FEDERICA di Katya Garda


Il motorino non parte e sta iniziando a piovere. Forse è meglio che risalga in casa e provi a parlargli. 
Ma stasera è troppo ubriaco e ho troppa paura. Ho  il sapore del sangue in gola; la mia piccola è  al riparo sotto la tettoia: mi guarda spaventata con i suoi grandi occhi neri. 
Non posso tornare da lui, non posso riportarla da lui. 
Il motorino ora è partito e pioviggina appena, faccio un cenno ad Alice, che corre da me; le infilo il casco e le raccomando di stringermi forte. 
Partiamo. 
Mio padre oggi farà il turno di notte e mia madre ci ospiterà. Davanti al portone dei nonni  Alice mi stringe e mi dice: “Grazie!”.
Lei qui si sente al sicuro. 
Mia madre non mi chiede niente, mi disinfetta il labbro e prepara del latte alla bambina. 
In silenzio tutte e tre ci infiliamo nel lettone; Alice si appoggia al mio petto e si addormenta piangendo. 
Mia madre bisbiglia: “Devi andartene o ti ammazzerà”.
Alle sei sono già sveglia.
Mio padre in cucina mi prepara  il caffè, mi da un bacio sulla fronte e io scoppio a piangere. 
Con la testa china sul tavolo fissiamo le tazzine e non scambiamo neanche una parola, entrambi persi nei nostri pensieri.  
Alice è pronta: la carico sul motorino e la porto all’asilo. 
Il labbro si è gonfiato e ho la guancia livida,  ma è presto e a scuola non incrocio nessuno. 
Maestra Pamela accoglie Alice con un gran sorriso, fa finta di non accorgersi della mia faccia e io le sono grata. 
Alle 8.30 inizia  il mio turno di lavoro, nel mio armadietto ho un po’ di fondotinta  e mi copro i lividi come posso. 
Al lavoro sistemo frutta nelle cassette a testa bassa e non parlo con nessuno. 
Nella pausa pranzo mangio un panino controvoglia e fumo una sigaretta nel parcheggio, seduta su un gradino nascosta tra le auto, mentre ripasso i quiz per la patente. 
Se riuscissi almeno a  prendere la patente, niente più freddo e pioggia in motorino. 
Finisco il turno e prima di uscire, ripasso il fondotinta per coprire il livido sulla guancia, ma il labbro è troppo gonfio e non riesco a nasconderlo.  
Faccio un gran respiro, tiro su il cappuccio della felpa, indosso gli occhiali  scuri e corro all’asilo a prendere Alice. 
La mia piccolina come sempre mi accoglie a braccia aperte e mi grida: “Mamma!.
Mi stringe forte e io scoppierei a piangere, se non fosse che  a quest’ora l’asilo è pieno di gente.  Il respiro è pesante provo a deglutire, mentre asciugo le lacrime sotto gli occhiali, prima che si possano vedere. 
Mangiamo un  gelato, la porto al parco; lei chiacchiera felice e gioca con le amiche.  Accarezza un labrador e il cane ricambia leccandole la faccia. Adora i cani, forse un giorno le prenderò un cagnolino. 
Continuo a fare i miei quiz seduta sulla panchina. 
L’aria inizia a diventare più mite e le giornate si stanno allungando: fra due giorni è primavera. 
Carlo mi ha scritto: mi ha chiesto scusa, mi ha detto che stasera torna presto, che non vuole più bere, che mi ama e  che siamo la sua vita. 
Alle otto la cena è pronta. Alice  ha già mangiato: è pulita e profumata e, avvolta nella sua  coperta preferita, guarda i cartoni sul divano. 
Io e Carlo mangiamo, chiacchieriamo e mi dice che stasera non toccherà neanche una goccia di vino. 
Continua a baciarmi e a chiedermi scusa. Sono felice: lui vuole essere migliore, lo so. 
Andiamo a letto, facciamo l’amore ci addormentiamo abbracciati. 
Alle due riceve un messaggio: si alza, si prepara e quando gli chiedo cosa sta facendo, mi risponde: “Io esco”.
Rimango sveglia fino alle quattro, poi provo a dormire. Alle sei sono in cucina a bermi un caffè e a piangere. 
Alle sette sveglio Alice, la preparo e così inizia la giornata: asilo, lavoro, parco e un giornalino in edicola; lei che ride con le sue amiche sulle giostre.
Carlo  è sparito. 
Non mi scrive nemmeno un messaggio e non risponde ai miei. 
Io e Alice ceniamo sul divano guardando i cartoni. Crolla avvinghiata al mio petto e la porto a letto. 
Carlo è scomparso e sono molto arrabbiata; lascio le chiavi nella serratura della porta di casa, stanotte non voglio che rientri. Gli scrivo: “vaffanculo!”
Chiamo mia madre che mi ripete: “Lascialo o ti ammazzerà”
Piango, provo a dormire, ma alle tre sono ancora sveglia. Ascolto ogni minimo rumore, aspetto che torni, penso che torni.  Dormo due ore. 
Alle sette suona la sveglia, guardo il telefono, neanche  un messaggio. 
Mi lavo la faccia, i lividi si vedono ancora  e li copro con il fondotinta; il labbro  si è sgonfiato.
Devo andarmene.  
Ricomincia la  giornata, sempre quella, ma oggi alle cinque Alice ha la prova di nuoto. 
Carlo lo sa ma non si fa vedere. 
Mia madre è venuta: Alice, felicissima e orgogliosa, le mostra il costumino rosa, la cuffia gialla e le sue minuscole ciabattine di plastica viola. Ha un po’ paura, ma poi nuota come un pesciolino. 
Torniamo a casa e Alice non smette di parlarmi della sua insegnante di nuoto, dei suoi nuovi amici, di come è bello stare in acqua e di come si sentisse leggera. Non mi chiede mai del padre. 
Accendiamo la televisione, ma dopo due minuti crolla sul divano e la  porto a letto. 
Lei è la mia gioia, la vita, la mia vita!
Devo andarmene. 
Alle dieci sento le chiavi girare nella toppa mentre  sto lavando i piatti; spengo la televisione. 
Carlo barcolla, si toglie le scarpe a fatica lancia la giacca sulla sedia e fa cadere chiavi, monete e portafogli.
Va in bagno: lo seguo provo a parlargli, ma sbatte la porta e la chiude a chiave. 
Puzza di vomito e sudore, misto a un profumo femminile intenso. 
Torno in cucina, accendo la televisione e scoppio a piangere. 
Carlo arriva in cucina, apre il frigorifero e smangiucchia qualcosa in piedi, appoggiato al muro, mentre messaggia. 
Gli chiedo dove è stato con chi. Lui non alza nemmeno lo sguardo. 
Mangia e messaggia. Mi ignora. 
Gli ricordo che oggi avrebbe dovuto venire alla prova di nuoto. Gli urlo che sono esausta, stanca di lui , del suo comportamento, di questa vita. 
Gli dico: “Me ne vado!”.
Alza lo sguardo, mi fissa negli occhi  e mi tira un pugno che mi scaraventa a terra. Credo mi abbia rotto il naso. Il dolore è atroce. Non riesco a respirare, sento il sangue in bocca, mentre mii appoggio alla sedia e cerco di  rialzarmi. 
Voglio andarmene. 
Mi tira uno schiaffo e mi fa ricadere, poi mi prende a calci.
C’è sangue ovunque.  
Non capisco più niente, non  vedo più niente. 
La mia bambina  è sulla porta della cucina: devo abbracciarla, voglio abbracciarla. 
Svengo. 
 
Alice ha il suo cagnolino,  glielo ha regalato mio padre. Ora non  è più un piccolo pesciolino, ma un vero pesce: nuota benissimo e passa ore in piscina. 
Li vedo tutti e tre quando vengono a trovarmi. 
Loro piangono sempre, ma io sono felice di vederli. 
La mia bambina cresce a vista d’occhio, io invece avrò per sempre 24 anni. 
Mi chiamo Federica e sono morta il primo giorno di primavera. 
 


 
 
 
 


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