"Da qui, io ti vedo" di Laura Bonelli


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Galleggiare in quel mare era una sensazione preziosa.
Le acque erano un luogo tranquillo, e lui si muoveva in esse, fiducioso.
Nuotava sostenuto da lei, che lo reggeva e lo conduceva alla meta, come quando una nave grande e maestosa approda alla fine ad un porto sicuro.
Lei era la sua guida, e lui, istintivamente, imparava. Era un bravo studente, si formava, giorno dopo giorno, grazie a quello che lei gli trasmetteva.
Però c’erano cose che non riusciva ad afferrare.
Lei era il suo tramite, i suoi occhi, il suo tocco.
Ma quegli attimi, in cui tutto cambiava, lo confondevano.
La comprensione delle cose non è una faccenda di un istante. Ti obbliga a cercare parametri, limiti, intenzioni. Ma lui non ne era capace, non ancora almeno, a volte percepiva che forse non lo sarebbe mai stato.
Si sentiva come sospeso.
Avveniva che, in un momento, tutto si rovesciava.
Dopo la quiete e il silenzio, improvvisa, arrivava la burrasca. D’ un tratto, perdeva il contatto e si trovava, naufrago, a cercar di sopravvivere, solo, su una zattera.
Non aveva strumenti di navigazione, né bussole, doveva solamente aspettare che tutto si placasse, ma ogni volta che tornava la calma, la situazione non era più come prima.
Un’ asse della zattera si era smossa, qualcosa si era perduto.
Si metteva in ascolto, cercava di prevedere i cambiamenti, per non essere più colto di sorpresa, ma non immaginava che questo l’avrebbe legato, ancor di più, a lei e al suo mondo.
Il mondo di lei era un luogo asfittico ed amaro, un malessere nebbioso suscitato dai tanti desideri non tradotti in realtà. Avevano creato un sibilo, continuo, fastidioso che fischiava nell’ orecchio il suo fallimento. A volte diventava insostenibile, l’assordava. Veniva colta da un’ansia profonda che creava dolore nell’anima, dolore fisico, dolore puro, doveva sedarlo al più presto, altrimenti impazziva.
Cominciava a mettere a soqquadro la casa, cercando nei cassetti, sotto al letto, dietro ai libri, e la bottiglia, alla fine, saltava fuori.
“E’ solo un goccio, non gli farà male” pensava tremando.
E buttava giù.
L’alcol attraversava la gola, lo stomaco e poi arrivava nel piccolo mare, dove lui abitava.
Lui non riusciva a difendersi dai quei cambiamenti improvvisi, da quelle tempeste che trasformavano l’acqua in veleno, che lo stordivano, lo rallentavano.
Voleva poterle dire: “Da qui, io ti vedo”
E mi basti.
Ma io non ti basto.
Viveva dentro di lei, ma non nel suo mondo. Avvertiva, ancor prima di venire alla luce, cos’è la tristezza.
Poi tutto si fermava. E ricostruirsi, dopo quegli attacchi pericolosi, richiedeva tempo e non era detto che fosse sufficiente per rimettersi in pari.
Restava solo l’attesa, e qualche tacito, piccolo calcio giocoso per farsi sentire.
Però questo mondo, che vive grazie alla luce del sole, è un luogo che accoglie la molteplicità. Ecco perché dietro ogni angolo oscuro si cela un chiarore, a volte fioco, a volte più forte, un’attesa di speranza. Una nuova vita che arriva, porta sempre in sé questo germe prezioso. Lui questo lo sapeva.
E col suo piccolo cuore pulsante parlava incessantemente a sua madre, spiegandole qual era il suo desiderio, quando, finalmente, anche lui fosse stato tratto fuori, a nuova luce.
Voleva, da lei, un sorriso confortato che rivelasse quanto le somigliava, quel suo volto appena nato.
E, sperava che, al suo pianto di nascita, lei non lo accogliesse con un lucido e doloroso silenzio, scorgendo in lui l’immagine imperfetta dei propri errori.


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