa così armoniosa da sembrare dipinta dal genio vinciano. Un altissimo, avveniristico ponte ferrato traversava agile il corso dell’Adda, che s’allargava a formare un laghetto circondato da muraglie verdi…
– Il ponte di Paderno – disse lei.
– La Tour Eiffel della Brianza.- disse lui.
– Il prossimo passo sarà un tuffo nella tecnologia ? – pronosticò lei.
– Inevitabilmente. A completare il percorso –
– Completare?? –
– Di ciò che sta fuori di noi. La ricognizione del macrocosmo.
– Poi passeremo al microcosmo, mio Ulisse?

 

Settimo
Il pavimento lucidissimo sotto l’antica volta ad archi intervallati. Gli alti rosoni come occhi aperti sulla meraviglia. Lungo le pareti la sfilata delle invenzioni, così tante e così ingegnose da imbarazzare.
– Sapevi – disse Paolo – che solo una minima parte degli scritti di Leonardo ci è pervenuta? E che in quella mancante ci sarebbe l’anticipazione delle più importanti invenzioni, sino ai giorni nostri?-
– Illuminami, mio Cicerone.
Non era vestita di blu, Margherita. Indossava maglietta e gonna rosso indiano. Forse non casualmente intonate al morbido beige della Sala Leonardesca, al Museo della Scienza e della Tecnica.
– Secondo una leggenda , una setta segreta si sarebbe appropriata degli scritti di Leonardo e continuerebbe a saccheggiarli da secoli per lucrare sui brevetti … Ci pensi? In una pagina sperduta di un codice leonardesco comparirebbero i disegni della televisione…
Gli occhi di Margherita sfavillavano, ridenti finestre su mondi imperdibili. C’era però una punta di noia. Paolo lo sapeva. Il temperamento artistico di lei non si accordava con l’insonne inventiva ingegnieristica di Leonardo.
Si soffermarono sotto il modello di ali per il volo umano, che rimandava alla leggenda tragica di Icaro.
– Leonardo aveva due facce -disse Paolo- Una, quella che vediamo qui, potremo chiamarla “fai da te”. Leonardo me l’immagino come uno di quei tuttofare che in casa fabbricano e aggiustano ogni cosa con la loro cassetta degli attrezzi…
– La seconda faccia è quella creativa
– No. – la smentì Paolo, ma per modo di dire: lo sguardo di Margherita era maliziosamente complice – Quella esoterica. Lui voleva penetrare i segreti della natura, le sue misteriose corrispondenze. “ E’ un tempio la natura dove viventi pilastri/ a volte confuse parole mandano fuori/ vi passa l’uomo attraverso foreste di simboli/ che lo guardano con occhi famigliari ” -Una pausa, che Margherita impreziosì d’un’espressione incantevole, poi: – Sai qual è il romanzo più esoterico? –
– Illuminami, mio Croce.
– L’Ulisse. Si basa su corrispondenze multiple tra aspetti lontanissimi: personaggio omerico, ora, organo del corpo, arte, colore, simbolo, tecnica narrativa. Ad esempio il capitolo primo, scena della Torre, getta un ponte fra Telemaco, le otto del mattino, nessun organo del corpo, la teologia, il bianco, l’Erede e la tecnica narrativa giovanile. Il capitolo secondo, scena della Casa, cortocircuita Calipso, le otto del mattino, il rene, l’economia, l’arancione, la Ninfa e la tecnica narrativa matura..
– Vuoi lanciarti assieme a me in un’ Odissea iniziatica?
– Assieme a te e di te –

Ottavo
– I fiori di pittosporo sono le nostre rose – disse Paolo, immergendo le narici nel profumo dei boccioli bianchi che maculavano la siepe.
Erano al centro di masse coloriche alternate con effetto pittorico. L’azzurro del cielo (quello di Lombardia “ così bello quand’è bello, ecc ecc”), il marrone degli bastioni, il verde dei prati, quello più scuro di alberi e siepi, il grigio dell’asfalto…Sì, Il Castello Sforzesco e il parco Sempione erano un’isola. Integrata: la metropoli la circondava con tutta la sua folla e il suo traffico, senza privarla dell’isolamento di oasi storica e naturale.
-La siepe delle rose… Primo movimento del primo quartetto. – chiosò Margherita- L’istante eterno…Cosa già detta: sta sul tetto.
– La volta scorsa ti ho mentito. Cè un testo letterario più esoterico dell’Ulisse.
– Sentiamo.
– Vocali: “ A nera, E bianca, I rossa, U verde, O blu/ dirò oggi le vostre nascite latenti…”
– Parte del corpo? – domandò lei a sorpresa.
Senza scomporsi, – Gambe – rispose pronto, indicando l’intrico di strade che attraversavano il Parco.
– Personaggio Omerico?
– Pié veloce Achille .
– Colore?
– Bianco pittosporo.
– Arte?
– Botanica.
– Simbolo?
– Falco alto levato
– Tecnica narrativa? –
– Rimane invariata. Come l’ora.
Margherita sorrise ( o emise un bagliore celestiale ? ) al pensiero dei prossimi sette dialoghi alle quattro del pomeriggio.

 

Nono
Fiume o lago? Il dilemma paesaggistico manzoniano.
La costa di fronte, altissima e ripida, sembrava a un passo. Forse il ponte dell’incipit si trovava proprio da quelle parti. Faceva caldissimo. L’aria immobile accentuava l’afa del luogo, incassato tra “due catene non interrotte di monti”.
Paolo boccheggiava. Lei, fresca come una rosa, anzi:una margherita. Le vesti blu elettrico si distinguevano a distanza, insperato segnale di grazia nella natura bollente.
– Incominciamo dal simbolo- disse.
Il riverbero dell’ acqua immobile la circonfondeva di luce come un’immagine del Beato Angelico.
– La casa dei doganieri.- rispose pronto Paolo.
– Parte del corpo.
Paolo allungò le mani per prendere quelle di lei e mettersele sul viso, a schermare la vista. – Queste tue mani a difesa di te: – iniziò a declamare – /mi fanno sera sul viso./- le allargò delicatamente le dita – Quando lente le schiudi/là davanti la città/è quell’arco di fuoco./Nel sonno futuro/saranno persiane rigate di sole/e avrò perso per sempre/quel sapore di terra e di vento/ quando le riprenderai.
-Personaggio omerico?
– Andromaca – rispose dietro le persiane delle mani di lei.
– Colore?
– Rosso indiano.
– Arte? –
– E lo chiedi? — Le prese i polsi e scostò le sue mani come un sipario.
Il sorriso di Margherita era irripetibile.

 

Decimo
-Bisogna festeggiare!- Paolo infilò una mano nel sacchetto che portava con sé. Ne trasse una bottiglia di Moet e Chandon e due calici di cristallo.
Margherita era sorpresa solo per concessione teatrale- Che cosa?? E qui poi!
Una panchina del Parco delle due Basiliche, alle quattro del pomeriggio. Sotto un sole di fuoco a picco sopra la vegetazione timida. Il complesso abbaziale, in mattoni a vista, sonnecchiava intorpidito. I rari passanti erano divertiti dalla loro stravagante libagione.
Paolo incominciò a stappare la bottiglia.
Il turacciolo saltò, seguito da una fontana di schiuma. – Alla decima tappa del nostro viaggio!- Per gioco ne spruzzò un po’ addosso a tutti e due.
Margherita sopportò sorridendo – Hai ragione: è un evento. Chi l’avrebbe mai detto?-
– Tu. Ed io. Dire è fare. A patto di sapere.
– Ma noi sappiamo ben poco…
Paolo si soffermò ad ammirare il lampo ironico del suo sguardo. Era fresca, ad onta del caldo. La proteggeva una corolla di petali immaginari? Respirava con graziosa leggerezza. Appena un’increspatura nella tondità regale del busto.
– E’ la ricetta della saggezza.
– Niente corrispondenze, oggi, vero?
Paolo annuì ammirato. Sì, la compiutezza del dieci non ammetteva aggiunte.
-Mai ricevuto un “bacio baciamano”? – chiese. Senza attendere risposta sporse le labbra verso le sue, fermandosi a un centimetro dal contatto.
Poi riempì i calici. E bevvero.

 

Undicesimo
– Questa è utopia. – disse Paolo. Al buio, buio profondo, la teneva per mano -Significa “non-luogo”.
-Che non esiste materialmente.- precisò Margherita,
-Che esiste solo mentalmente. – precisò lui.
Le coordinate di quell’incontro erano irrilevanti. Sapevano dov’erano, ma avrebbero potuto essere in qualsiasi altro luogo. La tenebra di pece rendeva un’astrazione il loro posto nel mondo. Unico legame col mondo fisico, a parte il suolo, le mani allacciate.
– Tanto tempo fa scrissi dei versi…
– Sentiamo, mio Virgilio.
– “Nell’apparso nessun luogo/la mia mano s’aggrappò al tuo cuore/palpitante dentro al palmo”.
– Personaggio omerico?-
– Il suo più grande: Omero stesso.
– Colore.
– Arcobaleno:l’intera gamma.
– Parte del corpo.
– Nessuna. Dunque tutte –
– Arte.
– Filosofia della conoscenza.
– Simbolo.
– La donna cannone in volo.

 

Dodicesimo
– Oggi accetteremo il suggerimento del primo che passa – disse Paolo.
Se Margherita ( una Margherita leggera e vagante come la bimba di Saba) era spiazzata, non lo diede a vedere. Forse aveva creduto che Galleria Vittorio Emanuele, arroventata dall’effetto serra, fosse la meta. Forse Paolo voleva portarla a schiacciare le palle al toro, sul pavimento a mosaici. O forse no.
-E’ la tappa dell’Aleph. – chiosò Paolo- Dopo l’ Utopia viene l’Aleph.
L’Aleph…Chissà se Margherita lo conosceva. Anche se non lo conosceva, aveva intuito. Le parole tra di loro non erano mai gettate al vento. L’Aleph…. Il luogo di tutti i luoghi. Che, di conseguenza, si trova da qualsiasi parte. O in tante quante le anime. LAleph di Paolo, per esempio, era Margherita.
– Personaggio omerico, mio Jorge? – ( “Lo sapevo!” esultò Paolo)
– Penelope.
– Colore.
– Rosa.
– Parte del corpo.
– Mammelle.
-Arte-
– Fisica sperimentale-
– Simbolo.
– La bambina equilibrista.

 

Tredicesimo
La tavolata immersa in una vaga nebbia. I contorni e i colori delle figure di un nitore incompiuto e un po’ falso. Eppure la folla dei visitatori guardava l’immagine conviviale con strabiliata ammirazione. Come se quella cena brumosa – quasi un omaggio al clima locale…- contenesse il senso dell’universo. Nessuna meraviglia se lo contenesse davvero.
Margherita sapeva tutto del dipinto, comprese le penose vicissitudini dell’affrescatura. Ma forse ignorava il legame tra quel metaforico banchetto e il Santo Graal.
– Chissà come staresti con i capelli rossi – le disse.
Margherita non era per nulla sorpresa. – Li ho avuti, un tempo.
– Come San Giovanni? -Paolo accennò alla figura dell’apostolo, che nel dipinto occupava una posizione centrale, al fianco di Cristo.
– Più o meno.
-Sai che ha fattezze così graziose da far dubitare che sia una femmina? Maria Maddalena? La moglie di Cristo? La madre dei suoi figli? Il calice che raccoglie il sang real? –
-Un banchetto di nozze, insomma.
La prese sotto braccio, avviandosi all’uscita. Si erano trattenuti meno del tempo già esiguo concesso ai visitatori, inesautibilmente numerosi, del dipinto dei dipinti.
– Giri sempre intorno a Leonardo…-considerò Margherita.
Paolo sorrise.
– E non solo perché siamo a Milano, e Milano fa Leonardo quasi più di Duomo.
Paolo sorrise.
– Personaggio omerico- venne al dunque lei.
-Patroclo.
-Colore.
-La trasparenza-
-Parte del corpo.
-Natiche-
-Arte-
-La guerra di trincea-
-Simbolo.
-LAngelo.
Margherita lo guardò sorniona. -Questa volta ti chiedo anche la Scena-
Paolo, ammiratissimo da quegli occhi capaci di scandagliare sotto la superficie, si guardò bene dal rispondere: della Cena.
– Della Gioconda.

 

Quattordicesimo
Un edificio così mastodontico che finiva per non esser notato. Le cose grandi sono più inavvertibili delle minuscole. Effetto, come spiegava Poe, dell”invisibilità dell’evidenza”.
A Paolo la Stazione Centrale piaceva, e non si stancava di ammirarla. Gli piaceva anche il Vittoriano, criticatissimo. Se si spogliava l’architettura fascista della presunzione di “far le cose in grande” rimaneva il gusto per la chiarezza delle forme. Riposante, rassicurante. Negli spazi larghi ci si riconosce, ci si ritrova.
Ad una stazione soprattutto si parte. Paolo aveva in tasca due biglietti, Non gliel’aveva detto ma, come sempre, era sicuro che lo sapesse.
Salirono sino al grande atrio. Alle quattro del pomeriggio, affollamento scarso. Sulle banchine, soffocate dalla cupola metallica stile liberty, si bolliva. Paolo ricordava che salire sul treno fermo era una tortura. Si incominciava a respirare dopo qualche chilometro di corsa a sportelli abbassati.
Margherita lo lasciava fare. Del resto, era ospite disciplinata da tredici tappe.
Passarono davanti al Museo delle Cere. Naturale scambiarlo come meta, ma lei non cadde nell’equivoco.
Paolo naufragò nel dolce mare dei suoi occhi, poi: – Hai udito il grido del gallo di là dalle murate?
– Tre volte? – scherzò Margherita — Aria di tradimento?
– Salvatore Quasimodo fu arrestato per diserzione, alle soglie della seconda guerra mondiale, e internato nella prigione più suggestiva d’Italia.
– Sono innocente, vostro onore!
-Ne ha ricavato una poesia, bella ma poco conosciuta.
La prese sottobraccio guidandola verso i binari.
– Una lapide la ricorda, nel luogo della detenzione.
Camminavano avvolti dall’afa. Il treno era era in lenta cottura sui binari.
– Mi lasci esprimere l’ultimo desiderio del condannato?- motteggiò ancora Margherita.
– Se sei tu, un desiderio! – fece Paolo, sospingendola sul predellino.
– Desiderio?-
– Desiderio, oggetto del de siderare, fissare lo sguardo alle stelle, agognare una cosa lontana, che si vorrebbe avere –
– Sono così desiderabile?
– Non lo so. Ma i tuoi occhi si aprono sul cielo stellato.
Le porte si chiusero e il treno partì.
L’aria condizionata non funzionava e la ventata afosa che entrava dai finestrini non ne voleva sapere di raffrescarsi. Ma a Paolo non importava. Era seduto di fronte a Margherita in uno scompartimento deserto. Le chiome, i vestiti leggieri di lei s’agitavano al vento della corsa e lui era inchiodato ai suoi occhi, soffusi d’allegria. Giocava a non chiedere dove stavano andando. Come quando da fanciulli si fa a gara a fissarsi rimanendo seri. E dopo pochi secondi uno dei due scoppia a ridere.
Scoppiò a ridere Paolo.
-La Rocca di Città Alta, a Bergamo, è una vecchia sede carceraria. La lapide è lì. La poesia s’intitola “Dalla rocca di Bergamo Alta”-
– Personaggio omerico?
– Prima di raggiungere la meta?
– Sì, per una volta usciamo dallo schema.
Era deliziosamente ironica. “Per un po d’ironia si perde tutto”, gli venne in mente, ma scelse un’altra citazione:- “Io non cerco che dissonanze, Alfeo/qualcosa di più che la perfezione”-
– Non capisco – lo stuzzicò Margherita – se tu citi per approsimazione o arriicchimento…
– Fondamentalmente, si cita per ribellione all’afasia. Comunque, il personaggio omerico è Elena.
– Che sguardo! – lo sfotté lei – Non vorrai fare anche di me un casus belli!
– Saresti meravigliosa in tunica bianca, con i capelli sciolti sulle spalle.
– Colore.
– Blu elettrico.
-Parte del corpo.
– Fianchi.
– Arte.
– Epica.
– Simbolo –
– Il Carcerato.
– Ah! Allora non Scena del Carcere…
-Dell’Epifania.

 

Quattordicesimo au rebours

Era passato qualche tempo. La quattordicesima tappa non era così facile da digerire: la Stazione Centrale, il viaggio in treno, Bergamo, Città Alta, la Rocca… Così per un paio di settimane ne avevano parlato per email. Non l’avevano mai fatto e l’ occasione era ghiotta. Un epistolario ha un passo d’altri tempi. La quattordicesima tappa aveva proprio bisogno del dondolio di un vecchio calesse. Paolo a Margherita: “Non trovi che Città Alta sia un posto strano? Sembra un fondale di cartapesta. Qualche minuto prima non c’era, e dopo che te ne sei andato non c’è più. Scusa se ti ci ho portato a piedi, faceva molto caldo, ma come rinunciare alla marcia dalla Stazione lungo Viale Papa Giovanni XXIII fin sotto i bastioni? Anche la scalinata vecchia ti ho fatto salire, sarebbe stato più bello in funicolare. Mi tentava ma mi son detto: meglio al ritorno, ci sembrerà di planare verso un modellino di città che ingrandisce pian piano. ” Margherita a Paolo:” Sì, una bella passeggiata, ma faticosa…Quante volte ci siamo fermati all’ombra per rifiatare? Ti perdono solo per gli scorci di panorama: immagini di sogno nella foschia della canicola. Eravamo gli unici temerari per quelle antiche scale, se non fosse per la nonnetta che ci è venuta incontro. Tutta intabarrata e, ciò nonostante, spedita nel passo. Vedendocela sfilare accanto, con una lena sconosciuta alla nostra stanca andatura, mi è venuto da lamentarmi della vecchiaia. E tu: bella forza quella: scendeva. Ed io: ho capito perché questa è la scena dell’Epifania. In questa salita, sembro una Befana ansimante…E io un Re Magio, hai detto tu. Poi abbiamo raggiunto quella porta così slanciata …come si chiama: ah Sant’Alessandro, uno degli angoli più incantevoli e, dimentica del sole cocente, non ho potuto trattenermi dall’ ammirare il panorama.” Paolo a Margherita: “ Eri entusiasta della vista, è vero, e sono rimasto a guardarti guardare, giovanile, leggiadra “befana” blu elettrico affacciata al muraglione. Ancora non sapevi che la strada era lunga, e che avremmo dovuto attraversare il borgo antico, salendo la stradina lastricata che porta al Seminario per poi raggiungere piazza Mercato del Fieno e quindi giù, per la scoscesa via San Lorenzo fino alla Porta omonima. Qui sta la casa con la lapide quasimodiana, davanti al Parco dei Colli. Ti ho portato, come uno stendardo, attraverso il cuore centenario di Bergamo. Novello Kurz avevo preparato per te un viaggio nell’ orobico “heart of lightness” . Ero sicuro che, contro il dolce sfondo collinare, saresti stata una pennellata perfetta.”

Quindicesimo
Non erano ancora giunti nel luogo destinato. Come tutte le destinazioni era un incrocio. Caso volle che prendesse forma a Palazzo della Ragione, in Piazza Mercanti, e così sovrastasse il telefono senza fili. Prima di percorrere lo scalone che portava al crocevia della loro conoscenza, riprovarono. Questa volta funzionò, apparentemente perché Margherita, qualche giorno prima, aveva visto due ragazzi sperimentarlo con successo, e imparato come bisognava fare esattamente. In realtà funzionò perché funzionava da mesi.
Raggiunsero un sottotetto che sembrava in abbandono. Cornice suggestiva per una mostra di dipinti. Appropriatissima per “quella” mostra.
– Non capisco niente d’arte- s’era premurato di dire Paolo.
– Neanch’io- Sulla bocca di Margherita, persino una battuta scontata diventava fresca.
– Il guaio è che di letteratura capisco ancor meno — aggiunse Paolo.
– T’insegnerò io.
Chiusa la schermaglia, Margherita entrò nel vivo:
-Non mi hai ancora detto nulla sullo schema esoterico di questa tappa…Personaggio omerico?
-Ah ah — Paolo dondolò l’indice in senso di diniego — Non è necessario: tu sei coautrice di questa tappa —
Margherita si arrese ed entrarono a braccetto nella vasta soffitta, frequentata da rari visitatori. Li attendevano ad un amabile varco i dipinti di Dino Buzzati.
– Buzzati— ciceroneggiò Paolo — aveva la civetteria di considerarsi pittore. O meglio: diceva di essere scrittore per mestiere e pittore per vocazione profonda. Osava sostenere che tra le due forme espressive non c’era differenza. Sempre di narrare storie si trattava.
– Pittori scrittori…Saprai allora che anche il “tuo” Montale, lo era.
– Certo. Il prototipo è il mentore del nostro viaggio: il progettista di chiuse –
– Anche Michelangelo.
Paolo concesse, annuendo. I versi non banali dell’autore del Giudizio Universale lo ascrivevano al novero dei virtuosi di penna e pennello.
– Il non plus ultra è Alberto Savinio — aggiunse – grandissimo novelliere.
Si soffermarono davanti a un quadro. Una fanciulla scosciata, in bilico tra l’impudico e il disinvolto, contro un cielo di grandi nuvole bianche. Una ragazza in minigonna.
– Difficile il rapporto di Buzzati con le donne — chiosò Paolo- In questo dipinto vedo la protagonista del romanzo “Un amore”.-
– Raccontare con la pittura…- Margherita inseguiva quella similitudine —Bel paradosso-
– Vero. I quadri non hanno durata, come i libri. Fissano in eterno un momento.
Un altro dipinto: una contorsionista nuda incatenata al centro di una stanza dai muri psichedelici, mentre in primo piano una donna dai capelli rossi lancia uno sguardo indefinibile allo spettatore. Un utile indirizzo.
– Lunghissimo racconto — commentò Margherita.
– Sì…-
– Raccontare con la pittura è una forma di condensazione.
Paolo le sorrise ammirato. Era incantevole, nella penombra di quella soffitta. Assomigliava, in meglio, all’affascinante rossa del dipinto.
– Che poi è la meta del narrare scritto: rarefare, asciugare. La significatività scarna, la densa trasparenza. Sai qual è il genere letterario più alto?
– Dimmi.
– Il racconto di un’unica frase.“Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí”-
– Augusto Monterroso- assentì Paolo sperndendosi nel suo sguardo luminoso. Poi aggiunse: – Proposta.
– Sentiamo.
– Ti va un viaggio silenzioso nella sintesi pittorico narrativa?
Ci pensò un attimo; poi, sorniona: – Dipende dal mezzo. Taxi,Non aereobus, slitta? Dromedario, bicicletta, caval di San Francesco?
Paolo non disse nulla. La prese per mano: il mezzo più veloce. Si guidarono in un percorso tra pietre miliari dipinte.
Giacca floscia ai piedi di una catasta di finestre in disuso: Ritratto di un vecchio nobile austriaco.
Ragazza con occhi doppi e una smorfia amara, davanti a un campo di grano: Santa Ingenuità.
Stessa ragazza, con chioma nera, sotto una cupola come quella della Stazione Centrale, disinteressata ad una fantastica locomotiva coi comignoli ad alambicco che traina un codazzo di palazzoni semoventi: Il treno di Fellini.
Infine, inevitabilmente:
– un gigantesco, nero protozoo con occhi dolcissimi, in volo sopra le guglie e i tetti della città notturna: Il Babau
– una nuvola in forma di balena grigia, semiassopita, diluvia sulla campagna, ma il podere di Beniamino Pilcher è chiuso in una campana di bel tempo per intercessione della Madonna: Ex voto: la Balena Volante.

 

Sedicesimo
Quando aprì gli occhi, Margherita non c’era più.


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