"Jenny e la metamorfosi di Narciso" di Christiano Cerasola


 

narciso

 

Tratto dalla raccolta di diciassette racconti “Uova Sbattute”, edito da Elmi’s World, 2013.

 

Metto la felpa grigia o quella nera? Boh! Tanto, che importa? Mi chiedo ogni mattina che colore indossare, anche se non cambia nulla.

Per circostanza, ogni tanto, qualcuno mi dice: “Ma come stai bene oggi!”, ma so che mente. Poverini, gli altri vogliono essere gentili con me, ma dicono frottole. Il fatto è che non sto bene né con il grigio né con il nero né con il blu, e nemmeno con il giallo o con il verde.

Io non sto bene con nessun colore, perché sono brutta.

Questo è quanto.

Non vuole essere una triste ammissione, ma solo una fredda e lucida analisi dei fatti. Io non sono per niente bella.

Nonostante tutto cerco di migliorarmi, mi prendo cura di me, mangio cose sane, non bevo alcool e non fumo, ma la sostanza non cambia. Io sono brutta.

O meglio, non sono propriamente sgradevole, sono anonima, passo inosservata.

Che è anche peggio.

Tutte le mattine, da quindici anni a questa parte, esco di casa e prendo il 35 barrato. Mi fermo dieci minuti alla fermata del tram ad ascoltare i musicisti zingari che sanno suonare solo il “Canone in D” di Pachelbel, e do loro una monetina.

Raggiungo l’ufficio e lavoro sodo, guadagno uno stipendio dignitoso e passo le vacanze in montagna con i miei genitori, festeggio i natali e i compleanni e vado a dormire. Insoddisfatta. Questo succede perché non mi piaccio.

Ho avuto una famiglia unita, un’infanzia all’insegna del profumo d’amore, un paio di fidanzati, un cane. Ho avuto tutto quello che si dovrebbe avere, ma mai la bellezza.

Ho studiato parecchio, mi sono massacrata al liceo classico, alla facoltà di filosofia e ai vari master. Hanno cercato di annientarmi con esami, prove e test, ma sono riuscita a sopravvivere a tutto.

Ho imparato a guardare le cose sotto ogni prospettiva, prendere il bene dal male, e il male dal bene.  Considerare tutto e il contrario di tutto.

La mia testa ha macinato riflessioni e pensieri, astratti e concreti; ho anche scritto un saggio che è stato pubblicato dalla casa editrice universitaria. Un saggio che viene preso a modello dagli studenti… pensa un po’!

Mi è stato insegnato come penetrare a profondo nei dialoghi e soppesare le parole, capire prima degli altri… e usare quest’arma a mio favore. Mi è stato insegnato di tutto. Troppo.

Ho appreso come non sprofondare nei momenti tristi e non gioire sconsideratamente negli attimi di felicità.

Faccio spesso buone azioni, senza volere nulla in cambio. Sono altruista, disponibile, simpatica e spigliata.

Ma non sono bella.

La mancanza di quest’unica qualità, mette in crisi l’intero mio mondo.

E non dovrebbe essere così, mi hanno insegnato che non dovrebbe essere così. Ma tant’è che io non sto bene, non mi sento bene e non sono a mio agio. Mi sono industriata nell’abbozzare una tecnica, per sopperire a questa mancanza. Tento di spiazzare le persone con le altre mie qualità, quelle positive. E allora son tutta un sorriso, un vezzo, una moina. In pratica mi comporto come una cretina.

Provo ad accaparrarmi il consenso altrui con gli strumenti che ho, con le armi di cui sono stata dotata… seppur spuntate anzi, meglio, a salve. Perché nonostante non abbia mai tentato di sfuggire a un qualsiasi tipo di competizione con le persone avvenenti, sono consapevole della mia inferiorità. E ti dicono di no… che non è vero, che è un tuo cruccio. Ti suggeriscono di smetterla, ma è così e basta.

Non è necessario essere ipocriti. È sempre stato così e lo sarà per sempre. Credo sia nella natura umana, e anche in quella degli animali. La bellezza vince, non sempre, ma spesso. Allora chi, come me, ne è privo, tenta di farsene una ragione e guarda altrove.

Ma dopo aver passato una vita a guardare oltre, ci si stanca e si comincia a osservare le persone belle. E, lo dico mordendomi le labbra, le si invidiano.

Un sano, indiscutibile, indecente, ma appagante, sentimento d’invidia. Anche questa è un’arma.

Solo che la bellezza è un’arma di offesa, l’invidia di difesa. Deprecabile, stigmatizzata, inconfessabile, ma questa è l’arma che ho: l’invidia e non la bellezza.

E non ho voglia di scomodare l’estetica filosofica e la bellezza come arte. Non ne posso più dell’idealismo estetico di Schelling e seguaci, che lo immaginavano assolutamente necessario a comprendere la natura, gli enigmi, l’essere umano. Non mi interessa nemmeno il culto della bellezza di Platone, che condizionava ogni aspetto della vita. Sono stanca di sentir parlare della bellezza nella filosofia. So che cos’è.

Ho studiato che l’estetica non è altro che il semplice aspetto della conoscenza che riguarda l’uso dei sensi. Lo so, lo so… il problema è che uno dei nostri sensi è la vista.

E la vista è particolarmente sensibile alla bellezza.

La mia vista, soprattutto.

So che ci sono state correnti filosofiche, movimenti letterari, saggi e libri dedicati a quest’argomento, so anche questo.

La poesia, la musica, la danza, la pittura, la scultura, l’architettura ne sono pervase… ne sono schiave. Lo so… e non m’importa più.

Io vorrei solo, per una volta, per un giorno, per sole ventiquattro ore, essere bella. Solo bella. Bella in modo sconvolgente. Né carina, né affascinante, né passabile. Solo ed esclusivamente bella.

Mi piacerebbe venir guardata da tutti, mi piacerebbe rappresentare l’oggetto dell’invidia delle donne, ed essere l’evidente desiderio degli uomini. Vorrei provare sulla mia pelle quella tipica indulgenza che io stessa ho, talvolta, nei confronti dei belli.

Sarebbe bello provocare brividi solo con lo sguardo senza essere costretti a dire, per forza, cose sensate. Oppure assoggettare i potenti con l’inganno di un sorriso, o trasformare gli intellettuali in stupidi con una carezza.

E ancora, desidererei essere costretta ad essere falsamente modesta, per non ferire chi è esteriormente sgradevole. Ma non succederà mai. Dunque sono obbligata a rassegnarmi, e ottenere altro… cercare soddisfazione nelle altre cose. Cose delle quali sono stanca. A trentaquattro anni mi scopro annoiata di tutto il resto, ma non ancora dalla bellezza.

Che sia Nemesi? La dea della giustizia che mi colpisce, in quanto invidiosa? Che condanna! Che riprovevole sentenza che mi è toccata! Associo la struggente armonia della bellezza alla perfezione delle uova, le cellule germinali femminili, complete e perfette.

Gli embrioni, l’origine di ogni essere, privi di difetti.

Come nel quadro “la metamorfosi di Narciso”, la tela nella quale è dipinto un uovo crepato dal quale nasce un narciso. Narciso e la sua bellezza.

Dove l’uovo era associato al periodo prenatale per simboleggiare l’amore e la speranza.

Dove la punizione del giovane ragazzo greco era quella di essere estraniato dagli altri e condannato, da solo, a guardare la sua immagine riflessa nell’acqua e innamorarsene cercando di possedere, per sempre, quello che osservava… la speranza di custodire qualcosa. La conciliante e spietata bellezza della speranza.


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