"La Vendetta" di Manuela Cagnoni


 

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In quel pomeriggio caldo e afoso le strade di Micene erano terribilmente affollate. Gli aedi facevano ascoltare i loro pezzi più belli e sfoderavano i loro nuovi poemi, la gente cantava e ballava, le donne ringraziavano gli dei e abbracciavano e baciavano i mariti, di ritorno da una guerra che li aveva tenuti lontani per dieci lunghi anni.

Soltanto il Palazzo dei Leoni era immerso nel silenzio e nella penombra, i festeggiamenti del popolo si udivano in lontananza, ma sembravano appartenere ad un altro mondo.
Anche la regina Clitennestra, moglie di Agamennone, seduta tranquillamente sul trono di pietra con un’ancella che le faceva aria, si apprestava a festeggiare il ritorno di suo marito.
Con i capelli biondi perfettamente pettinati e il corpo sottile e minuto avvolto in una veste bianca, aveva un’aria singolarmente fragile e indifesa. Dimostrava molti anni meno di quelli che in realtà aveva, ma i suoi grandi occhi verdi rivelavano l’aggressività e la forza di una donna per cui la vita era stata tutt’altro che facile.
Per tanti anni Clitennestra aveva atteso quel giorno, facendo offerte agli dei (aveva persino dovuto sacrificare la sua migliore ancella) e covando il suo terribile rancore. Oggi il suo desiderio era finalmente esaudito.
All’improvviso l’urlo disperato della belva ferita squarciò il silenzio, rimbalzò sulle solide mura del palazzo, disegnò espressioni di raccapriccio sui volti delle ancelle, si affievolì e infine si spense per sempre.
La regina chiuse gli occhi e strinse con forza i braccioli di pietra, sospirando di sollievo. Il suo compito era stato portato a termine: niente di tutto ciò che sarebbe potuto accadere da questo momento avrebbe più avuto importanza: il suo dovere, quello che era cresciuto dentro di lei e l’aveva tormentata incessantemente in quegli anni, era compiuto. Ifigenia era vendicata e con lei Tantalo e suo figlio, mentre Agamennone era morto. Clitennestra restava ora l’unica sovrana di Micene.

Nella sua vita era stata la figlia di Tindaro prima e la moglie di Tantalo e Agamennone poi. Adesso, sola fra le donne, aveva conquistato il diritto di essere soltanto Clitennestra, padrona di se stessa, ed Egisto era il suo amante, il suo consorte, con potere di regnare solo per grazia sua.

Questi pensieri la fecero sorridere, ma il suo era un sorriso triste. No, lei non era come Egisto, non si illudeva di poter regnare indisturbata sulla città, sapeva che c’erano nemici ovunque, pronti ad invocare il nome di Agamennone, vincitore di Troia. E fra questi (era veramente terribile pensarlo!) c’erano i suoi figli, Oreste ed Elettra. Per loro Agamennone era il padre, il guerriero, l’eroe e lei la moglie infedele, la degna sorella di Elena, che non aveva esitato a portare un altro uomo nel proprio letto appena il marito era partito per la guerra.
Oreste ed Elettra erano giovani, forse un giorno avrebbero capito, si disse Clitennestra. Ma restava pur sempre un dato di fatto che aveva dovuto mandare suo figlio a Foci a causa dei continui litigi con Egisto e che Elettra rifiutava persino di parlarle.

Eppure Clitennestra amava i propri figli più di qualunque altra cosa al mondo: non avrebbe mai dimenticato la disperazione di quando le avevano annunciato che Agamennone aveva sacrificato Ifigenia ad Artemide! Per la rabbia aveva condannato a morte l’uomo che le aveva portato quella notizia ed era rimasta chiusa nella propria stanza per parecchie lune, ricevendo soltanto la sua migliore ancella. Poi aveva meditato la sua vendetta e oggi, finalmente, Agamennone era morto.

Clitennestra sospirò di nuovo. Forse un po’ lo invidiava, ora lui aveva terminato la sua missione e poteva riposare in pace, a lei invece toccava continuare a vivere, governare la città, affrontare il popolo. E poi chissà, forse gli dei sarebbero stati tanto buoni con Agamennone da fargli ritrovare Ifigenia nel regno di Ade.
Anche Agamennone aveva amato la figlia, di questo Clitennestra era sicura, e aveva fatto soltanto quello che gli dei gli avevano ordinato. Era un uomo alto e robusto, spietato con i nemici, ma nel profondo dell’animo restava un bambino ingenuo: non avrebbe mai potuto far volontariamente del male alla propria figlia.
Clitennestra, tuttavia, l’aveva odiato subito, fin dal primo momento in cui l’aveva visto, in quello stesso palazzo, e lui, d’accordo con Tindaro, aveva ucciso Tantalo e il figlio che lei gli aveva dato e che, ancora neonato, stringeva fra le braccia.

Aveva dovuto sposarlo perché era soltanto una donna e doveva fare ciò che suo padre le ordinava. Agamennone l’aveva trovata molto bella, addirittura più di Elena, e si era veramente innamorato di lei. Nella sua logica semplice, aveva trovato naturale che anche lei si innamorasse di lui e non l’aveva mai sfiorato il dubbio che invece potesse odiarlo tanto per avere ucciso suo figlio. Nello stesso modo, oggi era tornato, dopo tutti quegli anni, ignaro del rancore che lei gli serbava, credendo che avrebbe perfino accettato quella concubina che si era portato.

Per la prima volta Clitennestra guardò la donna seduta per terra, circondata dai due figli e dall’ancella che l’aveva seguita da Troia: Cassandra, la figlia di Priamo. Aveva tanto sentito parlare di lei, si diceva che fosse pazza, che fosse l’amante di Apollo. Clitennestra sorrise: chissà cos’avevano raccontato a Cassandra di lei e chissà quanto doveva odiarla adesso questa donna, che forse si era illusa di diventare moglie di Agamennone e di regnare al suo fianco. Ma poi i suoi occhi verdi incontrarono quelli scuri della troiana e capì: anche la figlia di Priamo non aveva amato Agamennone e l’aveva guardato con lo stesso disprezzo, lo stesso odio e lo stesso rancore con cui l’aveva guardato lei. Anche la figlia di Priamo era stata contraria a questa guerra che aveva portato la sua città e la sua famiglia alla rovina. Forse non erano tanto diverse: erano state sacerdotesse degli stessi dei capricciosi, che tanto avevano invocato ed adorato e che adesso guardavano tutt’e due con commiserazione, fino a dubitare della loro esistenza. Entrambe erano donne ma avrebbero voluto decidere al posto degli uomini. Inoltre Cassandra era la sorella di Paride, l’uomo per amore del quale Elena, la sorella di Clitennestra, aveva lasciato Menelao: se Priamo avesse vinto la guerra, lei l’avrebbe accolta nel suo palazzo quale parente ed amica.

Ma Priamo aveva perso, Troia era stata distrutta dagli uomini di Agamennone e loro erano inevitabilmente nemiche.
Eppure c’era ancora qualcosa che Clitennestra avrebbe voluto sapere da Cassandra: come stava Elena? E quale era stata la sua vita a Troia?

Elena, la sua gemella, la sua migliore amica, che per tutto il tempo trascorso nella casa del padre Clitennestra aveva protetto dalle donne invidiose e dagli uomini assetati di sesso. L’ultima volta che l’aveva vista, quando era stata data in sposa a Menelao, Clitennestra si era chiesta come avrebbe fatto a sopravvivere senza di lei. E invece, qualche tempo dopo, le era giunta la notizia che Elena era fuggita a Troia: la timida Elena aveva provocato la più rovinosa delle guerre e questo era molto più di quanto Clitennestra stessa avesse mai fatto.

Ma Elena, si chiese ancora Clitennestra, era stata davvero innamorata di Paride? Lei non riusciva proprio a capire come si potesse perdere la testa per un uomo. Per carità, si era trovata sempre straordinariamente bene con gli uomini e da ragazza aveva invidiato i fratelli che si esercitavano con le armi, mentre lei trascorreva noiosissime ore nel gineceo, ad ascoltare i discorsi frivoli ed inutili delle donne, ma non era mai stata innamorata.

Sì, aveva ammirato Tantalo, si era considerata fortunata di essere stata data in moglie a lui piuttosto che ad un altro, ma non era mai stata felice della loro vita coniugale e di quelle notti insonni, quando suo marito si ostinava a volere un erede, che la lasciavano dolorante e tremante. Dopo la prima di quelle notti si era chiesta che voglia potesse avere Era di bagnarsi ogni anno nella fonte di Canato per tornare vergine, dal momento che perdere la verginità faceva tanto male. Eppure adesso, dopo tanti anni, con il corpo giovane e forte di Egisto, riusciva persino a provare piacere! Ma non era stato amore quello che aveva spinto lei ed Egisto uno nelle braccia dell’altra. Era stata soltanto l’unione del loro odio, del loro rancore, della loro sete di vendetta.
In quel momento Egisto entrò, reggendo la scure insanguinata, e si inchinò davanti al trono.
“Mia signora, Agamennone è morto,” disse posando la scure ai suoi piedi.

Clitennestra sorrise, poi tornò a guardare Cassandra. Doveva ucciderla, ma perché? Non aveva niente contro di lei e tanto meno contro quei due bambini. Per un attimo le balenò l’idea di lasciarli vivere tutti e tre, ma, quando il suo sguardo incontrò quello della troiana, si rese conto che la prima a non capire quel gesto sarebbe stata proprio lei. No, pensò Clitennestra, non avrebbe lasciato incompiuto il proprio dovere: anche lei, come tutti uomini e gli dei, si sarebbe piegata al Destino.

Con un gesto imperioso della mano, la Signora di Micene indicò al proprio consorte la figlia di Priamo:

“Uccidila!” ordinò con voce fredda.

 


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