“Era stata dal parrucchiere nel pomeriggio, aveva un nuovo colore di capelli, un biondo più chiaro”
“E che indossava?”
“Un abito leggero a fiori azzurri e blu, quasi trasparente, sensuale”
Stefano socchiude gli occhi: sta accarezzando l’immagine di lei, con le dita della memoria stropiccia il tessuto a fiori azzurri e blu. Sorride.
“E sotto?”
“Coordinato di pizzo blu, si intravedeva il reggiseno dalla scollatura dell’abito: ma non ho visto bene in realtà”
La sua voce incespica, così pure la forchetta che affonda nelle carni morbide del salmone: i rebbi stridono sulla superficie del piatto.
Le dita della memoria hanno scostato la scollatura dell’abito, sfiorano il bordo ricamato del reggiseno.
Afferra il calice del cerasuolo rosato, lo vuota in un unico sorso.
Mi diverte un po’, inutile negarlo, innescare la sua eccitazione quando siamo in pubblico: cerca di darsi un contegno e si guarda intorno nel timore che qualcuno si accorga del suo turbamento.
Del resto ha iniziato lui a raccontare, come fa sempre quando ci incontriamo.
E poi sediamo a un tavolo appartato, parliamo sottovoce; e gli altri sono troppo interessati a rendere omaggio al cibo (lo chef è uno dei tanti guru della cucina che transitano di più negli studi televisivi che davanti ai fuochi) per prestare attenzione a noi.
“È strano, quando siamo arrivati in camera, lei mi si è subito stretta addosso baciandomi, poi ha allentato la cravatta, ha iniziato a spogliarmi: giacca, camicia, pantaloni, boxer. Non l’ho mai vista così decisa: quasi non la riconoscevo. Sì sì, mi è piaciuto certo.
Insomma mi ha spogliato del tutto, poi mi ha fatto arretrare, sdraiare sul letto, e senza mai smettere di baciarmi mi ha guidato le mani all’indietro, dicendo che avremmo fatto un gioco: poi ha usato la mia cravatta per legarmi i polsi a una stecca della testiera”
“E anche questo ti è piaciuto”
” Moltissimo. Non l’avrei mai creduta capace, ho scoperto un nuovo aspetto di lei.
Non è che io non abbia mai provato giochetti simili, ma li ho sempre trovati piuttosto noiosi.
Con lei è diverso, mi fa impazzire l’idea che prenda il controllo: è sempre stata così dolce e remissiva, così geisha con me.”
Minuscole gocce affiorano alle sue tempie: le dita del pensiero sono bloccate dal nodo maldestro che lei ha improvvisato intorno ai suoi polsi.
Se adesso volessi essere dispettosa, se sfilassi un piede dalla scarpa e lo dirigessi verso la sua sedia, potrei fargli cadere di mano il calice, che sta cercando di riempire con il resto del vino. Ma non lo faccio: continuo a gustare i capolavori dello chef, sorrido e ascolto.
“Mi ha legato, non ha stretto forte, in realtà avrei potuto liberarmi con uno strattone, ma non volevo.
Mi piaceva troppo. É uscita dalla camera, al ritorno aveva addosso la mia camicia: solo quella, tutta aperta davanti. Ti dico, conosco bene il suo corpo, nudo o vestito con gli indumenti più sexy: eppure vederla così, con i capezzoli in rilievo sotto quella stoffa bianca, la striscia sottile di pelo del pube che spuntava tra i due lembi dell’apertura, sapere che poi l’avrei infilata io quella camicia, è stato eccitante da togliere il fiato”
Stefano ingoia un altro boccone, si schiarisce la voce e continua a raccontare senza più esitazioni: di lei che gli è salita a cavalcioni sopra, di come l’ha sfinito di carezze; di come avvicinava per gioco i seni alla sua bocca affinché lui raggiungesse i capezzoli, bacche rosate da cogliere con le labbra; di come, per gioco, li allontanava prima che lui ci riuscisse. Di come è scivolata all’indietro per baciare leccare e accogliere in bocca la sua eccitazione.
Racconta, e racconta, senza tralasciare dettagli, e cresce la sua voglia. Uno scambio di sguardi, saltiamo il dessert: lui paga in fretta e in fretta usciamo dal ristorante.
Non arriviamo fino a casa mia, non ce la farebbe: porta l’auto in una strada a ridosso di una zona artigianale, deserta la sera. Pochi platani stenti alternati a cartelli gialli e neri, muraglie di pannelli di cemento, recinzioni interminabili e fari: solo qualche ritaglio di buio. Sta ancora guidando e senza guardare mi infila una mano nella scollatura, la manda alla cieca in cerca dei seni. Ultimi metri, la mano è sotto la gonna: sa che non indosso niente sotto, fruga con le dita impazienti e mi fa sussultare allo strappo del freno.
Auto spenta, scatto delle cinture che schizzano riavvolgendosi: un bacio vorace, le sue mani risalgono sulle mie cosce per sollevare la gonna, che si accartoccia sopra le anche: la sua testa affonda a leccarmi. È quello che aspettavo, lui è sempre stato bravo con la lingua e le dita: sfido lo spazio ristretto, sollevando appena il bacino, perché possa succhiare l’umore che ormai cola, impregnando l’aria di odore.
Riemerge, con voce strozzata mi parla ancora di lei:
“è bella sai Valeria, scopa così bene, lo so che vorresti che ti scopasse anche lei”
“sì lo vorrei, che fosse qui, vorrei farmi leccare da lei e da te insieme”
“ti piacerebbe vederla godere?”
“sì mi farebbe impazzire”
“dimmelo ancora che vuoi vederla godere”
“sì la voglio, vi voglio, tutti e due per me, voglio vedervi, che scopate e godete”
Mi volto, sono in ginocchio sul sedile, la fronte e le palme delle mani appoggiate al finestrino: due auto ci passano accanto in un frastuono di luci, chissà se se qualcuno ha intravisto il mio viso, le dita che premono contro il vetro a bilanciare le sue spinte impetuose.
Mi risale dentro sempre di più, sempre più veloce, fino a strapparmi l’urlo di un memorabile orgasmo: solo allora, con un sussulto da animale colpito, mi inonda del suo fiotto denso e pulsante. Si abbatte esausto sul sedile.
“Oh tesoro mio, oh amore, amore mio!”
Ma lo mormora ad occhi chiusi, lo sta dicendo a Valeria: le dita del presente sfiorano le mie labbra, ma quelle del pensiero sono con lei. Eppure è questo che mi piace da morire.
La sveglia suona presto, anche oggi che è sabato: ma non mi pesa alzarmi, scendo da letto con un piccolo balzo felice.
Caffè, doccia, mi sistemo con cura i capelli canticchiando un motivetto cretino, tanto lo specchio
si limita a giudicare l’immagine, di canzoni non gli importa gran che.
Jeans chiari, top bianco ricamato, trucco leggero: scendo al bar vicino casa ad aspettare.
Arriva quasi in orario.
Ho sempre un tuffo al cuore quando la vedo, così bella e raggiante, con uno dei suoi abitini a fiori pastello che le lasciano le gambe scoperte, al collo la catenina con la pietra che le ho regalato.
Due baci innocenti sulle guance, poi scegliamo un tavolino fuori e ordiniamo due spremute: il cameriere, un bel ragazzo dai capelli nerissimi e lucidi, non fa che lanciarci occhiate rapaci.
Ma non intuisce niente: per tutti qui, siamo due amiche per bene e forse un po’ frivole, che sorseggiano la spremuta mentre chiacchierano di moda e di palestra, e se si prendono per le mani è solo per ammirare la nuova nail art.
E se si recano insieme alla toilette è solo per rinfrescare il trucco, non certo per baciarsi affannosamente dietro la porta, soffocando parole ancora da dire, frenando mani che vorrebbero spogliare.
Andiamo all’ingresso, pago, lascio persino la mancia al cameriere rapace, che non smette di palparci con gli occhi. Va bene così, oggi mi sento generosa, magari gli abbiamo regalato una bella fantasia che gli tornerà utile nei momenti di digiuno. Ma adesso casa, adesso noi due, da sole.
“Allora, come è andata con lui?”
Siamo nel mio letto, ancora nude e abbracciate, dopo una mattinata a sfinirci di orgasmi.
“Credo di averlo spiazzato legandogli le mani: avresti dovuto vedere la sua espressione, povero tesoro! Sconvolto, ti giuro!” Ride come una bambina, giocherellando con una ciocca dei miei capelli: un piccolo diamante di tempo, questo istante.
“Non se lo aspettava da te”
“No, infatti. Lui mi vede ancora come la ragazza perfettina e beneducata che ero all’inizio.
Non si rende conto che sono cresciuta, o forse vuole far finta che tutto sia come allora, gli piace pensare di dovermi guidare e istruire: un modo come un altro per alimentare il suo ego.
Io lo lascio in questa illusione: anche questa volta, vedrai, avrà pensato di essere lui l’ispiratore del gioco. Però ci sto davvero bene, mai avuta tanta sintonia con un uomo come l’ho adesso. Lo so, lo so, non dirlo: moltissimo è per merito tuo. Hai tanti, tanti meriti amore mio, e voglio godermeli tutti, sai!”
Vorrei replicare, ma il suo bacio ricaccia indietro le parole. Il suo corpo si allunga di nuovo sul mio, i nostri seni si schiacciano a vicenda come in un gioco di riflessi sull’acqua; la sua mano si fa strada e si insinua tra le mie gambe. Le schiudo con un sospiro di piacere, mentre le sue dita mi invitano alla resa. Ma sì. Che importa in fondo, sapere di chi è il merito, chi ha dato o ha ricevuto di più?
Ecco, tu che stai lì, sì proprio tu dall’altra parte della pagina: adesso sai, e hai capito.
Sai che Stefano e Valeria sono una coppia.
Si amano e stanno insieme da un paio d’anni. E io? Io andavo a letto con lui, da molto prima che la conoscesse. Ci amavamo? No: solo sesso, fatto bene. E un grande affetto e una grande confidenza, confidenza che non è scemata quando ha conosciuto Valeria. Anzi. Raccontarmi tutto, rendermi testimone delle sue esperienze e dei suoi desideri è diventata la sua spinta all’eccitazione, sempre di più. È diventato il nostro gioco.
Lui racconta, io ascolto. Lui fa l’amore con Valeria anche quando scopa me.
Ma non sa che io a mia volta, scopando con lui faccio l’amore con Valeria.
Non mi si potrà biasimare, se dopo le prime fantasie condivise, ho fatto di tutto per conoscerla.
In fondo è stato lui, inconsapevolmente, a spingermi tra le braccia di Valeria: quando l’ho incontrata,
quando l’ho corteggiata, quando l’ho portata a letto per la prima volta, non ho fatto altro che materializzare ciò che vivevo nei racconti di Stefano. Neppure lei sa, ed è meglio così.
Un inganno, mi dirai. Ma è un inganno buono in fondo, che finora ha solo moltiplicato il piacere: e questo lo sai, se hai letto fin dall’inizio.
Ho mai desiderato averli insieme? No, mai. Un triangolo sarebbe piatto e scontato, romperebbe il sottile incantesimo tra noi, l’equilibrio tra segreto e confidenza che alimenta il nostro desiderio.
Come faccio a essere certa che davvero nessuno dei due sospetta dell’altro? Non ne sono certa, in effetti.
Anzi, mi è venuto in mente più di una volta che Stefano e Valeria possano essere d’accordo, e con me fingere di ignorare le rispettive storie. Insomma che siano loro ad ingannare me.
Magari è davvero così: non so, e non lo voglio scoprire.
Dici che è un gioco perverso? Forse. Ma funziona sempre in questo modo, se ci pensi.
Un istante realmente vissuto, mille istanti per desiderarlo, per confidarlo, per ricordarlo.
E anche per nasconderlo, per negarlo. Mille specchi.
E anche tu, che sei qui e stai leggendo, e con le mie parole stai immaginando, anche tu sei uno dei tanti specchi di questa vicenda.
Anche tu sei parte del gioco.