Al di là della porta, prese a diffondersi una musica assordante, che fece gelare il sangue nelle vene a tutti. Euge aprì, e schiacciò un pulsante sulla destra, illuminando un corridoio sul quale si affacciavano cinque o sei porte. Sul pavimento, le tracce erano adesso più rarefatte. Era come se a questo punto l’oggetto sanguinante fosse stato sollevato. Proseguirono uniti fino in fondo, poi entrarono nell’ultima stanza a destra, scostando una porta socchiusa. C’era un grande specchio, in quella camera da letto quasi interamente occupata da un talamo ben più grande delle classiche due piazze. Sopra la superficie riflettente, un’altra frase tracciata col sangue.
LA RISPOSTA… NON SENTO LA RISPOSTA
E poi, un poco più a destra:
MI CERCATE?
Sotto, una freccia indicava in maniera eloquente l’apertura di una grande finestra che dava sul giardino. Il primo ad affacciarsi fu Gario
– La piscina – disse indicando il rettangolo azzurro rischiarato da una luce summersa – cosa c’è sopra?
Corsero a ritroso lungo le scale della villetta, tornando su uno dei vialetti del giardino, verso la piscina. Si muovevano mossi da un comune terrore. Qualcuno piangeva. Veronica, per esempio, non sembrava più in sé e continuava a tremare, senza che Jacques sapesse fare troppo per consolarla. Marghe, invece, era una maschera di ghiaccio, intenzionata a chiudere quella macabra caccia al tesoro nel più breve tempo possibile. Arrivarono a bordo piscina con le mani sulle ginocchia, piegati in avanti nel tentativo di recuperare le forze. Aldo affiancò Gario e insieme strabuzzarono gli occhi in direzione del cuore della piscina. C’era una sorta di cuscino gonfiabile, che galleggiava sull’acqua. Sopra, un paio di occhiali da sole e un oggetto che sulle prime, data la luce quasi nulla, non riuscirono a identificare. Aldo prese il retino per la pulizia della vasca, posato a pochi passi, e lo usò per attirare verso di sé il cuscino. Una volta terminata l’operazione, prese in mano gli occhiali.
– Sono i suoi?
– Sì – rispose Gario.
Preso in mano l’altro oggetto, Aldo se lo passò dalla mano destra alla sinistra, per capire. Poi si ritrasse e lo lanciò nel prato, urlando.
– Cos’è? Che diavolo è? – disse uno del gruppo.
– Non lo so, non lo so!
Le mani di Aldo erano piene di sangue, e lui continuava a guardarsele incapace di controllarsi. Gario fece qualche passo in direzione dell’oggetto, e si accovacciò. Non lo toccò, limitandosi a chiudere gli occhi e a riaprirli un metro più in là. Se la luce l’avesse consentito, tutti avrebbero notato che era pallido in viso, in preda al tentativo di reprimere un conato.
– E’ un pezzo di… – riuscì a sussurrare.
– Di cosa? – urlò Marghe.
– Un orecchio, o altro… Non so…
Veronica si mise a urlare, tanto che Jacques fu costretto ad abbracciarla con vigore, quasi a costringerla tra le sue braccia. Gli altri non proferirono parola. Fra si mise entrambi i palmi sul volto, il Vile tirò fuori il telefono dalla tasca dei jeans.
– Si fotta, chi non vuole. Io chiamo la polizia. Qui c’è uno che ci ammazzerà tutti.
– Come te lo devo dire? – riprese Margherita – non ci pensare nemmeno!
– Ma sei fuori Marghe? C’è sangue dappertutto, un pezzo di orecchio nella tua piscina e stai ancora lì ad aspettare che questo qui venga a prenderci?
– Vile, sono i miei che mi ammazzeranno, se solleveremo un casino per un idiota che sta imbrattando un po’ in giro! E ti dirò di più: aspetta di capire cosa dirà tuo padre quando la polizia scoprirà la marijuana nel tuo zainetto. Dimmi, sarà contento? Eh?
Il Vile restò con occhi fissi su quelli della padrona di casa, infiammati e nonostante tutto apparentemente lucidi, capaci di reggere la scena. Abbassò il telefonino e non disse più nulla.
– Guardate – prese a dire Scanna – ci sono strisciate sulle pietre del vialetto.
Si trattava del sentiero artificiale che conduceva verso la piccola insenatura dell’attracco e verso la distesa color petrolio del lago. Qualche decina di metri oltre il molo di cemento, qualcosa galleggiava sulle acque del Maggiore. Qualunque cosa fosse, aveva tutte le sembianze di un corpo umano col ventre rivolto verso il cielo.
– E’ lui, è lui! – strillò Lucrezia.
– Bisogna tuffarsi, bisogna portarlo qui – sparò Marghe.
Presero a chiamare il nome di Dan, tutti quanti. Ma niente, non arrivò alcuna risposta
– È morto, non lo vedete? – si agitò Aldo, irriconoscibilmente preda della paura. Non aiutavano le espressioni degli altri, in particolare quella di Scanna, raggelata. E non aiutavano neppure i silenzi coperti dai singhiozzi di Veronica.
– No, ragazzi, ha ragione lei – riprese la parola Euge – bisogna portarlo qui, magari è ancora vivo. Io mi tuffo. Chi viene?
Nessuno rispose.
– Dai Gario! Fra?
Annuirono controvoglia. Eugenio si tuffò, mentre gli altri due si calarono nell’acqua gelida del lago lentamente. Nuotarono non senza qualche difficoltà in direzione dell’oggetto galleggiante, poi lo raggiunsero e videro che era legato con una cima. La corda correva sottacqua, e rispuntava a riva, nascosta dietro la piccola barca attraccata. L’avessero notato prima, questo particolare, avrebbero potuto evitare di tuffarsi. Ma non c’è tempo di ragionare, in momenti che non sei preparato a vivere. Quanto all’oggetto, non era chiaro di cosa si trattasse. Era un insieme di sacchi di tela che avvolgevano qualcosa di pesante. Anzi no, voluminoso. Eugenio s’impose di non aggrapparsi a esso, ma iniziò a tastarlo e si accorse che era molle.
– Tiriamolo su, da qui non vedo niente – disse.
***
I tre tornarono a riva, mentre già Scanna, Jacques e gli altri avevano iniziato a tirare la cima legata dietro all’imbarcazione. Una volta issato a terra, arrivò la conferma di quanto avevano sospettato i tre esausti nuotatori. Non era un cadavere, l’oggetto galleggiante avvolto dai sacchi. Strapparono il tessuto con le mani, e davanti ai loro occhi comparve il materasso gonfiabile di Fra. Legato in due punti per simulare la silhouette di una figura maschile. L’Involucro era stato reso più massiccio, appesantito, da una serie di pietre nascoste tra le pieghe dei tessuti. I nove erano in ginocchio davanti a quel coso svelato, incapaci di pensare alcunché. Fu in quel momento che, alle loro spalle,seduto su una sdraio della grande terrazza dominante, comparve Dan, in carne e ossa. Un solitario applauso ritmato, prima lento e poi più rapido. Poi Dan si alzò in piedi, e si affacciò ridendo, l’alone della luna a contornare la sua figura in ombra.
– Oh, proprio tutti ci siete cascati, eh?
Sembrava eccitato e divertito, incapace di fermarsi di fronte alle espressioni basite ed esauste dei compagni. Scese gli scalini della terrazza, e si ritrovò a pochi metri dal gruppo, immobile. Sembrava la scena di un lutto in un film d’azione. Il momento in cui la truppa dei buoni si ritrova a piangere la solita perdita di un gregario di peso. Però Dan era lì, e quello stato d’animo collettivo, si poteva spiegare solo con un immediato cedimento dei nervi, provatissimi dal terrore dei minuti precedenti. Sì, lo scherzo era riuscito in pieno, da un certo punto di vista. Ma vedendoli in quello stato, Dan stesso s’iniziò a interrogare se per caso avesse messo in piedi una gigantesca nefandezza.
– Te… è colpa tua cretino!
A parlare era stato Aldo, ma non si era rivolto all’artefice dello scherzo, bensì a Scanna.
– Mia? – rispose attonito l’altro – Colpa di che?
Non fece in tempo ad aggiungere altro, che Aldo gli era addosso e aveva iniziato a prenderlo a pugni. Jacques intervenne trattenendogli le braccia di Aldo dietro la schiena. Sembrava in preda a una rabbia canina, fuori di sé e con le labbra gonfie di saliva.
– Sei te che hai iniziato a dire che ti annoiavi, imbecille! Cosa ci sei venuto a fare qui, eh?
– Imbecille sei tu! – rispose l’altro, strillando in maniera stridula e impaurita – è colpa mia se quello è un deficiente?
Scanna provò a reagire, ma la Lu lo spinse indietro con l’aiuto di Euge.
– Ehi, ehi, ehi, ragazzi – riprese Dan, questa volta serio – ho sbagliato, ok? Era solo uno scherzo, dannazione. Non prendiamocela e continuiamo la festa, dai!-
– Due ore… – alzò lentamente lo sguardo da terra, scurissima in volto, la padrona di casa – ci hai presi per fessi per due ore facendoti credere assassinato e ora ci chiedi di continuare la festa come se nulla fosse?
– Marghe, credimi, volevo far divertire un po’ tutti quanti, dai! Bru stasera non c’è, ma non ha forse passato l’intero master a fare scherzi agli altri? E tu Vile? Dai, anche tu ce ne hai fatti per così!
– Io non ho mai finto la morte di nessuno – disse severo e fermo il Vile – non è che si può scherzare sempre. Non su certi argomenti. Non su tutto.
– I miei mi ammazzano, lo sai? – riprese Margherita, avvicinandosi lentamente a Dan – lo sai, Dan, che mia madre mi uccide veramente quando vede l’altra casa piena di sangue?
– L’ho preso dalle confezioni delle braciole, Marghe… E ci ho aggiunto della granatina, roba che viene via dalle pareti in un attimo, ci penso io…
– Viene via, eh? – continuò a dire, calma ma nera, Margherita – dai muri immacolati, viene via? Dalle pareti di legno dello chalet? Come no, stupido. Come no…
Si era fatta vicina, davvero vicina, forse troppo. Gli stava urlando in faccia. Non era più calma, i suoi occhi spiritati, gonfi d’irritazione.
– Facciamola finita, ok? – iniziò a rispondere per le rime Dan – se vi siete rotti le palle ora me le sto rompendo pure io.
– Tu? – urlò lei – tu ti rompi le palle, cretino?
Lo spinse con tutte le sue forze, facendolo indietreggiare senza controllo lungo il bordo della piscina. Mulinò le braccia in aria un paio di volte, senza riuscire a recuperare dalla spinta. Volò verso l’acqua, ma si trovava già verso la fine del rettangolo. In acqua ci finì, alla fine, ma dopo aver picchiato violentemente la nuca sull’altro bordo della piscina, oltre l’angolo. Marghe rimase a respirare profondamente, appagata almeno in parte da quell’azione repentina e istintiva. Gli altri, invece, tornarono immobili. Tanto che il respiro di lei dominava la scena, assieme ai singhiozzi di Veronica sullo sfondo. L’acqua della piscina iniziò lentamente a mutare colore. Sembrava che il cranio del ragazzo avesse iniziato a sputare fuori inchiostro, ma il faro sul fondo della piscina svelò quello che tutti loro stavano iniziando a temere. Sangue. Questa volta umano, vero. La piscina della casa di Laveno si stava riempiendo di sangue.
– Titatelo su! – urlò Lucrezia.
Il Vile si diede da fare, assieme a Euge e Fra. Quest’ultimo iniziò a praticare a Dan un improvvisato massaggio cardiaco. Il Vile provò a toccare la testa del compagno, ma l’unico risultato fu quello di sporcarsi la mano di un sangue denso, quasi gelatinoso e scurissimo. Erano tutti ammutoliti, nell’attesa di un responso che arrivò dopo alcuni minuti. Implacabile
– E’ morto – sentenziò Fra.
C’è chi iniziò a urlare frasi senza senso, chi si sedette a terra sul prato incapace di qualsiasi azione. E chi, come Marghe, fu colto da una calma apparente, atavica.
– Lho ucciso io, Fra, vero?
L’altro si alzò, accarezzando il volto di Dan, poi si avvicinò a Margherita e le diede un bacio sulla guancia.
– Sì. – rispose con tono dolce – l’hai ucciso tu. Ma certi limiti non si superano, neppure per scherzo. Ha sbagliato lui. E come è andata, qui, adesso, lo sappiamo solo noi che siamo qui.
– Eh? – chiese lei stropicciandosi gli occhi – che vuoi dire?
– Voglio dire che adesso facciamo come ha detto lui.
– E cioè?
– Continuiamo la festa bravi bravi, come se nulla fosse. Mettiamo la musica forte, poi andiamo a dormire. Domani, penseremo a tutto quanto.
– Sei impazzito? – rispose Margherita.
– Ha ragione – intervenne il Vile – ora gli mettiamo un lenzuolo o qualcosa sopra, svuotiamo la piscina e ci andiamo a fare un paio di birre e magari una vodka. Proviamo a non pensarci, tutti insieme. Chi ci sta, però, lo deve fare senza parlare mai di questa cosa. Fino a domani.
Si guardarono tutti negli occhi, in cerchio. E si trovarono tacitamente d’accordo. Il cadavere restò accanto al bordo della piscina, che venne immediatamente svuotata. I volti rimasero tesi, ma qualcuno provò anche a sorridere entrando davvero nel piano che Fra e il Vile avevano architettato lì, su due piedi, facendo quadrato attorno a Marghe l’assassina. Più tardi crollarono tutti quanto per l’orario, la fatica e tutto il resto.
***
Il nuovo sorgere del sole non illuminò alcun inganno, nessuna allucinazione collettiva. Vero, tutto vero. Come il cadavere del loro amico goffamente coperto a bordo piscina. Davanti a un caffè caldo si organizzarono, e si diedero dei tempi. Tre ore dopo, le pareti della seconda casa e quella dello chalet erano state ripulite con cura, senza che una sola traccia di sangue fosse rimasta in evidenza. La piscina era stata lavata a fondo, comprese le bocchette dei filtri e il bordo di marmo, mai così splendente. E, soprattutto, il cadavere di Dan era stato gettato sul fondo del lago, legato alle stesse pietre usate dal ragazzo per appesantire il feticcio della sceneggiata. In un sacco nero infilarono tutte le sue cose. Le avrebbero gettate in diversi cassonetti di Milano un paio di ore dopo. Per ultimo, ripassarono una lezione che tutti quanti avrebbero dovuto imparare a memoria e recitare senza sbavature. Per ciascuno di loro, da quel momento in poi, Dan non era mai arrivato alla villa di Laveno. Si erano lungamente chiesti per quale motivo non avesse avvisato, ma presi dai festeggiamenti, testimoniati da più immagini scattate nel corso della notte con i telefonini, nessuno di loro aveva pensato di contattarlo. Così era andata. E no, non c’era nessun cadavere sul fondo del lago Maggiore. Solo pesci, materiale molle di quello che fa da tappeto ai laghi e uno scherzo. Uno scherzo sbagliato.