Il vecchio, nascosto nel fiordo, vide una barca raggiungere la sua isola, era già la sesta quell’anno. Con fare pensieroso osservò due ragazzi scendere e, quando furono scomparsi fra gli alberi, si addentrò a sua volta nei meandri del bosco. Sapeva dove si sarebbero diretti: tutti capitavano nella stessa radura vicino alla costa e la consideravano sempre l’ideale per un campo. Aksa (così si chiamava il vecchio) raggiunse quel luogo e osservò di nuovo i due ragazzi montare velocemente una tenda fatta con pelli di animali. “Uhm…veloci ed efficienti…molto bene”.
Si stava facendo tardi. Dopo che i ragazzi si furono sistemati, il vecchio si avviò verso la sua caverna nascosta. Scostò le frasche davanti all’ingresso e, con il fare di chi ha avuto una giornata pesante, si sdraiò sulla sua amaca, ma, prima di riuscire ad addormentarsi, sentì qualcosa di morbido e peloso sulla pancia. “Frifrù, cosa ci fai qui?” chiese Aksa al suo pennuto preferito, poi aggiunse osservandolo “ho capito, vuoi che ti racconti una storia… beh, ti racconterò la mia” e il vecchio cominciò. La prima volta che giunsi qui fu sessant’anni fa,ma non arrivai come tutti gli altri: io fui il primo a scoprire questo luogo. Ero in fuga dalla mia isola natale perché sentivo che non si sarebbe compiuto lì il mio destino, lo sai come sono i giovani, no? Molto ambiziosi e a volte anche sciocchi… Girovagai per l’isola e, per puro caso, trovai questa caverna che è tutt’ora la mia casa, così mi stabilii qui definitivamente.
Negli anni appresi molte cose, ma ne imparai una in particolare: nella mia isola natia tutti credevano nella Divinità Madre, ma non io, sono sempre stato molto realista e razionale, il mio modo di pensare era semplice, esiste solo ciò che vedi. Ma qui capii che è importante avere una guida spirituale. Non doveva per forza essere una divinità, poteva anche essere una parte di me, con la quale parlare o dalla quale lasciarsi dare un consiglio, tutti ne avevamo bisogno. Dopo vent’anni dal mio arrivo, vidi la prima delle tante barche che giungono tutt’ora qui: a bordo c’erano due uomini. Ascoltando di nascosto i loro dialoghi capii che cosa stava succedendo: un’altra tribù aveva mandato quegli uomini a esplorare l’isola. La chiamarono “l’isola degli Avi” e, dopo un’attenta ispezione, decisero che era idonea per essere teatro del rito di iniziazione dei giovani. Ci pensai su, ero qui da molto tempo, ma nessuna divinità mi aveva mai parlato; cos’avrebbero pensato i giovani quando le loro certezze sarebbero state distrutte? Presi la mia decisione, non potevo permettere che ciò accadesse, così ogni volta che due ragazzi stanno per partire, faccio in modo che ricevano un messaggio, che loro attribuiscono alla dea, così tornano pieni di speranze…
Il vecchio si fermò e guardò Frifrù, che nel frattempo si era addormentato. Appoggiò teneramente una mano su di lui e disse fra sé e sé: “tutti hanno bisogno di qualcosa in cui credere”.
Dopo due mesi, durante i quali Aksa osservò il lavoro dei giovani, venne il giorno della partenza, ma prima che i due riuscissero ad avvicinarsi alla barca, il vecchio si recò dove li aveva attesi il primo giorno, portandosi dietro il gigantesco guscio di una conchiglia. Lo sistemò fra gli scogli che dividevano le due spiagge e urlò: “Oggi due persone se ne vanno, ragazzi abili e dal destino sorridente. Oggi due persone se ne vanno, uomini saggi e svelti di mente“.
La conchiglia trasformò l’urlo del vecchio in un sibilo assordante che si fece strada attraverso le rocce e raggiunse le orecchie dei ragazzi che sollevarono subito la testa basiti, poi sorrisero e spinsero la loro barca in acqua. Anche il vecchio sorrise e, con passo lento, scomparì nuovamente nel bosco.