Apparteneva all’anno 2009 quel giorno d’ottobre dimenticato dal sole.
Alberto aveva finalmente deciso di abbandonare il presente. Nella sua condotta non vi era odio, né risentimento. Con cura, con moderata calma, preparava il bagaglio per andarsene da quella casa, che non era sua e in cui, alla fine, aveva così tanto sofferto. Indugiava sulle sue prospettive future, che avrebbero preso le mosse da una madre anziana che sì gli voleva bene, ma che non avrebbe potuto dar seguito a quella vita piccante, condotta con soddisfazione e successo sul principio, con rabbia e tristezza al suo epilogo.
Ma Alberto pensava a una soluzione temporanea e si proponeva un restyling del proprio ménage.
Claudia era una donna bella, consapevole di essere osservata dalla platea maschile, vanitosa, non lesinava risparmi pur di procurarsi tutto ciò che servisse a mantenerla così attraente: suo padre era un manager di alto livello. La famiglia benestante l’aveva viziata. Mai aveva saputo risparmiare, mai aveva rinunciato a qualcosa che le piacesse. Era però riuscita a impegnarsi nello studio sino alla laurea e ora lavorava in una banca nel cuore di Varese.
Effimera, agnostica, aveva consumato numerose storie con uomini di vari status: giovani scapoli, uomini sposati che tradivano con lei la propria moglie, uomini anziani ma molto affermati. Pareva nata per vendicare il loro sesso ed essere dominata dal proprio. Il sesso non le era mai mancato e Claudia lo considerava un componente di particolare riguardo per la propria autostima. Era capace di spremere un uomo per un intera notte, costringendolo a più rapporti consecutivi sino a sfinirlo. Soltanto allora si sentiva appagata. Soltanto allora poteva iniziare a prender sonno accanto a quel corpo stremato.
Verso la fine del secolo, a una festa di capodanno incontrò quello che credeva essere il suo ennesimo uomo, uno in più, giusto per inaugurare il nuovo millennio con qualcuno, visto che le si era aperto uno spazio vuoto che l’aveva indotta a marcare il passo.
Si trattava di Alberto. “Lo scorticherò come si sguscia un gamberetto”, pensò tra un bicchier di whisky e il successivo. Ma Alberto non era come gli altri. Non era sesso, soldi e sport. Era un filosofo, che ragionava con la testa, che sapeva vedere la realtà senza restarne vittima, che sapeva accostarsi a una bella donna senza caderne succube, senza far nulla che ne alimentasse la vanità. Anzi, le disse che di solito le donne agiate si occupano poco della propria etica, hanno pochi scrupoli, spesso ragionano col cervello che hanno in mezzo alle gambe e lo indirizzano come il periscopio di un sommergibile. Parole che Claudia non avrebbe mai potuto sopportare, se non le avesse dette Alberto, un uomo di dieci anni maggiore di lei, titolare di una piccola agenzia di pubblicità, meno abbiente, ma prodigo di saggezza, equilibrato e schietto, più onesto di lei. Certamente. Per questo se ne innamorò, perché non era un leccherino e non parlava a vanvera. S’innamorò della sua maturità.
Provò un nuovo trasporto. A notte inoltrata congedò gli amici e volle restare con lui nella villa del babbo, dove, dopo l’ultima sgommata di una fuoriserie, nel giardino era rimasta soltanto una piccola Citroen. Gli fece così capire che avrebbe gradito passare la notte con lui. E Alberto non la deluse.
Iniziarono dei giorni meravigliosi in cui la passione sapeva sprigionarsi tra le parole dei due innamorati. Claudia ascoltava come in estasi i discorsi sensati di Alberto, fossero questi d’amore, di politica o d’attualità o di chissà cosa: lei, bionda con gli occhi neri, si era lasciata trasportare dagli occhi azzurri del suo partner e dai suoi discorsi sobri, profondi e raffinati.
Due anni dopo: il matrimonio! Lei trentadue, lui quarantadue anni. Il nido d’amore fu la casa che il padre di lei le aveva regalato.
Ma certe donne sono sfingi di gioia e di lacrime. Il tenore di vita di Claudia non si era adeguato alla nuova situazione. Esaurito l’innamoramento, appagata la passione, ben distante dal volere una famiglia con bambini da crescere, come molte donne desiderano, ricominciò a spendere come prima, sino al doppio, al triplo del suo reddito. E Alberto non poteva di certo compensare, col suo stipendio da uomo normale, questo eccesso economico inadeguato al bilancio familiare. Così cominciarono i primi diverbi, poi le discussioni animate, infine le porte sbattute, i piatti rotti e anche le scarpe rosse con i tacchi a spillo lanciate con rabbia addosso al corpo del suo povero marito. Come la spada logora il fodero, così la passione di Alberto lo aveva fatto vivere, ma ora lo stava uccidendo.
Il matrimonio durò otto anni, ma quando, in quel mese di settembre così fatale, Claudia gli infilò nel collo un tagliacarte, Alberto decise senza esitazioni di andarsene. Forse Claudia aveva trovato qualcun altro da spennare, dato che spesso se ne usciva ingioiellata da sola lasciandolo alla TV. Alberto non era un rammollito, aveva sempre cercato di mediare in quegli anni, ma ormai quel film dell’orrore era finito. Non sarà mai possibile mettersi a cavalcare un alce.
A cinquant’anni lo aspettava la sua vecchia casa. Vi entrò con le valigie al seguito, abbracciò sua madre, la quale notò quel cerotto sul collo, e, in pochi giorni, gustò la libertà, la tranquillità dell’ambiente della sua adolescenza.
Presto Alberto si rese conto che, come l’Inferno di Dante dipingeva la vita del divin poeta perseguitata dagli spettri delle sue azioni, così la sua esistenza si era trasferita in un deserto, in un immenso oceano dove non si immerge il remo e che, sotto un cielo indifferente, in quel deserto regnava il nulla e che il nulla non lo avrebbe desiderato nessuno.
I giorni turbinavano nella sua memoria, indistinti, autunnali, tutti uguali come le foglie. I mesi passavano anonimi, diventarono anni. Sopportava la solitudine. Il lavoro non era più così creativo per lui e c’era un pesante odore di crisi nell’aria.
Era necessario per lui guardarsi intorno, riemergere dalle sabbie mobili. Rispolverò vecchie conoscenze, frequentò qualche club di Varese, ma era pur sempre un uomo solo.
Una sera, sdraiato nel divano e intento nella lettura di un libro di Alberoni, pensò ai suoi amici del liceo e si ricordò di Rossella, la ragazza che lo aveva svezzato, la prima che avesse avuto prima ancora di compiere diciotto anni.
Fu così che fece in modo di rintracciarla. La sentì al telefono. Sposata con due figli, viveva in provincia di Varese e si era da tempo separata dal marito. Fu un breve colloquio, ma l’importante era che avesse accettato di uscire con lui. Rivedersi dopo tanti anni avrebbe potuto comportare una lieta scoperta per Alberto, ma anche per Rossella. Per curiosità, per rivedere il suo primo uomo e sapere come si fosse inserito nella vita.
Fissarono di uscire a cena, sul lago.
Il pomeriggio del giorno concordato, Alberto si preparò con attenzione. Poi guardò fuori dalla finestra: era piovuto tutto il mattino e ora il cielo era limpido, fatta eccezione per una lunga coda di nuvolette che veleggiavano come anatroccoli. Indossò una camicia nuova. Poi scelse una cravatta nella sua cassettiera, una cravatta a scacchi azzurra e crema. “Farò bene a presentarmi in giacca e cravatta?” si domandò. “Uno spezzato con i jeans è la giusta via di mezzo, una scelta buona per tutte le occasioni” ammise sollevando il colletto della camicia per riabbassarlo sopra la cravatta. Se la sistemò davanti allo specchio, si appiattì i capelli con entrambe le mani. Era pronto. Aveva distillato il suo aspetto nell’intento di ben figurare. Prima di lasciarsi la porta di casa alla spalle, tuffò le mani nelle tasche della giacca, tirò fuori le linguette e vi estrasse un paio di palline di naftalina. Le depositò sul tavolino d’ingresso, salutò la madre e uscì.
Rossella comparve sulla soglia di casa. Lui ne colse subito un sorriso, quegli occhi scuri che non smettevano di danzare, proprio come se li ricordava. Era ancora una bella donna che si era mantenuta in linea con il corpo asciutto e il busto eretto. Un rapido abbraccio, come ci vuole in questi casi, qualche frase di circostanza imbastita sul tempo che era passato. Qualche domanda e qualche risposta da parte di entrambi e così il viaggio in macchina, sulla Citroen di Alberto, fu piacevole e per nulla d’imbarazzo. D’altra parte il vecchio feeling c’era stato e doveva pur ricomparire.
A cena a Laveno, sul Lago Maggiore, Alberto le raccontò tutto, del suo infelice matrimonio e della pratica di divorzio che aveva avviato. Dentro di noi ci sono delle tempeste che pochi sanno leggere, ma quella sera Alberto rivelò luci, ombre e segreti della sua convivenza con Claudia. Si strappò da dentro quei segreti per offrirli a Rossella. Le disse che aveva bisogno di sfogarsi con un’amica e che per quel motivo aveva pensato a lei.
L’aspetto introspettivo tenne banco per tutta la serata, con interesse, con complicità. Poi il viale dei ricordi venne chiuso per entrambi. Alla domanda di Alberto che chiedeva a Rossella se avesse in serbo una nuova relazione, lei rispose in una battuta che avrebbe scelto l’uomo che l’avrebbe scelta. L’incontro era risultato gradito per entrambi, si era dilungato e si era fatto tardi. Infine Rossella, dopo una breve silenziosa pausa, gli propose di fermarsi lì, all’Hotel Touring.
Alberto toccava le stelle con un dito e si domandava se le nuvolette con gli anatroccoli si fossero dileguate. Per viaggiare con i pascoli del cielo. Un lungo bacio prima di parcheggiare. Rossella aveva bevuto un po’ troppo e quel bacio sapeva anche di vino. Alberto lo aveva avvertito e glielo disse. “Le labbra di una donna ubriaca sono il desiderio di una donna sobria!” gli rispose in tutta calma accennando a un sorriso beffardo.
Alberto non capiva ancora che cosa potesse riprovare per quella donna, ma un carico seducente le gonfiava il reggiseno e ne era eccitato. E tanto gli bastava: stava ritrovando un mondo di sogni, stava finalmente seppellendo Claudia nella memoria, così come il mare sa cancellare dalla sabbia le orme di chi non si ama più. Così come una volta aveva voglia di piangere, ora aveva voglia di amare.
Fecero l’amore quella notte: una notte buia, senza stelle, ma in quella camera d’albergo la luce non mancava. Un amore nuovo per entrambi. Entrambi non lo facevano da diversi mesi. Per entrambi, il compimento di una lunga attesa.
Quando al mattino, Alberto aprì gli occhi, Rossella non c’era più. Al suo posto, sul cuscino, aveva lasciato una carta d’albergo scritta di suo pugno che recitava così: Caro Alberto, ti senti fuori posto, come se continuassi a inciampare in tutta la vita, a disagio nella tua stessa pelle, come se non fosse adatta al mondo che ti circonda, come se fossi il tassello mancante di un puzzle che non puoi completare. Non ripulire la mente se al mattino ti svegli da un sogno a metà. I sogni che tornano sono il nostro destino. Questa notte ho fatto l’amore con te, da amica, perché avevo capito che ne avevi bisogno e, forse, un po’ anch’io. Ti auguro buona fortuna, perdonami, Rossella.
Perdonarla non era in discussione, ma non doveva finire così: le sue parole non potevano essere definitive e lo scambio sessuale di quella notte era stato bello, non di certo un dessert: non era plausibile che fosse svanito nella mente di Rossella come alito sullo specchio.
Certo che l’amicizia di una rondine devota non poteva far primavera! Ma Alberto non voleva perdere quella preziosa occasione, non voleva che la solitudine per lui significasse amare gli altri inutilmente.
Non ebbe il coraggio di distruggere quella lettera, né la forza di volontà di tenerla in tasca. La lasciò lì sul cuscino di quel letto d’albergo che profumava ancora di lei. L’indomani le telefonò e le chiese con il cuore un’ultima opportunità.
S’incontrarono la domenica successiva nei giardini di Palazzo Estense di Varese, al laghetto dei cigni. Rossella era già là, a occupare una panchina, vagamente attenta al ronzio incessante di un’ape. Osservava una coppia di candidi cigni destreggiarsi nell’acqua morbida ai suoi piedi.
Mentre Alberto guardava i colori sfumati dei capelli di Rossella balenare alla luce rosso-gialla delle foglie, l’amava abbastanza da dimenticare se stesso. Le si avvicinò senza dire nulla, salvo un tiepido Ciao, e pensò che avrebbe trascurato il fatto di esser cresciuto in un pollaio se avesse avuto poi la fortuna di diventare un cigno.
Si sedette accanto a lei, la fissò negli occhi e si espresse con un sospiro che tradiva la sua ansia: “Ho qui con me due libri di Francesco Alberoni. Uno è per te”.
“Quale dei due, Alberto?”.
“Quello che sceglierai tu, Rossella, tenendo presente che ho tanto bisogno di te”. E glieli porse.
I due libri erano: “L’amicizia” e “Innamoramento e amore”!
Rossella abbozzò un sorriso. Ebbe la sensazione del vento nei capelli, fece scorrere le dita su una foglia, lo guardò negli occhi e scelse, senza esitare, uno dei due libri … Il sole si specchiava nel lago dei cigni e disegnava sul sentiero due ombre lunghe che si spostavano lentamente. Sfioravano il verde di un larice. Come si fa a passare accanto a un albero e a non essere felici? Le mani di Rossella e di Alberto univano quelle due ombre quando una delle due mormorò: “Non m’importa se ci sarà un domani…”.
Apparteneva all’anno 2013 quella tiepida domenica di dicembre illuminata dal sole.