L’ agente Claudio Sterlini spalancò la porta con un calcio e comparve sulla soglia in posizione di tiro: le gambe flesse, la pistola ideale prolungamento delle braccia distese, entrambe le mani a stringere l’impugnatura e le dita nervose sul grilletto.
« Fermo dove sei! » urlò puntando la canna contro il giovane disteso su una poltrona, di fronte alla Tv accesa a basso volume.
La stanza era in penombra, illuminata dal riverbero dello schermo e dal riflesso di un lampione che, seminascosto dalle fronde del giardino, si intravedeva brillare attraverso la finestra aperta.
Il giovane, alto e con il volto incorniciato da una folta e lunga capigliatura, era in calzoncini corti ed a torso nudo. La tenuta, adatta al clima della torrida sera d’agosto, ne metteva in risalto l’estrema magrezza.
L’ agente Sterlini per un attimo dubitò che quello spilungone dall’aria inoffensiva fosse il maniaco “Fauci di Belva”.
Contribuiva ad alimentare il dubbio l’espressione sorpresa del giovanotto, svelata da un fugace aumento di luminosità dello schermo.
Ma, per Dio, non si sarebbe lasciato ingannare. Quello che aveva di fronte erail mostro sanguinario che la polizia ricercava da un anno.
Immediato l’assalì il ricordo della collega Mariangela, distesa sulla panchina con la gola squarciata da un morso di inaudita ferocia, il petto e la camicetta scollata del travestimento da prostituta inondati di sangue, e dovette far forza su se stesso per non vendicarla piantando un proiettile nella testa di quel bastardo.
Mariangela, Dio mio! Che morte orrenda! E che perdita per la Squadra Anti Omicidi Seriali!
«Ma lei…lei chi è? Cosa vuole?» biascicò il ragazzo, pallidissimo, lo sguardo pieno di terrore.
«Non fare la commedia con me!» urlò l’agente Sterlini, tenendolo sempre sotto tiro» E’ così che sorprendi le vittime, eh? Facendoti passare per agnellino!»
Anche la povera Mariangela doveva aver subito quella sorte. Non si spiegava altrimenti come un’agente del suo livello, esperta e addestrata nelle tecniche di combattimento, avesse potuto soccombere a quel ragazzo mingherlino.
Evidentemente, era riuscito ad avvicinarla facendosi passare per il classico giovane impacciato al primo incontro con una prostituta…
«Di che sta parlando?» Il ragazzo era sempre più spaventato.
L’ agente Sterlini fu preso dall’ impulso di guardare com’era fatta la sua bocca.
Per produrre gli squarci che gli erano valsi il soprannome doveva averla molto grande e con una dentatura possente.
«Dov’ è l’interruttore?» chiese perentorio.
Il giovane, dopo un attimo di indecisione, alzò il lungo braccio ad indicare un punto alla sinistra di Sterlini.
Questi intimò di nuovo: « Se fai un movimento, ti faccio saltare le cervella!», poi, senza distogliere lo sguardo dal ragazzo, che seguitava a fissarlo impietrito, staccò la sinistra dal calcio della pistola e palpeggiò la parete alle sue spalle fino a trovare il pulsante.
La luce invase la stanza. Era il salotto di una casa piccolo borghese, lindo e ben tenuto, pieno di mobili e suppellettili antiquati. Non ispirava nessun senso di angoscia o terrore.
Nemmeno il giovane suscitava simili sentimenti: aveva un viso dai tratti anonimi, pallido e smunto, nel quale campeggiavano gli occhi sbarrati.
La bocca era di taglio e di dimensioni del tutto regolari.
L’ unico elemento trasgressivo erano i capelli castano scuro, spioventi sulle spalle, che gli conferivano un’aria da hyppie fuori moda.
Ma sarebbe bastata una sfoltitura della chioma per fargli assumere in tutto e per tutto un’apparenza da ragazzo per bene…
All’ agente Sterlini avevano insegnato che i maniaci sanguinari sprigionano una forza sovrumana quando sono in preda a raptus omicida, ma vedere in piena luce le deludenti fattezze del suo antagonista gli insinuò il dubbio improvviso di uno scambio di persona.
E se in casa si nascondesse un altro giovane, il vero “Fauci di Belva”?
A quel pensiero si mosse di scatto verso l’angolo alla sua sinistra, in modo da tenere sotto controllo la porta, la canna della pistola sempre rivolta contro il giovanotto, che a quel movimento sobbalzò.
«Fermo o t’ammazzo! » lo redarguì Sterlini, mentre la sua mente riandava a ciò che era avvenuto dopo che aveva scoperto il cadavere mutilato di Mariangela.
Aveva il compito di rimanere nella zona d’appostamento della collega per darle man forte, ma pur precipitandosi di corsa da un vicino boschetto appena aveva udito l’urlo disperato di lei, era arrivato troppo tardi. “Fauci di Belva” aveva colpito ancora. La sua attenzione era stata richiamata da un fruscio di passi che si allontanavano rapidamente per un viottolo. Ancora si chiedeva dove avesse trovato la lucidità per agire con freddezza.
Mantenendosi a debita distanza, si era messo al silenzioso inseguimento del fuggitivo. Era riuscito a intravederlo mentre scavalcava il muro di cinta del parco in un punto al confine con una zona campestre, disabitata ed incolta, attraversata da un canale maleodorante, saturo di rifiuti e scarichi di fogna. Aveva subito capito che l’ uomo intendeva allontanarsi costeggiando la proda del canale. L’ombra furtiva dopo breve cammino aveva raggiunto il retro di una fila di case all’ estremità di un vicino quartiere di periferia. Alzato l’asse di una palizzata, si era introdotta nel giardino della villetta.
Dopo aver lasciato passare qualche minuto, Sterlini l’aveva seguita. La villetta sembrava disabitata tanto era silenziosa. Le imposte erano chiuse, tranne quelle della finestra del salotto, spalancate – ma l’interno era buio – e quelle di una finestra sul retro, i cui scuri, socchiusi, lasciavano intravedere una luce.
Si era avvicinato cautamente. Si sentiva scorrere l’acqua di un lavabo e Sterlini, immaginando che il maniaco stesse ripulendosi delle tracce dell’assassinio, aveva provato un misto di rabbia ed angoscia. Giunto sotto il davanzale, alto un buon venti centimetri più della sua statura, il rumore d’acqua corrente era stato sostituito da quello di un phon. Evidentemente il sangue zampillante di Mariangela aveva lordato la capigliatura del mostro, obbligandolo ad un accurato, macabro lavaggio…
Appena il rumore del phon era cessato, e con un clic di interruttore anche la luce si era spenta, Sterlini si era temerariamente aggrappato al davanzale, issandosi fino a scorgere di spalle sulla soglia del bagno, nel controluce del corridoio, una figura di capellone alto e magro in calzoncini corti che richiudeva la porta.
Poi era entrato nella stanza, ed era bastata una rapida ispezione per trovare orrendi segni dell’omicidio appena commesso: sul pavimento sotto il lavabo giacevano ciuffi di capelli castani incrostati di sangue ma soprattutto, prova schiacciante e definitiva, in fondo al cesto della roba sporca era stata gettata una maglietta chiazzata di grandi macchie rosso scuro.
Nell’ animo di Sterlini s’era scatenato un fremente desiderio di mettere le mani sull’assassino. Uscito nel corridoio, aveva individuato l’ unica stanza da cui provenivano luce e rumore, e vi aveva fatto irruzione.
E adesso il giovane, esile maniaco colto praticamente sul fatto ( i tratti fisici e l’abbigliamento della sagoma intravista sulla soglia del bagno non corrispondevano forse perfettamente a lui?) lo fissava con aria innocente ed indifesa….
E c’era quella porta spalancata sulla destra, verso la quale non poteva fare a meno di gettare sguardi di sottecchi…
Come spesso accade, quell’ irrazionale nervosismo finì per suggerirgli una mossa infelice.
«C’ è qualcun altro in casa?»
Dopo una pausa il giovane rispose con voce incerta, senza mutare l’espressione spaventata: «Sì. Mio fratello gemello.»
Naturalmente! Doveva aspettarselo. Sterlini si sarebbe preso a schiaffi per la propria imbecillità. Aveva offerto a quel bastardo un’occasione insperata per alimentare l’equivoco.
Una collera smisurata lo invase. Ce l’aveva con se stesso, ma più ancora col ragazzo, fosse, come sicuramente era, il sanguinario “Fauci di belva”, oppure l’ipotetico, stramaledetto fratello.
Con gesti decisi tornò verso la porta e la richiuse con un colpo di piede. Quindi staccò la mano sinistra dall’impugnatura della pistola e da dietro le spalle fece girare la chiave nella toppa.
Il ragazzo, tenuto sempre sotto la minaccia dell’ arma, rimase paralizzato a guardarlo.
«Ah sì? » lo apostrofò Sterlini » Dunque in questa casa abiterebbe il tuo gemello? Ebbene, adesso io e te ci faremo un bel giretto per andare a stanarlo il fratellino! Stenditi faccia a terra con le mani dietro la schiena!» ordinò avvicinandoglisi con la pistola spianata.
Il giovane, sconcertato, esitò.
Nella stanza risuonò di nuovo il perentorio ordine di Sterlini: «Sdraiati a terra ti ho detto!»
Il ragazzo obbedì lentamente, distendendosi sul tappeto davanti alla poltrona.
Visto in quella posizione, con la folta capigliatura che gli ricopriva la nuca, le spalle strette, le scapole ossute, le braccia magre che si incrociavano all’ altezza dei polsi, in corrispondenza del coccige, e le lunghe gambe smunte, forniva un’immagine da vittima perseguitata ed ignara.
Ma Sterlini non si sarebbe lasciato commuovere. Trasse di tasca un paio di manette, le gettò a portata di mano di lato al corpo del ragazzo e quindi gli piombò con le ginocchia sui polpacci, afferrando i polsi con la sinistra mentre con la destra gli faceva sentire sulla schiena il freddo della canna.
Il giovane sussultò di dolore.
«Zitto ! » lo redarguì Sterlini.
Spostò in avanti un ginocchio sostituendosi con questo alla sinistra nel tenergli immobilizzati i polsi, così con la mano libera poté prendere le manette e applicargliele.
Eccolo in suo completo potere, lo spietato ed astuto “Fauci di Belva”!
Aveva compiuto tutta l’operazione con l’intento di procurare sofferenza fisica al ragazzo, ed era contento di essere stato particolarmente brutale.
Ma il bello veniva adesso.
Sterlini si rialzò, chinandosi ad agguantare il giovane per un braccio imprigionato, la canna della pistola sempre a contatto della schiena.
« E’ ora di alzarsi, bastardo!» disse mentre lo strattonava verso l’alto, provando un gusto sadico nel costringere le braccia ad una torsione innaturale.
Con un gemito il ragazzo assecondò la sua spinta, mettendosi in ginocchio ed infine levandosi in piedi.
Ma a questo punto, nell’ istante in cui i due si trovarono ritti l’ uno vicino all’altro, schiena contro torace, il giovane fece un movimento impossibile e perciò completamente inatteso.
Le braccia scattarono di lato verso la mano che teneva la pistola e la scostarono, gesto consentito solo se il ragazzo si osse trovato faccia a faccia con Sterlini e le articolazioni della spalla permettessero alle braccia di alzarsi liberamente.
Nello stesso tempo, la testa capelluta si piegò da una parte rovesciandosi all’indietro verso la gola di Sterlini come nel gesto, assurdo, di mordere…
E infatti con orrore l’allibito Sterlini sentì una chiostra di denti forti e affilati penetrargli nella carne molle della gola e farne scempio.
Per sua fortuna, dopo un istante di dolore indescrivibile sprofondò nel baratro dell’ incoscienza.
“Fauci di belva” staccò dalla gola dell’ agente la bocca della sua faccia posteriore, piena di carne sanguinolenta mista a capelli.
Sterlini si afflosciò a terra.
«Che cosa hai fatto, che cosa hai fatto!» piagnucolava la bocca della faccia anteriore, pallida e con espressione angosciata.
«Smettila di fare l’isterico!» rimproverò la bocca posteriore con voce cavernosa, dopo aver sputato due o tre volte con foga «Ti avevo detto che questo stupido sarebbe stato una preda facile! L’ ho capito appena l’ho visto inseguirci da solo! Fammi togliere la parrucca» aggiunse alzando di nuovo le braccia innaturalmente disarticolate per sfregarle con energia contro i lati della testa. « E’ schifosamente sporca di sangue! E non mi sembra così resistente come aveva promesso quello da cui l’abbiamo comprata!» concluse mentre la parrucca si staccava dal cranio scivolando sulla faccia anteriore – che mandò un gridolino di ribrezzo – per cadere in mezzo ai piedi.
La faccia posteriore del maniaco bifronte fu visibile in tutte le sue fattezze: la fronte bassa, gli scuri occhi bulbosi dall’espressione stravolta, sovrastati da folte sopracciglia arcuate, il grosso naso camuso, pur ributtanti, non eguagliavano lo spettacolo spaventevole della bocca: uno squarcio enorme e senza labbra che attraversava longitudinalmente quella che avrebbe dovuto essere la nuca, mostrando due file di denti da belva feroce.