3 Dicembre
Era come se nel cervello si stessero aggrovigliando migliaia di vermi, corpi molli e viscidi, che si agitavano in una frenetica danza, con un rivoltante moto ondoso. Invece erano solo pensieri.
Si portò le mani alla testa, come a voler fermare quel movimento.
Guardò l’ora sul display della sveglia: le 3:50. Non era ancora riuscita a chiudere occhio. Alle 6:30 si sarebbe dovuta alzare per recarsi al lavoro.
Nick aveva levato le tende da un mese e la casa giaceva nel disordine più assoluto da quel lunedì sera, esattamente come nel disordine più assoluto annaspava la sua vita.
Lo scroscio dello sciacquone fu come uno tsunami che giunse immediato a spazzare via il groviglio degli invertebrati ospiti della sua materia grigia.
Rumore di passi felpati sul pavimento. Lo sconosciuto fece la sua apparizione sulla porta della stanza.
<<Ti ho svegliata? Scusa, non volevo>>.
“Ha dormito qui!”, pensò Marianna, voltandogli le spalle.
L’uomo scivolò sotto il piumone e si appollaiò addosso alla sua schiena.
<<Che fai?>>, Marianna si irrigidì e lo allontanò da sé, rannicchiandosi dall’altra parte del letto. Attese qualche istante poi, notando che il suo sgradito ospite non accennava ad alzarsi, bofonchiò da sotto le lenzuola: <<Non te ne vai?>>.
Lo sconosciuto accese l’abatjour sul comodino. <<Lo sai che sei proprio strana? Te l’ha mai detto nessuno?>>.
Marianna si mise a sedere con fare stizzoso e si voltò verso di lui. <<Che cosa ci fai ancora a casa mia?>>, cominciò, <<Non ti ho invitato a restare>>.
Lo sconosciuto inarcò un sopracciglio, guardandola di sbieco con fare seccato. <<Tu sei suonata, lasciatelo dire!>>. Si alzò, senza nascondere una certa irritazione, raccolse i propri vestiti, li indossò velocemente e uscì dalla stanza.
Marianna udì i passi che si allontanavano, mentre il tizio si dirigeva verso l’ingresso, poi il rumore della porta che si chiudeva, facendo piombare l’appartamento nel silenzio.
Che cos’era stato? Stava sognando o era reale? Allungò la mano verso la sveglia: le 6:20 Le restavano ancora dieci minuti di sonno e non voleva perderli, ma il rumore persisteva e si stava facendo sempre più definito: proveniva dal piano di sopra. Erano voci che parlavano concitate. Qualcuno stava discutendo animatamente. Riuscì a distinguere un timbro femminile e uno maschile.
Sbuffò e si portò le mani alle orecchie. Un tonfo sordo sul pavimento la fece sobbalzare.
<<Me ne vado! E’ finita! E non provare a fermarmi!>>, si sentì gridare.
Non conosceva i nuovi inquilini. Si erano trasferiti da poche settimane nella palazzina e non aveva avuto ancora occasione di incontrarli. Avevano affittato l’unico appartamento libero dello stabile, quello che nessuno avrebbe mai voluto abitare e per questo rimasto sfitto per circa un anno. Era pronta a scommettere che l’agenzia non li avesse informati di quanto era successo là dentro. Quasi sicuramente non erano di quelle parti, altrimenti avrebbero sentito parlare di Sonia Cortesi, l’inquilina che aveva occupato quei locali, prima di loro. C’era ancora il suo nome sulla cassetta della posta. I nuovi condomini avevano applicato un’etichetta adesiva con i propri cognomi, senza preoccuparsi di rimuovere quella metallica che riportava la scritta Sonia Cortesi e Matteo Di Giovanni.
Nell’udire le voci concitate dei vicini, a Marianna tornò in mente la notte di un anno prima, quella in cui era stata svegliata dalla confusione proveniente dall’appartamento maledetto. Aveva udito delle grida anche allora, ma non ci aveva prestato troppa attenzione, perché, negli ultimi tempi, le crisi della Cortesi erano diventate sempre più frequenti. La vicina si svegliava spesso in preda agli incubi e urlava come un’indemoniata. Il dottor Di Giovanni, suo convivente, si era più volte scusato con i condomini, facendo presente il problema della compagna e chiedendo loro di essere comprensivi. Era certo che, prima o poi, le crisi si sarebbero diradate, fino a scomparire del tutto.
Quando i vigili del fuoco avevano fatto irruzione nell’appartamento, chiamati dal dirimpettaio, per l’olezzo tremendo, si erano trovati davanti una scena terribile, degna di un film dell’orrore: Di Giovanni giaceva ai piedi del letto con la gola squarciata da un paio di forbici da cucina, le stesse che Sonia Cortesi aveva usato subito dopo su di sé, procurandosi la morte. Le teneva ancora tra le mani. La stanza pareva un mattatoio, tutta imbrattata di sangue. C’erano schizzi alle pareti e una chiazza rossa ormai essiccata sotto i cadaveri dei due conviventi.
Per giorni non si era parlato d’altro a Verbania. La notizia dell’omicidio-suicidio aveva sconvolto tutti, specialmente gli inquilini del vecchio palazzo. Marianna aveva ancora nelle orecchie le grida della Cortesi di quella notte terribile. Quando erano arrivati i vigili del fuoco, era salita al piano di sopra, aveva raggiunto il pianerottolo e si era affacciata sulla soglia. Quel terribile odore di carne putrefatta, di marcio, le aveva invaso le narici, le era penetrato dentro e le si era indissolubilmente fissato nel cervello, esattamente come il rumore delle grida concitate, un incubo che non avrebbe mai rimosso dalla memoria. Per notti e notti, dopo la scoperta dei corpi, le era parso di sentire i passi della Cortesi, come se la donna fosse ancora stata presente, come se qualcuno si fosse ancora mosso all’interno di quei locali ormai vuoti, abbandonati. Ma da allora nessuno aveva più osato mettere piede là dentro.
Udì una serie di rumori, come di oggetti che cadevano e rotolavano sul pavimento, il ticchettio di scarpe col tacco poi la porta d’ingresso che veniva sbattuta violentemente.
Ora i tacchi erano percepibili sul pianerottolo e riecheggiavano per la tromba delle scale. Nell’appartamento di sopra era piombato il silenzio.
4 Dicembre
A piedi nudi, si diresse verso la finestra e alzò la tapparella: cielo stellato. Si prevedeva un’altra bella giornata. Mancavano tre settimane a Natale. Marianna sperava nella neve. Già si immaginava chiusa in casa, sdraiata sul divano del salotto, avvolta nella coperta di pile, un buon libro da leggere, un bicchiere di vino rosso accanto, da sorseggiare lentamente, davanti alla stufa accesa. Non vedeva l’ora di prendersi qualche giorno di ferie, per recuperare un po’ di energie. Aveva bisogno di relax, di dedicare tempo a se stessa. Sarebbe stato bello concedersi una vacanza, magari una crociera. Ma c’era il problema soldi. Accidenti al suo ex, che l’aveva mollata su due piedi! Bastardo! Aveva sicuramente un’altra.
Quando arrivò in ufficio, trovò una serie di carte impilate sulla scrivania.
<<Il capo ha detto di darci un’occhiata. Devi smistare la posta con una certa urgenza. Ti aspetta di là, appena avrai finito>>, le comunicò Rita, facendo capolino sulla porta.
Marianna non rispose. Si limitò a fissare nel vuoto.
<<Tutto a posto?>>, si interessò l’altra. <<Hai l’aria stravolta>>.
Marianna si riebbe dai suoi pensieri. <<Sì, tutto bene, ho solo dormito poco>>.
<<Lui? Si è più fatto vivo?>>.
<<Ma figurati!>>.
<<Mi dispiace. Quando vuoi, lo sai>>.
Rita l’aveva invitata spesso a pranzare con lei, per scambiare quattro chiacchiere, ma Marianna non si sentiva ancora pronta a parlare di Nick.
Mentre smistava la posta, si ritrovò a pensare a quanto era successo la mattina precedente. Cercò di immaginarsi come potesse essere il nuovo vicino: piuttosto giovane, a giudicare dal timbro della voce.
Ma che stava facendo? Aveva messo la posta prioritaria nella cartella sbagliata.
Chissà perché la moglie se n’era andata? Per mollarlo così, doveva essere successo qualcosa di grosso tra i due.
5 Dicembre
Un’altra notte insonne, disturbata dai soliti vermi nella testa.
12:30. Aveva trascorso l’intera mattina con il pensiero rivolto a Nick.
<<Che ne dici di andare a mangiare un panino insieme? Ti va?>>. La voce di Rita l’aveva distratta dai suoi pensieri.
Diede una rapida occhiata alla scrivania e alle cose da sbrigare, poi decise. <<Ma sì, non ho voglia di rimanere in ufficio con questa bella giornata!>>, disse.
Attendevano che il cameriere giungesse per le ordinazioni. Avevano preso posto a un tavolino all’aperto.
<<Adoro le giornate così!>>, esclamò Rita, estraendo lo specchietto dalla borsetta e sistemandosi il rossetto. <<Ti piace? E’ di Dior>>, si apprestò a dire.
<<Carino>>, osservò Marianna. <<Forse un po’ vistoso>>.
In realtà era troppo vistoso e conferiva un che di volgare al viso sciupato e rugoso della collega.
Il San Carlo scivolava leggero sull’acqua, avvicinandosi al molo.
Dal bar dove erano sedute, Marianna, con aria distratta, faceva scorrere lo sguardo dall’Hotel Intra al vecchio imbarcadero e osservava gruppi di studenti che prendevano posto sulle panchine, mescolandosi ai turisti. Strano che ci fosse così tanta gente in giro di quella stagione!
Si perse nei ricordi. Rivide l’ultima volta in cui si era seduta su una di quelle panchine insieme al suo uomo. Si era voltata verso di lui e l’aveva baciato sulle labbra. Sentiva ancora il sapore di quel bacio che sapeva di fumo, mentre lui teneva la sigaretta accesa tra le dita e lasciava cadere la cenere a terra.
Rita continuava a parlare concitatamente dei suoi ultimi acquisti, almeno così le era parso.
<<Non sei d’accordo anche tu?>>, domandò a un tratto, cogliendola di sorpresa.
<<Come?>>. Trasalì.
Rita la guardò dritto in viso. <Non hai ascoltato una sola parola di quello che ho detto!>>.
Marianna arrossì leggermente. <<Hai ragione>>, ammise. <<Scusami>>.
<<Stai pensando a lui?>>, cambiò discorso l’altra.
In quel momento giunse il cameriere. Ordinarono due toast farciti e due acque toniche.
<<Mi sto sforzando di non farlo>>, confessò.
<<Ti va di parlarne?>>.
<<Non c’è molto da dire. Se n’è andato e non mi ha più cercata>>.
<<E tu? Hai provato a chiamarlo?>>.
Avrebbe voluto dirle di no, che non l’aveva fatto, ma la verità era un’altra. Lo aveva cercato fino allo sfinimento, ma lui non aveva mai risposto. Una volta, uscendo dal parrucchiere, aveva visto la sua auto posteggiata davanti a un bar. Era entrata per ordinare un caffè, nella speranza di beccarlo in compagnia della sua sostituta, invece… nulla: lui non era là. Uscendo, aveva preso le chiavi di casa dalla borsa e gli aveva lasciato un ricordino sul cofano, dopo essersi accertata che nei paraggi non ci fosse nessuno. BASTARDO: l’aveva scritto a caratteri cubitali.
Avrebbe tralasciato di raccontare alla collega quel piccolo, insignificante particolare.
<<Perché non provi a uscire con qualcun altro?>>.
<<Rita, ti prego!>>, disapprovò, sbadigliando.
Si sentiva sempre più stanca, sempre più spossata. La serie di notti in bianco cominciava a sortire effetti negativi sul suo umore. E poi c’erano quei maledetti vermi, che non le davano tregua.
<<Pensaci!>>.
Non aveva certo bisogno dei suoi consigli. Aveva già provato a uscire, una serata della serie una botta e via. Uno squallore! Non era certo quello, che le serviva per dimenticare.
6 Dicembre
Era buio, quando uscì dall’ufficio. Percorse i vicoli del vecchio borgo a passo spedito, finché sbucò sulla via principale, di fronte al lago. La costeggiò fino ad arrivare di fronte alla gioielleria, all’angolo di via De Bonis. Attraversò la strada e indugiò un istante a osservare le vetrine. Passò davanti al negozio di elettrodomestici del Carmine e si infilò nel portone al numero 10. Svoltò a destra e salì l’ampia gradinata in pietra. Arrivata al pianerottolo, controllò se ci fosse posta. Lo sguardo le scivolò sulla cassetta sopra la sua. Lesse Argentero-Soldini. Pensò che uno dei due nomi sarebbe stato cancellato presto.
Entrata in casa, sfilò gli stivali e si lasciò cadere sul divano. Stanchezza infinita.
Quella sera si accontentò di una cena veloce, poi guardò un po’ di tivù e andò a letto. Aveva bisogno di dormire.
Versò nel bicchiere le solite gocce di bromazepam e attese che giungesse il sonno a rapirle i pensieri.
Stava salendo una vecchia gradinata. C’era sporcizia lungo la scala: carta appallottolata, un bicchierino di plastica, qualche foglio di giornale abbandonato. L’ambiente era scarsamente illuminato. Giunse davanti a un portone. Fece leva con la mano sulla maniglia e quello si aprì senza fatica. Tastò la parete in cerca dell’interruttore della luce. Lo trovò quasi subito. Una vecchia plafoniera, ricoperta da un fitto intrico di ragnatele, illuminò fiocamente l’androne. Alcune porte si affacciavano sul pianerottolo. Si guardò attorno: lo stabile aveva un’aria fatiscente, come se non fosse più abitato da tempo. A un tratto, avvertì una forza che la spingeva a dirigersi verso uno degli appartamenti. Non sapeva chi ci abitasse o ci avesse abitato, ma sentiva di non potersi opporre a quell’attrazione. Come si trovò di fronte alla porta, questa si spalancò: un torrente di sangue la investì, scivolando impetuoso verso il portone fino a scomparire lungo le scale, inghiottito dall’oscurità. Marianna abbassò lo sguardo verso i propri piedi: erano nudi, rosso sangue, umidi e bagnati. Provò a muovere qualche passo: la sostanza vischiosa la seguì, come incollata alla pelle.
Marianna si svegliò di colpo. Si sentiva soffocare. Che incubo tremendo!
To toc, to toc…
Cos’era quel rumore? Tese l’orecchio. To toc, to toc…
Di nuovo.
Accese la luce sul comodino: le 4:00.
Proveniva dal piano di sopra. Sembravano passi strascicati e pesanti. Anche il vicino soffriva di insonnia? Era lui che camminava avanti e indietro per la stanza? Avvertì il rumore allontanarsi, farsi via via più leggero: doveva essersi spostato in un’altra stanza.
Spense la luce e sprofondò nuovamente la testa nel cuscino.
To toc, to toc…
Di nuovo. Accese la luce: le 5:45.
Il rumore andò avanti ancora per un po’ poi smise di colpo.
Da quando il suo ex se n’era andato, Marianna non aveva più dormito una notte intera. Sapeva bene che cosa significassero gli attacchi d’ansia, la paura del buio, del silenzio, del vuoto. Si ritrovava spesso, nel cuore della notte, a cercare col piede la gamba di lui nel letto. Le mancava quel contatto fisico. Le mancava lui.
Quella mattina uscì di casa prima del consueto. Anziché imboccare la solita strada e dirigersi verso il lungolago, svoltò a destra, infilandosi in un viottolo che non aveva mai percorso. Una forza misteriosa la spingeva verso un vecchio palazzo. Si affacciava su un cortile interno. Marianna si muoveva sicura, come se conoscesse bene quel luogo. Attraversò il cortile e si trovò di fronte un’ampia scalinata. Salì i gradini, finché giunse davanti a un portone aperto: all’interno un androne sul quale si affacciavano alcune porte. Trasalì: tra quelle, la porta del suo incubo!
Si precipitò sconvolta giù dalle scale. Un’anziana signora con la borsa della spesa stava sopraggiungendo proprio in quel momento. Nella foga della corsa, Marianna la urtò e il sacchetto cadde a terra, rovesciando tutto il contenuto.
<<Mi dispiace>>, si scusò.
L’anziana signora protestò per i modi bruschi e incivili.
<<L’aiuto a raccogliere la sua roba>>.
Mentre Marianna riponeva la spesa nella borsa, l’anziana la osservava con fare sospetto. <<Non l’ho mai vista prima d’ora>>, disse. <<In questa vecchia casa ormai abito solo io da diverso tempo. Cercava qualcuno?>>, si interessò.
Marianna alzò gli occhi su quel volto rugoso e pallido. <<Credo di essere già stata qui, ma non ricordo>>, si giustificò. <<Stavo passando da queste parti, quando ho visto il cortile e mi ha ricordato qualcosa, così…>>.
<<E’ una curiosa? Dica la verità>>, incalzò la donna. <<Voleva vedere anche lei l’appartamento della Cortesi, non è così?>>.
L’appartamento della Cortesi… Marianna provò un tuffo al cuore. La Cortesi aveva abitato lì?
L’anziana donna notò l’espressione sorpresa della sua interlocutrice. <<Davvero non sa niente?>>, domandò.
<<Sapere cosa?>>.
<<Che il padre della Cortesi, la pazza di Verbania, come la chiamano tutti, ha ucciso la moglie a colpi di martello davanti alla figlia quand’era bambina>>.
7 Dicembre
Ore 2:00
To toc, to toc…
Ore 3:45
To toc, to toc…
Ore 6:00
To toc, to toc…
8 Dicembre
Il solito orario, il solito rumore insistente.
10 Dicembre
<<Ehi, che faccia sbattuta hai stamattina!>> Rita la salutò sulla porta dell’ufficio. <<Non stai bene?>>.
Marianna sbadigliò. <<Ho un sonno tremendo>>, spiegò. <<Non ho dormito. A dire il vero sono notti che non dormo>>.
<<Perché non prendi qualcosa?>>.
<<Mi sto imbottendo ogni sera>>.
<<Non funziona?>>.
<<Non è per quello>>, spiegò, <<Il mio nuovo vicino soffre di insonnia e non lascia dormire nemmeno me>>.
<<Non mi avevi mai detto nulla di lui!>>, osservò Rita. <<Che tipo è? Belloccio, single?>>.
<<Non lo so: non l’ho mai visto>>.
<<Come sarebbe? Arriva un uomo nel tuo palazzo e non ti informi su di lui?>>.
<<Rita, ti prego!>>. Scrollò la testa.
<<Perché?>>, si stupì l’altra.
<<E’ sposato o comunque impegnato: ha una compagna>>.
<<E tu come lo sai?>>.
<<Li ho sentiti litigare l’altra notte. Poi lei se ne è andata>>.
Rita ebbe uno scintillio negli occhi. <<Che storia interessante! Beh, se lei se ne è andata, adesso è un uomo libero. Pensa, non lo conosci, ma sai già quanto basta sul suo conto!>>.
<<Urlavano in piena notte! Non ho potuto fare a meno di ascoltare quello che dicevano>>, si giustificò. <<Sta al piano di sopra, nell’appartamento della dove viveva la Cortesi>>.
Rita trasalì. <<Cavolo!>>, le sfuggì. <<Qualcuno ha avuto il coraggio di entrare ad abitarci?>>. <<Già, a quanto pare…>>.
Rita parve perplessa.
<<A che pensi?>>, domandò Marianna.
<<Nulla. Mi hai fatto tornare in mente quella vicenda. Una cosa orribile! Io non vivrei mai in una casa come quella. Ma sei sicura che sia gente normale?>>.
Marianna la guardò seria. <<Ti ho già detto che non so niente di loro>>.
<<Hai provato a salire da lui?>>.
<<Sei matta? Per fare che?>>.
<<Sola tu, solo lui… sai com’è…>>. Aveva già abbandonato l’aria seria e le era tornata l’espressione maliziosa di sempre. <<Di’ la verità: ci hai pensato>>.
<<No!>>.
Rita la fissò dritta negli occhi.
<<Beh, sì, ma…>>.
<<Nessun ma, cara! Stasera andrai da lui>>.
Marianna si agitò. <<Per dirgli che?>>.
<<Gli chiedi se ha bisogno di qualcosa, gli dici che sei sola anche tu, che anche tu soffri di insonnia e poi…>>.
<<Non posso!>>.
<<Sì che puoi! E’ un’occasione che il destino ti sta servendo su un piatto d’argento! Pensaci! Che cosa stai aspettando?>>.
<<Non l’ho nemmeno mai visto, Rita! Magari è brutto, gobbo, deforme…>>.
<<Non essere ridicola!>>.
<<Cammina strano!>>, si affrettò a dire.
<<Che significa cammina strano?>>.
<<Non sono passi normali, quelli che sento. Credo che sia zoppo>>.
<<Ma smettila di trovare scuse! Stasera vai da lui e domani mi racconti!>>.
Si trovava in quella orribile casa. La porta si chiuse alle sue spalle con un fragore assordante. L’uomo la fissava con occhi terrificanti. Nella mano destra un martello che colava sangue. Spalancò la bocca ed emise un urlo agghiacciante. Cominciò a correre verso di lei. I passi rimbombarono lungo il corridoio, facendo tremare l’intero appartamento. Lei provò a scappare, ma i piedi erano come incollati al suolo.
Marianna si ritrovò seduta nel letto con gli occhi sbarrati e il fiato corto. Un altro incubo!
To Toc… di nuovo quel rumore.
11 Dicembre
<<Allora, com’è andata?>>. Rita si affacciò sulla porta con un sorriso malizioso stampato sulla faccia.
Marianna se ne stava seduta alla scrivania, l’aria disfatta, gli occhi gonfi e cerchiati.
<<Nottatona, eh? Hai due occhiaie!>>.
Marianna alzò lo sguardo verso di lei, gli occhi stralunati: <<Lasciami in pace! Vattene!>>.
Rita non poteva credere alle proprie orecchie.
<<Ma che hai?>>, domandò.
<<Ho che non ho dormito nemmeno stanotte e sono stanca, ok? Ho che la mia vita è uno schifo, che non ho più un uomo e che passo le notti a versare gocce in un bicchiere e infilarmi silicone nelle orecchie e al mattino sono completamente stordita! Ti può andar bene, come risposta?>>.
Rita girò sui tacchi. <<Quando sarai di umore migliore, sai dove trovarmi>>, disse, richiudendosi la porta alle spalle.
Il fermento dei vermi riprese vorticoso. Marianna poteva quasi sentirne il rumore.
<<Andatevene via! Via!!!>>. Rovistò nella borsetta, in cerca del flacone del bromazepam.
Ne aveva assolutamente bisogno: non poteva permettersi di perdere il controllo, non in ufficio.
12 Dicembre
<<Posso?>>. Marianna si affacciò timidamente alla porta dell’ufficio di Rita.
<<Hai bisogno di qualcosa?>>, domandò fredda l’altra.
<<Volevo scusarmi con te per ieri>, rispose. <<Sono stata…>>.
<<Stronza? E’ la parola che stavi cercando?>>.
<<Sì. Scusami, Rita… non volevo, davvero… E’ che ultimamente sono molto stanca e nervosa. Temo di essere un po’ esaurita>>, si giustificò.
<<Solo un po’? Tu dici? Ultimamente sei parecchio strana, di umore altalenante e inafferrabile. Non sei più tu, fatico a riconoscerti>>.
Anche lei faticava a riconoscersi. Si guardava allo specchio, ogni mattina, e le sembrava che l’immagine riflessa fosse quella di un’altra donna, una Marianna che non aveva mai visto prima e che non le piaceva, non le piaceva affatto.
<<Volevo dirti anche che ho deciso di accettare il tuo invito per Natale: non mi va di restare sola>>.
Guardò l’amica. <<Sempre che tu lo voglia ancora…>>.
<<Certo che lo voglio>>, disse, abbozzando un sorriso.
“Quel rossetto ti sta proprio uno schifo!”, pensò Marianna. “Tu fai schifo! Sembri una maschera di carnevale, con quella bocca dipinta. Sei ridicola e volgare. Ma ti vedi, quando passi davanti a uno specchio?”. Ebbe l’impulso di dirle in faccia quelle parole. Ma cosa le stava succedendo? Non aveva mai provato una simile aggressività.
<<E il vicino? Ci sei poi andata o no?>>.
<<No>>, rispose.
<<E pensi di farlo o hai gettato la spugna?>>.
<<Penso che lo farò. Presto>>.
13 Dicembre
To toc, to toc… Eccolo!
Erano sicuramente le due di mattina.
Marianna rovistò nel comodino, senza nemmeno più accendere la luce. Prese i tappi di silicone e li infilò nelle orecchie, premendo a fondo, per attutire il più possibile il rumore. Sapeva già che non avrebbe funzionato, ma ci sperò, come ogni notte.
Anche quella mattina sarebbe andata al lavoro con gli occhi cerchiati.
14 Dicembre
Avvolta nel plaid in pile, Marianna attendeva sul divano che la cena fosse pronta. Aveva infornato un piatto surgelato, di quelli veloci. Intanto pensava alle parole che avrebbe potuto dirgli, quando lui avesse aperto la porta.
Era stanca, gli occhi le si chiudevano da soli. Faticava a tenere le palpebre sollevate, tanto le sentiva pesanti: il peso di troppe notti in bianco. Si sentiva esausta, il solito movimento di vermi nel cervello.
Il timer del forno suonò, avvisandola che la cena era pronta. Mise il vassoio di cartone in tavola e, senza nemmeno apparecchiare, prese dal cassetto delle stoviglie un coltello e una forchetta e si sedette a mangiare.
Quel pomeriggio, tornando dall’ufficio, aveva scorto nella vetrina di un negozio di quadri un dipinto che l’aveva colpita a tal punto, che non aveva potuto fare a meno di entrare e comprarlo. Si era fatta il regalo di Natale, quello che avrebbe tanto desiderato da Nick. Dopo cena, lo avrebbe appeso al centro della parete del salotto, proprio sopra il divano.
Svuotò nel sacchetto dell’umido gli avanzi della cena, sistemò velocemente la cucina e aprì la cassetta degli attrezzi, in cerca del martello e del chiodo più adatto a sostenere il peso di quell’enorme quadro. Si domandò se ce l’avrebbe fatta da sola a reggerlo, per prendere le misure. Era talmente grande, che necessitava di due chiodi, come due erano i ganci sul retro. Posò il quadro, ancora avvolto nella carta, ai piedi del divano, assicurandolo a terra su un cuscino, in modo che non scivolasse. “Basta, devo assolutamente reagire, devo dare una svolta alla mia vita!”, pensò. “Voglio anche imbiancare le pareti della casa: colori accesi, vivi!”. Si guardò attorno. “Basta con questo mortorio, con questi colori grigi, insignificanti!”. Un sorriso che somigliava a una smorfia si dipinse sul suo volto. “Sto andando a fondo, devo assolutamente risalire. La parola d’ordine, da questo momento, sarà reagire!”.
Non sopportava più quella situazione, quella vita. Si sentiva soffocare.
Alzò lo sguardo al soffitto. “E seguirò anche il consiglio di Rita: mi farò coraggio e salirò dal vicino. Questa volta lo farò davvero”.
Salire al piano di sopra la spaventava terribilmente. Aveva ancora nelle orecchie le urla, nelle narici quell’odore di morte, quell’odore che, dalla sera della tragedia, non l’aveva più abbandonata. E il ricordo di Sonia, quella donna così fragile, era ancora vivo in lei. Marianna si sentiva così vicina all’anima persa di quella disgraziata. Perché Sonia lo era stata davvero: una donna senza grazia, di quelle che nessun dio si era preoccupato di soccorrere, di aiutare. Era stata abbandonata a se stessa, violata nella sua innocenza di fanciulla. Il demonio l’aveva trovata debole e si era impossessato di lei, una volta donna, e della sua anima, indissolubilmente, inevitabilmente. Non c’era alcuna speranza di redenzione per lei: la sua sorte era segnata e quella tragica notte aveva trovato compimento, così come doveva essere, così come è l’ineluttabilità del male. Nemmeno l’amore del suo compagno aveva potuto nulla contro quanto era già scritto tra le pagine del suo destino.
Marianna era stanca di soffrire. Si sarebbe buttata il passato alle spalle. Avrebbe chiuso con le giornate grigie, con gli psicofarmaci, con la depressione. Il nuovo anno sarebbe iniziato all’insegna di una nuova vita. Non si sarebbe arresa: a differenza di Sonia, lei ne sarebbe uscita.
Da due ore era distesa nel letto senza riuscire a dormire. La carica di adrenalina le faceva martellare il cuore, la sua mente era un vortice di progetti, di cambiamenti.
To toc, to toc…
To toc, to toc…
Accese la luce e controllò l’ora sulla sveglia: le 2:00. Puntuale, come ogni notte.
Eccolo, era giunto il momento!
“Forza, fatti coraggio!”, si disse.
Fece un profondo respiro, si alzo dal letto e si infilò le pantofole, quindi uscì sul pianerottolo.
Saliva le scale, silenziosa e leggera. Quella sarebbe stata l’ultima notte insonne, la fine di un capitolo doloroso della sua vita e l’inizio di uno nuovo: questo si augurava.
Cercava di immaginarsi come sarebbe stata la figura che le sarebbe apparsa davanti: sarebbe stato alto, forte, atletico?
Quando si trovò di fronte alla porta, il cuore le balzò in gola. Era tesa, agitata. E se non le avesse aperto? Non aveva intenzione di suonare il campanello, non voleva svegliare gli altri vicini. Avrebbe invece bussato, tanto, nel silenzio della notte, lui avrebbe sicuramente sentito.
Qualche secondo e il rumore dei passi strascicati si fece chiaramente percepibile, mentre si facevano sempre più vicini. Sperò che non chiedesse: “Chi è?”. Non voleva che nessuno la sentisse rispondere: “Sono la vicina, quella del piano di sotto.” Meglio essere discreti. Nessuno doveva sapere che lei era stata lì.
L’occhio le cadde sulla targhetta: dottor Argentero, psichiatra. Da non credere! Come il De Giovanni!
Le parve di vedere il volto di Sonia passarle davanti, come un fantasma, avvertì la sua presenza, percepì il suo profumo, quello buono che lasciava sempre al suo passaggio lungo le scale, quando ancora era una donna all’apparenza sana di mente, una donna affascinante, che non passava inosservata tra i condomini del palazzo. Belle come lei se n’erano viste poche e da allora non se ne erano viste più.
Udì il fruscio dello spioncino che veniva spostato. Si mise in posa, ben visibile, lì davanti, e sorrise. Le sembrò addirittura di sentire il fiato dell’uomo, attraverso l’uscio. Poi il rumore della chiave che girava nella serratura e la porta, silenziosamente, si aprì.
Aveva l’aria sorpresa. Indossava una tuta da casa. Non era affascinante come lo aveva immaginato ed era molto più vecchio di quello che le era parso dal timbro della voce. I capelli grigi spettinati incorniciavano un viso sfatto, la barba incolta, lo sguardo appannato, sottolineato da un paio di borse gonfie e rugose, un fisico appesantito, non certo atletico.
<<Ha bisogno di qualcosa?>>, domandò.
Attraverso la porta aperta, Marianna riuscì a scorgere l’ingresso: l’arredo era diverso, le pareti erano state dipinte di una tinta accesa, ma a lei pareva di sentire ancora quell’odore, quel terribile olezzo di marcio di quella notte. Tirò su col naso poi espirò dalla bocca. I vermi presero ad agitarsi freneticamente. Provò una fitta lancinante alla testa.
Il dottor Argentero aveva un’espressione interdetta.
<<Abito al piano di sotto>>, cominciò, <<mi chiamo Sonia. Sonia Cortesi>>.
Lui non ebbe nemmeno il tempo di dire nulla. Maria impugnò fermamente il martello che aveva portato con sé e sferrò un colpo violento, con tutta la forza che aveva, al centro della testa del vicino. Un solo colpo, diretto, ben piazzato, un sinistro scricchiolio di ossa che si frantumavano. Gli occhi dell’uomo si spalancarono, per una frazione di secondo, in un’espressione più di stupore che di dolore, poi cadde a terra, afflosciandosi come un sacco vuoto.
La donna lo osservò. Una impercettibile smorfia le si stampò sulle labbra. “Ora Sonia potrà riposare in pace. Hai finito di tenerla sveglia tutte le notti!”.
Una chiazza di sangue prese a espandersi sotto il capo, sul pavimento. Ecco, ce l’aveva fatta: il cambiamento era iniziato.
Scese silenziosamente le scale e si richiuse la porta di casa alle spalle. Sciacquò il martello nel lavello della cucina e lo adagiò sul divano, accanto al quadro: lo scartò. Era il ritratto di una donna sorridente. “Ciao, Sonia”, la salutò. Lo avrebbe appeso l’indomani.
Poi tornò a letto, soffiò forte il naso nel fazzoletto e finalmente buttò fuori tutto l’odore di marcio che aveva respirato a fondo la notte maledetta. Le parve di avere soffiato fuori anche l’anima, quell’anima marcia che l’aveva invasa allora. Le sembrò di vedere Sonia sorridere.
Ora avrebbe finalmente dormito un sonno indisturbato fino al mattino. Sorrise a sua volta e si sentì subito meglio. Anche i vermi avrebbero dormito con lei.