"Serata al teatro" di Manuela Cagnoni


teatro

 

La maschera è una bella ragazza con un caschetto di capelli biondi che le sfiorano le spalle e un viso truccato con cura. Il tipo di ragazza che vorremmo per nostro figlio, penso mentre io e Carlo la seguiamo verso i nostri posti, ma poi non sono tanto sicura di volere che mio figlio sposi una così. A dire la verità, l’idea che un giorno mio figlio possa sposarsi non mi fa proprio impazzire di gioia: non riesco a sopportare che una qualunque arrivi e prenda il mio posto nei suoi affetti. Non sono ancora pronta per accettarlo e non so se lo sarò mai. Per quanto riguarda Carlo, invece, lui non teme di perdere nostro figlio, ma teme piuttosto i capelli lunghi, i jeans strappati, i brutti voti a scuola.

Cose che passeranno, penso io senza la minima preoccupazione, perché anch’io, alla sua età, ho vissuto un periodo in cui mi piaceva indossare maglioni sformati e fare un tiro da uno spinello, una volta ogni tanto. E’ una tappa normale nella vita di un ragazzo, ma Carlo questo non lo sa, a diciotto anni stava sempre appiccicato a quella Paola con la quale credeva di sposarsi. Invece a ventiquattro ha sposato me e Paola è finita con una specie di fallito che, se non fosse per lo stipendio di lei, non avrebbe nemmeno i soldi per pagare l’affitto di casa.

Povera Paola, mi spiace per lei, ma un uomo come Carlo, onestamente, non lo meritava: ve la vedete l’impiegatina in mezzo a tutta questa gente altolocata?

So che si vedono ancora, qualche volta, Paola e mio marito, ma la cosa mi lascia del tutto indifferente: la loro è solo amicizia, l’amore, del resto, è sempre stato una cosa tiepidina, non mi ci è voluto niente per portarglielo via allora e non mi ci vuole davvero niente per tenermelo oggi.

La maschera si ferma e ci indica i nostri posti. Mio marito si fa rispettosamente da parte per lasciarmi passare e io lo ringrazio con un sorriso, mentre con indifferenza mi guardo intorno.

Lui è là, nel lato opposto della sala, e ascolta qualcosa che sua moglie gli sussurra all’orecchio. Ha un’aria molto interessata ma, quando i nostri occhi si incontrano, io so che non gliene importa niente di quello che dice sua moglie, per lui ci sono solo io, ne sono sicura, e anche per me, adesso, non c’è nient’altro che lui. O quasi.

Distolgo gli occhi velocemente perché nessuno deve accorgersi che ci conosciamo, altrimenti sarebbe la fine.

Poco distante da me, Graziella fa un cenno di saluto con la mano. Le rispondo con un’occhiata interrogativa che lei capisce al volo (frutto di un allenamento fatto di tanti discorsi senza parole) e annuisce con un sorriso soddisfatto: sì, Sam l’ha chiamata appena ha raggiunto il suo appartamento di Londra.

Di fianco a lei, suo marito sbadiglia, per l’inizio dello spettacolo sarà già profondamente addormentato, con la testa abbandonata sulla sua spalla nuda, cosa che le dà tremendamente sui nervi. E ha ragione: anche a me lo darebbe, così come mi darebbe sui nervi avere un marito pronto per finire nel Guinness dei Primati per l’obesità.

Ma Graziella non lo lascerebbe mai perché è favolosamente ricco e senza di lui sarebbe una donna rovinata. Così come io sarei una donna rovinata senza Carlo, penso angosciata, lasciandomi cadere sulla poltrona accanto a lui. Be’, se non altro Carlo non è obeso, mi consolo sorridendo. E poi c’è Lorenzo, seduto là, con sua moglie che ha quella nuvola di capelli castani, ricci e un’aria così poco fine. Perché mai l’avrà sposata? Saranno stati innamorati? Forse una volta lei era diversa. O forse era diverso lui.

A vent’anni anch’io ero completamente diversa. Tanto per cominciare, avevo i capelli lisci e neri, che sarebbero diventati bianchi molto presto, se non avessi avuto l’accortezza di tingerli. All’inizio li tingevo di nero, ricercando il mio colore naturale, ma invece avevano sempre un che di artefatto, così ho optato per il biondo e infine sono approdata a questo color mogano che è davvero stupendo. Nina è una parrucchiera eccezionale, non mi stancherò mai di ringraziare Graziella per avermi portato da lei.

Mio marito guarda l’orologio con impazienza.

“Mancano cinque minuti,” mi informa.

“Non vedo l’ora che inizi,” sorrido, mentre in realtà, dello spettacolo, non me ne importa nulla, casomai non vedo l’ora che ci sia l’intervallo per parlare con Graziella, ascoltare il resoconto della sua telefonata con Sam e incrociare ancora una volta lo sguardo di Lorenzo.

La mano di Calo si chiude sulla mia: è sudata, come sempre. Si stupisce che i due posti davanti a noi siano ancora vuoti. Rispondo che forse chi li ha prenotati ha avuto un contrattempo all’ultimo momento e non potrà venire.

Lui guarda la maschera.

“Sai, vorrei che un giorno nostro figlio sposasse una ragazza così,” dice.

“Io vorrei che sposasse qualcosa di più che una maschera,” ribatto seccata.

Le luci si spengono, il pubblico tace, e proprio adesso due figure si affrettano verso i posti liberi davanti a noi, facendo alzare l’intera fila per passare.

Carlo sbuffa, io storco la bocca, ma poi lo vedo ed è una fortuna che sia già buio, altrimenti non credo che sarei riuscita a nascondere la mia emozione, perché Remo è l’ultima persona che mi sarei aspettata di incontrare qui. Ma che dico, è l’ultima persona che mi sarei aspettata d’incontrare ovunque, credevo che le nostre strade si fossero separate definitivamente quando lo lasciai e invece adesso me lo ritrovo davanti e sono incapace di staccare gli occhi dal suo viso, che non potrei non riconoscere, anche se è passato così tanto tempo!

Si siede davanti a me e i suoi capelli sono brizzolati. Una volta erano scurissimi, come i miei, e i suoi occhi erano d’un azzurro così intenso che mi faceva sobbalzare quando mi guardava.

Remo era alto e abbronzato, con le mani belle e forti che il vento e l’acqua marina non erano riusciti a rovinare. Forse mi sono innamorata delle sue mani prima ancora che dei suoi occhi. Perché l’ho amato, di questo sono sicura. L’ho amato come non amerò mai Lorenzo né tantomeno Carlo, né nessun altro.

Sul palcoscenico, una delle ragazze che prima erano intente alla lettura, inizia a parlare e, prima che si interrompa, un ragazzo riprende le sue parole e dopo di lui un altro. Questo inizio mi spiazza, è diverso da quello previsto da Pirandello e anche da quello dello spettacolo a cui ho assistito due anni fa. Sbircio mio marito, che invece è perfettamente tranquillo: ovvio, lui si prepara prima di venire a teatro.

Istintivamente, assumo il suo stesso atteggiamento, di chi sa già tutto ma è comunque interessato alla rappresentazione. Il mio interesse è però solo apparente perché non posso fare a meno di guardare la testa di Remo, che si avvicina a quella della ragazza per scambiare qualche parola.

Ma cosa ne sa lui di Pirandello?

Quando facevo il liceo e trascorrevo i lunghi pomeriggi invernali a studiare italiano mi soffermavo spesso a pensare a lui, sulla sua isola (che riuscivo ad immaginare solo calda e assolata com’ero abituata a vederla in estate). Allora scrivevo il suo nome sul libro, con la matita, e pensavo che non ce l’avrei mai fatta a stare tutti quei mesi senza vederlo. Ma anche in quei momenti, in fondo, sapevo che la nostra storia sarebbe finita, che prima o poi avrei dovuto lasciarlo, perché lui non apparteneva alla mia vita e io non appartenevo alla sua. E’ stato solo un errore del destino a farci incontrare, eppure anche adesso, come allora, sono felice che il destino abbia fatto quest’errore e vorrei proprio sapere chi è questa ragazza tanto più giovane di lui. Un’amante? Allora Remo dev’essere diventato molto ricco, perché una ragazza non si innamorerebbe mai di un uomo che ha il doppio dei suoi anni, se non per soldi. Ma poi mi ricordo dei suoi baci, delle sue mani che percorrevano il mio corpo e mi sembra impossibile che una donna non si innamori di Remo. Sì, credo proprio che lui, anche a quarantasette anni, possa far innamorare una ragazza di venti.

In ogni caso, anche se questa ragazza fosse sua figlia, Remo deve aver fatto molta strada per essere qui stasera. E sua moglie dov’è? Perché non è venuta? Forse hanno divorziato, o semplicemente è rimasta a casa, snobbando lo spettacolo e tutto il resto.

Cerco di immaginare il suo volto e inconsapevolmente lo sto costruendo nella mia mente. Dev’essere una donna davvero speciale, penso, se ha sposato Remo. Ma forse è lei ad essere ricca e per questo lui è qui stasera, mi suggerisce una voce maligna ed è quella che ascolto più volentieri, perché allora ogni cosa tornerebbe al suo posto: Remo non si è innamorato di nessun’altra e non ha fatto nessuna strada, soltanto ha sposato una donna ricca.

La verità è che sono gelosa di sua moglie, chiunque sia, e anche di questa ragazza, e essere gelosa di Remo, dopo venticinque anni, mi irrita enormemente, anche perché io avrei potuto essere sua moglie, penso e guardo Carlo, assorto nello spettacolo. Mio Dio, cos’ho fatto? Ho davvero lasciato Remo per sposare quest’uomo? E ho davvero tramato tanto per strapparlo a Paola? Sì, l’ho fatto e all’improvviso mi sembra di esser stata pazza ad aver vissuto tutti questi anni in una finzione e aver rinnegato la cosa più vera e bella della mia vita. Per un momento ci sono ancora la spiaggia, il vento, il mare e io e Remo siamo seduti su una sdraio, le sue mani mi accarezzano dolcemente e le sue labbra mi baciano facendomi sentire grande, forte, onnipotente, perché così deve essere e questo è tutto quanto chiedo alla vita. In quanti uomini ho cercato quei baci e quell’amore senza trovarli?

Ma l’ho sempre saputo, fin dall’inizio, che la storia con Remo non sarebbe durata. Me la sono goduta finché ho potuto, finché sono riuscita a tenerla nascosta a tutti (esclusa Graziella, naturalmente), poi ho sposato l’uomo che tutti si aspettavano che avrei sposato e che era in grado di offrirmi il genere di vita che più mi si addiceva. Perché io non ho mai bevuto la storia dei due cuori e una capanna, anzi, credo che se io e Remo ci fossimo sposati, la capanna sarebbe crollata e le sue macerie avrebbero schiacciato il nostro amore prima che lui arrivasse qui, in questo teatro, in mezzo a questa gente, che è sempre stata il mio mondo.

Però con nessun altro è stato come con lui e adesso vorrei sporgermi e dirglielo. Adesso, che è qui, davanti a me, e basterebbe che allungassi una mano per toccarlo… vi rendete conto?

Le due teste si uniscono ancora, scambiano qualche parola sottovoce, poi ridono sommessamente e fra loro c’è una complicità che esclude il resto del mondo: figlia o compagna?

Anche la testa di mio marito si avvicina alla mia, mi dice nell’orecchio che questi attori sono peggiori di quelli che abbiamo visto recitare lo stesso spettacolo due anni fa. Vorrei dirgli che non ricordo più lo spettacolo di due anni fa e che, di quello di stasera, non me ne importa niente, come non me ne importa niente di lui e dei suoi stupidi interessi. Ma so benissimo che non sarebbe saggio. Annuisco e gli do ragione, imponendomi di concentrarmi sullo spettacolo, tanto fra poco calerà il sipario sul primo atto… Il primo atto, che errore, in questa commedia non ci sono né atti né scene, come ha scritto Pirandello nella nota iniziale e io lo so benissimo, perché sono una donna colta, sposata ad un uomo importante e non dovrei davvero farmi sconvolgere dall’arrivo di uno che nel Duemila ha ancora il coraggio di chiamarsi Remo. Soprattutto non con mio marito seduto accanto e Lorenzo a poche file di distanza.

In questo momento fanno la loro comparsa i sei personaggi con le loro maschere grottesche.

“Siamo qua in cerca di un autore,” dice il padre e questa è la prima frase che mi torna, mi sento sollevata: da adesso la rappresentazione seguirà fedelmente il testo pirandelliano che conosco bene.

Mi giro appena per cercare Graziella, il suo sorriso mi dice: “Anch’io non vedo l’ora che finisca.” Suo marito dorme con la testa appoggiata alla sua spalla.

Non c’è davvero da stupirsi che il figlio sia tanto brutto, con quel padre, cosa ci si poteva aspettare, poveretto? Solo Graziella riesce a trovarlo bello.

“La pagella di mio figlio, tutti otto e nove…” si vanta di continuo. Ci credo che studi, cos’altro potrebbe fare con quella faccia? Niente a che vedere con mio figlio, naturalmente.

A me e a Graziella è sempre dispiaciuto che i nostri figli non si sopportassero, visto che noi siamo tanto amiche, ma non c’è stato proprio niente da fare. E questa ragazza, la figlia di Remo, come sarà?

Sarà poi sua figlia? mi chiedo e inizio ad essere stufa di stare seduta su questa sedia, sento il bisogno di sgranchirmi un po’, di.. E’ strano come mezz’ora fa attendessi l’intervallo per vedere Lorenzo e adesso non mi importi più niente di lui. Adesso attendo l’intervallo per vedere Remo, per studiare i cambiamenti del suo viso, per capire se la ragazza è sua figlia, per sapere se anche lui mi riconoscerà… Se mi riconoscesse sarebbe un bel problema, perché dovrei giustificare a Carlo questa mia conoscenza. Beh, potrei sempre dire che è figlio di amici dei miei genitori e che non lo vedevo da tempo, ma poi sarei costretta a presentarglielo e Carlo non avrebbe difficoltà, dopo un breve scambio di battute a vedere in lui il ragazzo del bar sulla spiaggia. Allora sarebbe meglio dire che è figlio di un dipendente di mio padre o dei portinai della casa in cui abitavamo… ma come faccio ad essere sicura che Remo capirà e mi sosterrà? No, molto meglio che non mi riconosca e non venga a turbare la mia vita. In fondo, me la sono guadagnata, perché anche per me non è stato facile lasciarlo e sposare Carlo, ma era l’unica cosa da fare, non avevo scelta. Solo che Remo non capì allora e non credo capirebbe adesso.

Quel giorno sulla spiaggia fu straziante. Era stata un’estate stupenda e l’avevo vissuta intensamente, perché sapevo che sarebbe stata l’ultima. Avevo finito il liceo, ero fidanzata con Carlo e dopo poche settimane l’avrei sposato, ma non l’avevo ancora detto a Remo perché non volevo che quel pensiero turbasse la felicità che provavamo ogni volta che eravamo insieme. Eppure ero sicura che, quando gliel’avessi detto, avrebbe capito. Del resto, non pensavo nemmeno che fosse necessario troncare la nostra storia: fosse stato per me, non sarebbe cambiato proprio niente e avremmo continuato a vederci di nascosto, come avevamo sempre fatto. Che differenza faceva nascondersi da mio fratello e dai miei genitori o nascondersi da Carlo? Per me nessuna e la reazione di Remo fu un vero shock.

Era l’inizio di settembre, dicevo, e il giorno dopo sarei tornata a Milano. Come ogni sera, attesi che la spiaggia si svuotasse degli ultimi villeggianti, guardai mio fratello che piegava il telo e baciava la ragazza bionda e slavata che pochi anni dopo sarebbe diventata sua moglie e avrebbe sopportato con rassegnazione le sue corna.

“Ci vediamo a casa?” mi chiese e nei suoi occhi lessi il solito lampo di sospetto: fino a che punto credeva alla storia che amavo la spiaggia alle sette di sera, quando non restava più nessuno? In ogni caso, il mio fidanzamento con Carlo dovette tranquillizzarlo perché non indagò mai e i suoi sospetti, se pure esistevano, restarono sempre dei sospetti, nulla di più.

Tutto questo mi divertiva molto, il fatto di imbrogliare tutti, di essere così furba da non farmi mai scoprire. Un po’ come adesso, quando incontro uno dei miei uomini a teatro o ad un ricevimento e nessuno di coloro che abbiamo intorno e credono di conoscerci, ha la più pallida idea di quali siano i nostri veri rapporti.

La slavata mi salutò con la mano e io restai a guardarli che si allontanavano, poi raccolsi velocemente le mie cose e mi incamminai verso la “nostra” spiaggia, mia e di Remo. Lui mi raggiunse pochi minuti dopo e io lo trovai molto più bello di quanto l’avessi mai trovato fino ad allora.

Ci salutammo con un lungo bacio e ci tuffammo in mare per l’ultimo bagno.

Mio Dio, come farò a lasciarlo? mi chiesi per l’ennesima volta con un senso di panico e di disperazione, ma sapevo che avrei dovuto farlo, in un modo o nell’altro. Ci sono cose a cui ci si deve rassegnare: come ci si rassegna al fatto che un giorno si dovrà morire, io mi rassegnai a lasciarlo. Ecco, fu proprio così, quando lo lasciai una parte di me morì e quella parte, in questi venticinque anni, ha continuato a dolere. Ma Remo non capì.

Uscimmo dall’acqua e, avvolti nei teli, ci sedemmo sulla sabbia, tremando un po’ perché ormai il sole era tramontato.

Lui mi passò un braccio dietro le spalle, affondò il volto nei miei capelli e io dissi: “Il trenta settembre mi sposo.”

Il suo braccio si irrigidì dietro la mia schiena: “Cos’hai detto?” chiese con una strana voce gelida.

“Ho detto che il trenta settembre mi sposo,” ripetei cercando di mantenere un tono naturale e tranquillo, ma ormai non c’era più niente di naturale e tranquillo dentro di me.

“Che schifo,” mormorò Remo scuotendo la testa e alzandosi in piedi.

A quelle parole, tutta la comprensione che avevo provato per lui fino ad allora, svanì: come poteva essere tanto presuntuoso da non capire che non avrei mai potuto sposare lui? I miei genitori, mio fratello, i miei amici, tutti mi avrebbero abbandonata e derisa, se avessi sposato uno come lui. Persino Graziella, che sapeva tutto della nostra storia e che ascoltava avidamente i miei racconti al ritorno dalle vacanze e mi invidiava quell’amore plebeo, non mi sarebbe rimasta accanto. Lei meno di tutti, ne sono sicura. E cosa pretendeva questo ragazzo di mare, che non sarebbe stato in grado di pagare nemmeno il costume che indossavo quel giorno? Voleva che abbandonassi tutti coloro che amavo, tutto ciò che possedevo e che avrei potuto possedere in nome del mio amore per lui? No, queste cose succedono nei romanzi, ma nella realtà non si possono fare nemmeno a vent’anni. E io lo sapevo bene anche allora.

Carlo mi offriva un avvenire solido e sicuro, una posizione più che rispettata, abiti, gioielli, ville… tutto ciò che desideravo, insomma. Solo una stupida si sarebbe tirata indietro e io non ero stupida. Del resto, niente avrebbe potuto impedire che io e Remo continuassimo ad amarci ogni estate, su quella stessa spiaggia, di nascosto da tutto e da tutti.

Ma lui non capì le mie ragioni e seguitò a guadarmi con disprezzo. Fu in quel momento che una parte di me morì, non potevo sopportare che mi guardasse in quel modo, avrei voluto pregarlo di fermarsi, di ascoltarmi, avrei voluto dirgli che non me ne importava niente di Carlo e dei suoi soldi, ma invece restai ferma a guardarlo mentre ripiegava il suo telo, come aveva fatto mio fratello poco prima.

Ti amo, pensai quando lo vidi allontanarsi e sapevo che se ne andava per sempre da me e da tutto quanto c’era stato fra noi. Sapevo anche che avrei dovuto rincorrerlo per dirglielo, invece mi lasciai cadere seduta sulla sabbia e piansi, con la testa appoggiata alle ginocchia.

Restai così per un’ora e piansi per Remo, che se n’era andato e che non avrei mai più rivisto, piansi perché stavo per sposare Carlo, di cui non ero innamorata, né lo sarei mai stata e allora, su quella spiaggia, vidi con chiarezza quale sarebbe stata la mia vita futura. Con estrema lucidità, mi vidi accanto a Carlo, moglie e madre bella, amata, appagata, in apparenza. In realtà, una donna insoddisfatta, persa dietro un sogno da ragazzi.

Quando mi rialzai, mi sentivo molto vecchia. Guardai il mare e la spiaggia deserta, pensando che niente sarebbe più stato come prima, poi infilai una maglietta sul costume bagnato e, lentamente, mi avviai verso casa.

A casa erano preoccupati per il mio ritardo e mio fratello stava per essere spedito a cercarmi, ma alla vista dei miei occhi gonfi, nessuno disse una parola per rimproverarmi. Dalle occhiate che si scambiavano, intuii che avevano preso le mie lacrime per la solita crisi di pianto di una ragazza perbene alla vigilia delle nozze: tutto come previsto.

Il giorno dopo tornai a Milano e il trenta settembre sposai Carlo. Da allora non ho più messo piede all’Isola d’Elba, con grande stupore di tutti, e ho ceduto l’intera casa a mio fratello, alla morte dei miei genitori. “Come mai? Non ti piaceva tanto?” mi chiede a volte qualcuno. Io sollevo le spalle.

“Mi mette tristezza,” rispondo con indifferenza.

Le luci si accendono e Carlo mi sfiora la mano.

“Questa scena ti ha colpito molto, vero?”

“Sì, mi è piaciuta davvero,” rispondo, mentre la gente intorno a noi si alza e si dirige verso il bar, Remo e la ragazza compresi.

Carlo fa un cenno di saluto a qualcuno e io lancio un sorriso nella stessa direzione.

“Come va?” chiede la voce vivace di Graziella.

Carlo la saluta, poi ci lascia sole.

“Come va?” ripete Graziella.

“Come vuoi che vada?” rispondo sgarbatamente.

“Problemi col signore là in fondo?” chiede con un sorriso malizioso.

“Chi, Lorenzo?” dico e in questo momento niente potrebbe essere più lontano di lui dai miei pensieri. Mi è venuto invece il panico all’idea dell’intervallo perché il solo pensiero che Remo mi riconosca mi fa rabbrividire: cosa dirò a Carlo? “No, altri problemi,” dico con un gesto significativo della mano, sicura di azzittirla per un po’ perché, nonostante siamo coetanee, per Graziella la menopausa è iniziata già da due anni e ultimamente ha mostrato una certa intolleranza nei confronti delle pillole prescritte dal ginecologo per ritardarne gli effetti, tanto che ha dovuto interrompere la cura.

Infatti tace e si guarda la punta delle scarpe di vernice.

“Dai, muoviti che voglio andare al bar!” riattacca però subito dopo. La telefonata di Sam dev’essere stata particolarmente soddisfacente per metterla così di buon umore, penso con una punta d’invidia, mentre ci avviamo verso il bar, sottobraccio.

“Devo raccontarti la telefonata,” bisbiglia eccitata.

“Racconta, racconta,” dico, cercando di mostrarmi interessata perché spero che, presa com’è dalla sua telefonata, non si accorga del mio turbamento.

A volte avere un’amica come Graziella è scomodo. Voglio dire: in certi momenti è bellissimo, perché sai che c’è sempre qualcuno che ti capisce, con cui puoi parlare di qualsiasi cosa senza vergognarti e senza farti problemi, ma d’altra parte non hai più un territorio che sia solo “tuo”, una tua intimità con dei segreti tuoi, che non vuoi rivelare a nessuno. E io non sono mai riuscita a nascondere niente a Graziella.

Guardo la nostra immagine riflessa nel lungo specchio accanto al bar e mi stupisco una volta di più della nostra somiglianza, merito della stessa parrucchiera e dello stesso chirurgo plastico, perché da giovani, invece, eravamo diversissime.

Eh sì, io e Graziella abbiamo fatto tutto insieme: siamo state compagne di banco per tutti gli anni della scuola, abbiamo fatto la comunione e la cresima insieme, ci siamo sposate ad un mese di distanza una dall’altra, abbiamo partorito nello stesso anno, andiamo dal parrucchiere, dal dentista, a fare spese insieme, abbiamo anche fatto il lifting insieme, due anni fa. Soltanto le vacanze non le abbiamo mai trascorse insieme, penso cercando Remo con lo sguardo ma, in mezzo a tutta questa gente, non riesco a trovarlo. Meglio così perché se mi vedesse…

Vedo invece Lorenzo che mi sorride con gli occhi e con gli angoli della bocca, mentre recita la parte del marito innamorato e fedele. Di colpo mi sembra insipido e vuoto, privo di qualsiasi attrattiva: come ho fatto ad andare a letto con lui per quattro mesi?

“Ma che hai?” chiede Graziella risentita, accorgendosi che non la sto ascoltando.

“Niente,” sospiro, “ho soltanto deciso di lasciare Lorenzo”.

“Non ci posso credere,” dice attaccandosi di nuovo al mio braccio. “Fino a ieri non facevi altro che… racconta, racconta…”

“Non c’è proprio niente da raccontare, mi sono stancata, tutto qui. Ti sembra strano?”

Graziella storce la bocca, per niente soddisfatta, e scruta nei miei occhi cercando di leggervi qualcosa di più di quanto sia riuscita ad ottenere dalle mie labbra.

“Allora avevo ragione, ci sono dei problemi con lui. Sei così strana, stasera…”

“Ti sbagli, non c’è nessun problema,” dico e sorrido con gioia a Lucrezia, che arriva ad interrompere la nostra conversazione.

“Carissima, come stai?”

“Benissimo, e voi? Sono tanto contenta di vedervi…”

“Indossi un abito stupendo,” squittisce Graziella e mi scocca un’occhiata maliziosa perché Lucrezia indossa un orribile abito viola. Il suo cattivo gusto, del resto, è universalmente riconosciuto.

“Dite davvero?” chiede lei con un sorriso che, oltre ai denti, le scopre anche le gengive.

“Oh sì, è davvero splendido,” annuisco, pensando che farebbe meglio a tingersi i capelli di un altro colore, perché quel biondo platino non le dona proprio.

“Anche il colore dei tuoi capelli è fantastico,” dice Graziella. “Dovresti darci l’indirizzo del tuo parrucchiere, vero?” e mi scocca un’altra occhiata che ricambio divertita.

“E’ quello che stavo per dire anch’io.”

E Lucrezia inizia a parlare del suo parrucchiere, mentre noi l’ascoltiamo con finto interesse. Poi Graziella prende un bignè alla crema dal vassoio che un cameriere ci porge.

“Adesso devo andare a salutare mia cognata ma ci vedremo presto,” promette Lucrezia allontanandosi, dopo aver posato due baci sulle nostre guance.

“Poveretta,” scuote la testa Graziella.

“Cos’hai, i rimorsi di coscienza per esser stata l’amante di suo marito?”

Graziella sorride. Le è rimasta un po’ di crema appiccicata al naso e per un attimo sono tentata di non dirglielo, perché so benissimo che stasera è più bella di me.

“I rimorsi di coscienza dovrebbe averli suo marito per lo spavento che mi ha fatto prendere,” dice e ridiamo tutt’e due.

Il marito di Lucrezia aveva davvero perso la testa per Graziella e voleva lasciare la moglie per lei, così Graziella visse due mesi nel terrore che si scoprisse quella storia di cui ormai non le importava più niente. Sarebbe stata la fine del suo matrimonio, quindi la disgrazia peggiore.

Eccolo, adesso lo vedo, è sempre accanto alla ragazza e stanno parlando con un’altra coppia che conosco di vista.

Gi occhi sono circondati da piccole rughe, ma il suo volto non è cambiato poi tanto e anche il fisico è sempre asciutto e muscoloso. E nei suoi movimenti c’è qualcosa… sì, una specie di classe, di… be’, voglio dire, non sembra proprio uno che ha passato metà della sua vita a confezionare panini, ma anzi, sembra nato qui, tanto è a suo agio in questo ambiente. Forse nemmeno Carlo, vedendolo, sarebbe in grado di riconoscere le sue umili origini.

Graziella segue la direzione del mio sguardo:

“Ho capito!” esclama trionfante.

“Cosa hai capito? Guarda che sei sporca di crema,” aggiungo, tanto per sviarla.

Lei prende un tovagliolo di carta dal bancone del bar e si pulisce delicatamente.

“Sono ancora sporca? Ho capito perché vuoi lasciare Lorenzo e sinceramente non riesco a darti torto”.

“Credo che tu non abbia capito proprio niente, mia cara,” ribatto sempre più irritata e questo non può che confermare i suoi sospetti.

“Non sai chi è?” chiede lei imperturbabile, continuando a guardarlo.

E’ Remo, il ragazzo di cui ti parlavo quando andavo all’Isola d’Elba con i miei e giuro che, se lo guardi ancora, ti strozzo…

“No, non lo conosco,” rispondo. “Comunque mi sembra che sia già occupato,” dico, indicando col mento la ragazza che è di fianco a lui (sarà sua figlia?).

Graziella mi guarda stupita.

“Anche io e te siamo già occupate, eppure non è mai stato un problema.”

Non posso fare a meno di ricambiare il suo sorriso malizioso, mentre la coppia che parlava con Remo si allontana, la ragazza sparisce nella toilette per signore e lui resta solo. Potrei liberarmi di Graziella e raggiungerlo, farmi riconoscere…

Remo si porta alle labbra il bicchiere che tiene in mano, poi fa scorrere lo sguardo sulla sala e finalmente i nostri occhi si incontrano. I suoi sono azzurri e bellissimi, io sobbalzo, ansiosa di leggervi tutto l’amore di un tempo, eppure temo di scoprirvi il disprezzo di quell’ultima volta: e perché non dovrebbe disprezzarmi adesso, che sono truccata e ingioiellata, con la pelle tirata, i capelli tinti e l’abito da sera, lontana anni-luce dalla ragazza che si tuffava in mare?

Ma quando i suoi occhi si posano su di me non ci sono né amore né disprezzo: c’è soltanto indifferenza, perché per lui non sono altro che una signora di mezz’età come tante altre, che cerca disperatamente e pateticamente, di restare giovane: Remo mi ha dimenticata.


Lascia un commento