“Il citofono” di Carlo Frilli


 

 

Il profumo impregnante di soffritto che arriva dalla cucina, la tv accesa sintonizzata su un programma per bambini e la cantilena giocosa di una canzoncina inventata di Simone mi riporta a questo insolito venerdì mattina. Ero al pc nel mio disordinato studiolo e stavo cercando di ripropormi quei gesti abitudinari da ufficio, quando ho cominciato a pensare a tutt’altro e a vagare con la mente come da tempo non mi accadeva. Il lavoro assorbe la mia esistenza per più tempo rispetto a quanto avrei voluto, ma qualche anno fa l’arrivo di un bambino, il cambio di casa, il mutuo, le bollette da pagare e tutto il resto mi hanno teletrasportato in un mondo fatto al novanta per cento di lavoro e tanto stress. La giornata di oggi è una bella e rara stonatura e suona strana come il suono del citofono che in questo momento mi desta dai miei pensieri. Prima di alzarmi rifletto ancora che quasi non riconoscevo il suono del nostro citofono, a casa sto davvero poco.
“Chi sarà alle 11,30 di mattina?” ciabatto fino alla porta.
“Sarà il postino…” Marta si affaccia con il suo grembiule a fiori gialli dalla cucina con un mestolo di legno in mano. Sorrido alzando la cornetta per capire chi ha suonato.
“Buongiorno e allegria di festa e fantasia
siamo qui per annunciare un evento spettacolare.
E’ arrivato un regalino per il piccolo bambino
lo vogliamo consegnare per farlo un po’ giocare…”
La musichetta e il jingle sono partiti automaticamente non appena sollevata la cornetta del citofono e mi trovo ad ascoltare chiedendomi se buttare giù o aprire. Si tratta evidentemente di una nuova tecnica per lasciare qualcosa in cassetta. Originale, penso tra me e me. Simone, incuriosito dal suono del campanello, si avvicina a me, che sto ancora ascoltando incerto sul da farsi. Mi giro e Simone, già in piedi sulla sedia, schiaccia il pulsante di apertura del portone.
“Ehi ma bravo, hai imparato ad aprire il portone?” mentre la musichetta continua festosa annunciando varie cose di cui colgo solo una minima parte, Simone apre anche la porta di casa e attende con i suoi lego l’ospite inatteso.
“Stai lì sul pianerottolo Simo!” anche fare il padre di un bimbo di tre anni a tratti mi pare cosa nuova, un’altro aspetto di questa insolita giornata.
Sto per mettere giù il citofono quando la mia attenzione viene attirata dal cambio di registro della voce del jingle.
“…potete trovare tutte le informazioni sul nostro sito www.giochettimatti.it oppure scrivere a info@giochettimatti.it” la voce a quel punto sembra essere diventata inquietantemente profonda, roca, minacciosa e poi di nuovo veloce, troppo rapida, quasi acuta come dopo una boccata di elio.
“Marta vieni qua! Marta!” urlo per farla accorrere, mi sento salire un’angoscia dallo stomaco e un fuoco caldo mi avvampa nel petto. Mollo la cornetta che rimane penzoloni lungo la parete.
“…ora sto salendo, ora sto salendo, ora sto salendo…”
Mi precipito sul pianerottolo dove Simone si è accomodato per terra con tutti i suoi lego. Scivolo all’indietro su di un mattoncino rosso sbattendo sedere e testa. Mi rialzo dolorante e vedo un uomo molto alto con un cappuccio grigio della felpa in testa. In faccia ha una maschera semi trasparente che gli copre il volto celandone il vero profilo. Fa i gradini a tre per volta e in due balzi è già a poca distanza da noi. Non so che fare e lui per tentare di tranquillizzarmi alza le mani in una sorta di gesto di pace. Sono terrorizzato e in un microsecondo cerco di immaginarmi tutti gli scenari possibili per poter fare un’azione che ci salvi da questo film dell’orrore. Accade tutto in eterne frazioni di secondo, in frame di paura, rabbia e terrore. Mi sono immaginato varie scene e scelgo quella più rischiosa ma spero più efficace. Non so misurare la forza di quello che adesso vedo chiaramente come il mio nemico, ma so solo che se voglio sopravvivere devo fargli tanto male e respingerlo. Simone piange, è rosso in faccia, Marta è paralizzata sulla porta di casa con il mestolo che pende dalla mano, come un’arma scarica sporca di sugo. La guardo per un’istante. L’uomo è a una decina di gradini da noi, si è fermato per un’istante e ha messo la mano dentro la felpa. Faccio due passi e poi un balzo verso di lui. Tutto sembra essere al rallentatore, lui alza la testa, mi vede in volo verso di lui, ma ormai non può scansarsi. Gli afferro la testa e in qualche modo riesco a spingerla verso il mio ginocchio destro. Sento un rumore di qualcosa che si rompe. Non so se sia il mio ginocchio o il suo naso, ma non appena arretra verso il muro vedo chiaramente che la maschera si è tinta di rosso. Non perdo tempo e lo afferro per il cappuccio della felpa e i jeans e lo scaravento giù per le scale con tutta la forza che ho. L’uomo non fa resistenza e di questo sono un po’ stupito. Comincia a rotolare giù per le scale sino a stramazzare sulla porta del vicino di sotto. Rimane immobile, la maschera scivola da una parte svelando il volto di un ragazzo giovane. Gli occhi aperti e un rivolo di sangue dalla bocca. La vicina apre uno spiraglio della porta davanti alla quale giace il corpo dell’aggressore. E’ in vestaglia, porta una mano alla bocca per trattenere ciò che a breve le scapperà. Un urlo echeggia in tutta la tromba delle scale e qualcuno accorre dai piani di sotto per capire qualcosa di più. Un uomo in camicia e cravatta ci guarda con occhi grandi, si avvicina al corpo e gli tocca sotto il collo.
“Cosa è successo? Questo ragazzo è morto…chiamate un’ambulanza!”
Mentre dice questo tira fuori dalla felpa del ragazzo un pacchetto con disegni di una nota marca di giocattoli per bambini.
Mi rendo conto solo adesso che la maschera è in realtà quella di un buffo personaggio di questa nota marca e che io sono un assassino.


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