La donna che le aprì la porta le parve prosciugata e secca come corteccia di sughero. Ma forse era per via dei crampi allo stomaco. Da quando aveva preso la decisione, non la lasciavano respirare. La vecchia guardò furtivamente oltre le sue spalle, poi le fece cenno. Appena entrata, Anita vide subito la vasca. Era ingombra di lenzuola sporche di sangue, gettate dentro a fare mucchio. Formavano una strano animale accartocciato su se stesso, con corti ali, rosse e inquiete. Anita distolse in fretta lo sguardo.
La donna la fissò, e nel farlo strizzò gli occhi. Li aveva molto distanziati dal naso, e le davano l’espressione spaventata di un cavallo.
Spogliati, le disse. Le indicò il lettino.
Anita si sforzò di guardarlo. Era al centro della stanza. Sopra era stato messo un lenzuolo bianco pulito. Dalla finestra aperta entrava la luce del giorno, e lo illuminava in pieno. Le sembrò un sudario. Si vide avvoltolata dentro, già pronta per essere gettata via. Rabbrividì.
Che aspetti? disse ancora la vecchia.
Anita si avvicinò al lettino. Accanto c’era un piccolo sgabello di legno; notò che il ripiano era scheggiato. Si tolse la gonna e la maglietta e ce le appoggiò, facendo attenzione a non urtare la mano contro le schegge. Le mutande le piegò con attenzione. Prima di metterle insieme agli altri indumenti, esitò.
Muoviti! la incitò la donna. Batté ripetutamente la mano sul lettino, le dita rigide e aperte come chele di granchio. Anita cacciò via l’immagine di quelle dita su di lei, si sdraiò e divaricò le gambe. Voltò la testa di lato, e vide che addossata alla parete c’era una piccola cucina. Il fornello era acceso e sopra bolliva un pentolone.
Cos’è? chiese.
Acqua saponata. E’ questo che si usa nel tuo caso. Si mette il sapone nell’acqua e si fa bollire. Adesso vedo se è pronto.
Mentre la vecchia parlava gli occhi sembravano guardare all’indietro, e i bulbi fuoriuscivano dalle orbite, bianchissimi.
Anita distolse i suoi.
La donna prese una pera di gomma e ci attaccò una cannula. Riempì la pera con l’acqua saponata bollente e le si avvicinò.
Fra un po’ sarà tutto finito, disse.
Le cacciò con forza la cannula dentro alla vagina.
Anita si agitò, cercando di sottrarsi a quell’intrusione.
Cristo, ferma, se no ci mettiamo più tempo!
Lei si morse le labbra. Sentiva il cuore che le ritmava una canzone nelle orecchie, fin su alle tempie, ma non riusciva a individuarne la melodia.
Pensò ad Adriano. Il più grande errore della sua vita, Adriano. Quel bastardo se ne stava tranquillo a casa, neanche aveva voluto accompagnarla. Come se non fosse colpa sua. Al porco non piaceva usare il preservativo. Diceva che lui voleva sentire la carne, non la plastica. Che stupida era stata a…
La vecchia schiacciò forte la peretta, e questa volta il dolore fu terribile. Anita urlò.
Stai ferma! la rimbrottò la donna. Anita la fissò. Gli occhi bianchissimi dell’altra nitrirono nella sua testa, e tutto parve esplodere in lame incandescenti. Sto per morire, pensò.
La donna estrasse la cannula, ritornò al pentolone e riempì ancora la peretta.
Buona, se stai buona dura poco, le disse quando le fu di nuovo accanto. Le infilò dentro la cannula, e premette con forza. Una tigre cominciò a giocare con le carni di Anita. Lei si sentiva molle, umida e indifesa. Basta! disse alla tigre.
La vecchia scosse la testa e schiacciò ancora. Poi tornò ai fornelli e per la terza volta riempì la peretta. Mentre le rinfilava la cannula Anita vide la sua pupilla contenere un mostro dalla testa enorme e dagli occhi stralunati. Ma era pur un’immagine viva, lei era ancora viva, e ci si aggrappò con tutte le sue forze.
La donna schiacciò ancora la peretta e Anita si trasformò in dolore. Non distingueva più le sue parti, braccia gambe busto testa, esisteva solo il dolore, immenso, e lei ci viaggiava dentro. Volava.
Finalmente la vecchia tolse tutto. Bene, disse. Sbuffò dal naso la tensione e diede ad Anita una leggera carezza. Alzati.
Lei si alzò. Tremava. Si chiese se sarebbe riuscita ad arrivare sino alla porta.
Vai a casa a riposarti, le disse la vecchia. Poi aggiunse: Se ti viene un’emorragia corri in ospedale. Ma non fare mai il mio nome. Mi hai capita?
Anita annuì. Si avvicinò ai vestiti con le gambe larghe. Era costretta a tenerle così, se solo provava a chiuderle la tigre ricominciava a giocare.
Non ce la faccio, disse.
Passa subito. Pagami ed esci, che aspetto un’altra persona.
Lei si vestì con cautela, stringendo le labbra per non piangere. Quando mise le mutande si accorse che perdeva sangue.
Prendi, disse la vecchia, e le tese un pannolino.
Anita lo sistemò nelle mutande e le tirò su con precauzione. Poi diede i soldi alla donna.
E’ normale, il sangue, non ti spaventare, disse l’altra, rabbonita.
Andò verso il lettino e non le prestò più attenzione.
Anita uscì. Mentre chiudeva la porta vide che la donna appallottolava il lenzuolo sporco di sangue e lo gettava nella vasca, a far mucchio con gli altri.
Per strada camminò rasente ai muri, appoggiandosi con la mano. Scansava gli sguardi delle persone che incrociava: era evidente che sapevano tutto. Ogni tanto le arrivava l’odore del mare.
Arrivò a casa mentre i dolori aumentavano. Sentiva il bisogno impellente di andare in bagno, ma prima passò dallo studio.
Il marito era alla scrivania, e stava correggendo dei compiti. Lei notò la calvizie incipiente, il cranio roseo e appuntito che si faceva strada tra i capelli scuri. Ma per la prima volta da mesi quella vista non le diede fastidio. Si rendeva conto del suo errore. Non avrebbe mai avuto il coraggio di dirglielo, il suo errore. Adesso sapeva di essersi ingannata e l’idea che lui fosse lì, come sempre, così saldo e preciso ed accogliente le faceva bene. Sentì salirle dentro una felicità tranquilla, come una carezza, che la rassicurava e la commuoveva.
Lui alzò la testa per salutarla e le sorrise.
Com’è andata la passeggiata? le chiese.
Bene, rispose Anita. Mi ha fatto davvero bene uscire. Distrarsi fa sempre bene.
Tacque un attimo poi aggiunse in un sussurro: E’ bello tornare a casa, Luca.