by Elisabetta Miari

IO VOGLIO TE di Elisabetta Miari

“No, non è possibile, sarebbe follia allo stato puro, il solo fatto che possa pensarlo dimostra che sto andando fuori di testa”.
Inspiro, espiro. “Eppure…”
Era il 1989, non ci era ben chiaro chi fossimo e cosa volessimo allora, o perlomeno non lo era per me, che galleggiavo nella mia vita senza pormi particolari problemi a riguardo, il periodo delle domande e dei cambiamenti sarebbe arrivato da lì a un anno.
Gli anni Ottanta stavano finendo, le acconciature si riducevano e con loro anche le spalline e le giacche, quello che era stato un periodo over in tutto, musica, moda e costumi, si stava lentamente stringendo e ridimensionando, ma ancora non lo percepivamo, presi com’eravamo ad asserire la nostra gioventù.

Io, dopo aver frequentato con poca convinzione per un paio d’anni l’università a Torino, facendo da pendolare tra Alessandria, dove vivevo con la mia famiglia e il capoluogo piemontese, avevo mollato il colpo e mi ero adagiata su un lavoro come impiegata per una allora neonata finanziaria che in seguito divenne famosa per il suo fondatore.

E fu proprio a una convention a Milano che lo vidi per la prima volta, o meglio, che lui mi vide e mi puntò, come il cacciatore punta la preda con il mirino del fucile.

Ero una bella ragazza, senza finta modestia, lo sono sempre stata, ma allora non avevo l’esatta percezione della mia apparenza, nonostante avessi avuto molte conferme e qualche esperienza come modella, mi sentivo sempre con qualcosa fuori posto.

Quando questo ragazzo attraente, alto e magro, con il volto spigoloso e un naso importante che svettava su una pelle già un po’ segnata, nonostante i suoi 25 anni mi si è avvicinato, la prima reazione è stata quella di ritrarmi.

Quegli occhi, ridenti, scrutatori e intelligenti, che mi studiavano attentamente, mi mettevano a disagio ma ne ero attratta.

Si presentò, disse le classiche cose che si dicono in questi casi e congedandosi mi chiese Se potevamo rivederci ed io risposi con un lapidario “No”.
La mia vita trascorreva lenta e tranquilla: ogni mattina mi recavo in quell’ufficio senza particolari slanci e ne uscivo alle sei di sera, portando con me praticamente nulla della giornata trascorsa lì dentro, una vita già noiosa a vent’anni.

Un pomeriggio, all’uscita dal lavoro, lo vidi sul marciapiede di fronte che sorrideva, come un boa constrictor che sta per circondare la sua preda per stritolarla. Incuriosita e anche un po’ scocciata, non amando da sempre le sorprese, mi avvicinai e gli chiesi cosa ci facesse davanti al mio ufficio.

Marco, questo era il suo nome, senza timore di essere frainteso mi disse che era venuto per me, per rivedermi, magari per una cena.

Sempre cosciente del mio ruolo di gelida principessa gli risposi di no e lo informai che se avesse voluto rivedermi sarebbe dovuto venire a trovarmi a casa, nel castello sorvegliato dai draghi, che atri non erano se non mio padre, notoriamente severo e all’antica.

E così cominciò a farmi visita qualche sera, accettando di stare seduto a distanza nella mia cameretta, mentre io lo studiavo e ponderavo sul da farsi.

Non era una situazione semplice: Marco era fidanzato da cinque anni con una ragazza del suo paesello vicino a Pavia; il matrimonio si stava avvicinando, man mano che la casa che i genitori stavano costruendo per loro prendeva forma. Una situazione da sfuggire, secondo i miei canoni, ma lui era un venditore nato, un affabulatore disposto a qualsiasi cosa pur di raggiungere l’obiettivo.
Mi stavo comunque lasciando coinvolgere dalla personalità magnetica di Marco, dalla sua capacità di ridere e scherzare come piaceva me, dal suo farmi sentire così speciale ed unica, che alla fine decisi che ci sarei stata insieme.

Fu una bella sorpresa, si rivelò un amante appassionato e ben dotato, il migliore che avessi mai avuto, vista anche la mia scarsa esperienza.

Da quel momento ebbe inizio uno dei rapporti più passionali, possessivi e capricciosi della storia: lo volevo per me tutte le sere, incurante dei suoi legami e del suo lavoro, volevo fare l’amore con lui in quella sua Golf GTI di cui andava tanto orgoglioso, la sua era una famiglia modesta e tutto quello che aveva se lo era conquistato, diversamente da me che ero viziata e inconcludente al tempo.

Anche lui faceva i salti mortali per raggiungermi ad Alessandria il più possibile e passare le serate con me, prima a cena e poi in macchina, fino ad addormentarci sfiniti e risvegliarci alle tre del mattino.
Più di una volta fece il viaggio di ritorno a quell’ora senza rimettersi i pantaloni, con i boxer e la camicia, incurante del fatto che a casa ci fosse sua nonna sveglia ad attenderlo alla finestra, un po’ per la preoccupazione e un po’ per insultarlo. Sua madre e sua nonna lo esortavano a smetterla, a tornare in sé: stava trascurando non solo la fidanzata ma anche il lavoro, sembrava aver perso la testa.

Ora, trentatré anni dopo, cerco di ricordarmi i contorni di un passato ormai sbiadito, di tracciare linee per collegare i punti di un disegno che sta lentamente per prendere corpo.

Un brivido lungo la schiena mi avvisa che questa è una ricerca pericolosa, che forse mi rivelerà cose che non voglio sapere, che potrebbe distruggere tutti i ricordi cha da 6 mesi mi legano ancora a lui, appassionatamente come allora, perché, incredibile ma vero, sembra che abbiamo ripreso da dove avevamo lasciato, quando sparendo gli spezzai il cuore, o almeno così dice lui, raccontandomi una narrazione che non conoscevo, quella di un ragazzo abbandonato dalla ragazza che amava e per la quale ha fatto follie.

Non era facile avere una relazione con un ragazzo all’interno della stessa organizzazione, anche se in città diverse, avevamo comunque rapporti e i colleghi dei nostri due uffici erano al corrente della situazione, e questo suscitava battutine da ambo i lati; quindi, quando mi capitò l’opportunità di lavorare in un negozio, cambiai senza pensarci.

Qualcosa mi diceva che fosse un segno del destino, come la presenza di Lorena, la collega di Pavia, di un paesino vicino a quello di Marco per la precisione, che lavorava ad Alessandria e ritornava a casa nei fine settimana.

Cominciammo a fare uscite a quattro, con lei e con un collega di Marco.
Lorena aveva qualche anno più di me, aveva i capelli rossi ed era una ragazza molto carina e a posto; era un’inguaribile romantica ed aveva preso in simpatia Marco.

Suo malgrado ogni tanto assisteva ai bisticci dovuti alla gelosia e alla possessività, perlopiù mia, del resto il fatto che aveva una fidanzata e che non fosse tutto per me proprio non mi andava giù.
Mi rendo conto di aver rimosso tutto quel periodo, la mia gioventù ad Alessandria, forse perché la mentalità provinciale piemontese mi è sempre andata stretta, o forse solo per far spazio a tutti i ricordi nuovi da qual momento in poi.

Tra le poche cose che il mio inconscio ha salvato della storia con Marco mi ricordo una sera che andammo tutti e quattro a Lido degli Estensi, vicino a Ferrara. Io passavo il fine settimana a Pavia da Lorena e partimmo da lì.
Me lo rivedo come in un sogno, ovattato e lento, ma la colonna sonora, suonata dagli altoparlanti nella via principale quasi deserta di quel posto di mare un po’ decadente era indimenticabile:” Shine on your crazy diamond “dei Pink Floyd.

Ogni volta in questi anni in cui mi capitava di ascoltare questa canzone mi tornava alla mente Marco, quella musica era legata in modo indissolubile a lui e a quel momento così intenso della mia vita.
Furono sei mesi di pura passione, bisticci e amore, anche se non si decideva a lasciare la fidanzata; le vacanze erano alle porte e lui mi annunciò candidamente, e non senza paura, che sarebbe andato lo stesso in Slovenia con la fidanzata e un’altra coppia, ma che al rientro le avrebbe parlato e saremmo finalmente stati insieme.
Si certo, come no, come lo aveva fatto negli ultimi sei mesi nonostante le mie pressioni.
In qual preciso memento sentii che qualcosa si stava incrinando, che non sarei riuscita a tollerare ulteriormente questa storia.

Avevo 22 anni, ero bella e sexy, avevo la vita davanti e mi organizzai diversamente: prenotai in un villaggio in Turchia con mia mamma e partii due giorni dopo di lui.

La sera stessa in cui arrivò in Slovenia, mi telefonò da una cabina a gettoni dicendomi che sarebbe rientrato il giorno dopo per stare con me e che le avrebbe parlato, io non gli dissi che stavo per partire.
Non gli ho creduto, o forse qualcosa si era rotto dentro e volevo solo dimenticare: da giovani è più facile riprendersi dalle sofferenze amorose, c’è quella superficialità che facilita gli inizi così come le fini dei grandi amori.

La Turchia fu un capitolo a sé: iniziato male e finito bene.
Passai i primi giorni su un materassino legata ad una boa senza protezione solare, causandomi un’ustione di secondo grado.
Il mio essere così schiva e costantemente ancorata al largo, lontano dal resto del mondo, attirò l’attenzione di due ragazzi molto più grandi di me in vacanza nello stesso villaggio.
Il più carino dei due era un neurochirurgo di nome Roberto che lavorava all’ospedale di Monza e, butta caso, mi aveva messo gli occhi addosso.
Un pomeriggio, verso la fine della prima settimana, i due giovani uomini andarono da mia mamma, pensando fossi ancora minorenne, e le chiesero se potessero invitarmi quella sera a bere qualcosa. Mia mamma, che sapeva su cosa rimuginassi ancorata alla boa in solitudine, diede subito il consenso, incurante del mio parere. Quando tornai a riva, ebbi un mezzo litigio con mia madre perché non volevo andare, anche se alla fine capitolai.
Nonostante il malumore, la serata si rivelò divertente e cominciammo a frequentarci tutto il giorno, finché un paio di sere prima della fine della vacanza mi misi con il neurochirurgo.
Tornata a casa avevo ormai Roberto in testa: lui era il futuro e Marco il passato.
Marco continuò a telefonare per un po’ di tempo: io non risposi mai e diedi istruzioni ai miei familiari di dire che non c’ero, non volevo più sentirlo né sapere niente di lui.
Quello che non sapevo era che, sicuro di ritrovarmi, aveva lasciato la fidanzata con la quale aveva parlato in Slovenia subito dopo la telefonata, buttato all’aria un matrimonio e lasciato nel panico due famiglie, ma questo lo avrei saputo solo trentatré anni dopo, dalla sua stessa voce, aggiungendo che per un paio d’anni la sua vita fu sottosopra per causa mia.

“Ciao, come stai Silvia? Mi farebbe piacere sentirti, ti lascio il mio numero di telefono, Marco”.
Una mail, semplice e breve, arrivata dopo tanti anni e tante vite, almeno nel suo caso, che si era sposato e divorziato per ben due volte.
Incuriosita risposi alla mail e da lì cominciammo a sentirci, dapprima ogni tanto, poi sempre più spesso per più di un anno.

Ci siamo anche visti poco tempo dopo il primo contatto, in una situazione pubblica, perché non mi sentivo a mio agio a vederlo in privato, e quando l’ho rivisto non ho provato nessuna attrazione: era invecchiato, i capelli e le sopracciglia bianche, il viso pieno di rughe, il fisico non più magro, ma nemmeno troppo appesantito.
Nonostante che la confidenza telefonica tra noi aumentasse sempre più, non mi sentivo attratta da lui fisicamente. La sua voce era rimasta sempre la stessa però: era dolce, intelligente, intrigante e sempre presente, e giorno dopo giorno cominciò a sostituirsi alla sua immagine, e nostre conversazioni erano a volte serie e a volte scherzose, proprio come un tempo.

Con il mio lavoro, sono editor per una casa piccola editrice, posso organizzare il mio tempo e, con il passare dei mesi, abbiamo cominciato a sentirci di continuo, a passare ore e ore al telefono, a messaggiarci senza soluzione di continuità: stava diventando una dipendenza a tutti gli effetti, ma senza la completezza di un rapporto fisico, sembrava quasi avessi sublimato il ricordo di quell’uomo e lo rivivessi nella sua voce e nei suoi messaggi.

La mia situazione poi mi tratteneva ulteriormente: sono sposata, con un uomo molto più vecchio di me, che mi ha fatto da pigmalione, amico e marito, ma mai da amante.

Leonardo mi ha insegnato tutto di questo mestiere, mi ha inserito nel campo editoriale dove lui è dirigente ed è sempre stato come un fratello maggiore per me. Insieme abbiamo condiviso il progetto di un figlio, straviziato e molto amato da entrambi; forse lo abbiamo fatto per egoismo, forse il mio orologio biologico era diventato insistente, fatta sta che Edoardo è la cosa più preziosa che abbiamo.
Una vita quasi perfetta, a parte la mancanza di amore e di sesso, che ho compensato con qualche storia in passato e sublimando il mio ruolo di madre.

Viviamo a Bergamo alta da tanti anni, Leonardo è un bergamasco doc, ormai siamo abituati alla scomodità radical chic di questo luogo fuori dal tempo e non torneremmo più indietro al caos della grande città.
In questa bella vita senza emozioni si è inserito Marco, che dopo trentatré anni è tornato a parlare di amore, come se non fosse passato nemmeno un giorno.

I primi tempi rigettavo questa assurdità, mi sembrava assolutamente folle pensare che, dopo avermi rivista, si fosse innamorato di nuovo di me come allora, avevo sempre il dubbio che mi volesse sedurre solo per il gusto di farlo.

Lo studiavo con attenzione, soppesavo le sue parole e lo mettevo alla prova; a un certo punto abbiamo anche smesso di parlarci per qualche mese perché non mi convinceva, si comportava in modo strano, spariva ogni tanto e questo non era in linea con il sogno che voleva vendermi.
Una volta ripresa la comunicazione in modo costante però, mi resi conto sempre più che mi faceva compagnia, mi scaldava la vita con il suo ipotetico amore, i suoi complimenti, le sue attenzioni, il suo essere sempre così presente e interessato.

Si ricordava nei minimi particolari tutta la nostra storia mentre io l’avevo rimossa per buona parte, così mi rinfrescò un po’ la memoria: era iniziata a fine gennaio e finita a fine luglio, era durata sei mesi e poi io ero sparita senza mai più rispondere alle sue chiamate.

Mi raccontava di quanto si fosse sentito disorientato e distrutto dopo la mia sparizione per tanto tempo: trovavo la cosa scioccante, mai e poi mai avrei pensato potesse succedere questo, io ero presa dalla mia nuova vita, avevo dimenticato, ero andata avanti. Sentendolo parlare ho pensato spesso che se fosse successo ai giorni nostri con i cellulari e i social forse non sarebbe finita così, ma probabilmente era destino.

Dopo mesi e mesi passati a parlare molte ore al giorno al telefono con lui mi venne un’idea per sbloccare la situazione ormai statica su un piano platonico: “o la va o la spacca” pensai, “lo voglio incontrare in una situazione intima e verificare che feeling abbiamo di persona”.

Gli diedi appuntamento in un Motel a Lodi, completamente fuori zona per me, sapevo che se lo avessi visto per una cena o un aperitivo gli avrei trovato qualcosa che non andava; invece, così non potevo più tirarmi indietro e avremmo finalmente verificato se la nostra incredibile compatibilità fosse ancora presente.
Decisi di tagliare i tempi, di bruciare le tappe, anche se dopo più di un anno di costante conversazione non lo definirei proprio così, ma le vacanze erano alle porte e mi sentivo trasgressiva e impaziente.

La notte prima dell’incontro faticai a dormire: ero tesa, mi facevo mille domande, ero persino insicura sul io aspetto fisico, che ancora riceveva così tanta approvazione da parte degli uomini.
Arrivai al luogo prescelto e con non poco imbarazzo ci salutammo con un bacio sulla guancia, lasciammo giù la sua macchina e facemmo l‘accettazione insieme. I cassieri dei motel sono persone molto discrete, evitano di guardarti troppo e con curiosità per fortuna; una volta lasciati i documenti e ricevuta la chiave ci dirigemmo al nostro bungalow.

Chiusa la porta dietro di noi fu tutto al contempo più facile e più difficile: da un lato l’imbarazzo di essere visti e giudicati dal mondo esterno era svanito, dall’altro c’eravamo noi e la paura di non riuscire a lasciarci andare come un tempo.
Gli avevo suggerito di portare una bottiglia di vino per aiutare a rilassarci e funzionò: ci trovammo in men che non si dica avvinghiati nel letto rotondo con il soffitto e le pareti a specchio.
Non voglio dilungarmi troppo sull’aspetto sessuale, non è un racconto hard questo, dirò solo che la realtà superò di gran lunga le aspettative e il ricordo: fu magnifico.

Quegli anni avevano regalato a lui esperienza e autocontrollo e a me consapevolezza e disinibizione.
I nostri incontri erano follemente appaganti, ogni dieci o quindici giorni passavamo cinque ore di puro piacere in quel Motel, e tutti i restanti giorni a parlare di quanto fosse bello fare l’amore insieme.
Il nostro incredibile feeling aveva spazzato via le mie iniziali perplessità e, pian piano, mi stavo lasciando andare, mi stavo convincendo che mi amava davvero ed era così bello sentirsi amati in modo così totale.

All’improvviso mi sentivo attratta da lui fisicamente, mi piaceva, lo desideravo a tal punto che mi spruzzavo il suo profumo che avevo acquistato per sentirlo vicino tutte le notti.
I messaggi, le canzoni d’amore che condividevamo e le ore al telefono stavano sciogliendo la principessa di ghiaccio. In particolare, una canzone, la prima che mi dedicò, il cui titolo diventò una specie di tormentone nei nostri messaggi: “Io voglio te” di Gianna Nannini.
IO VOGLIO TE, O TE O NESSUNO mi scriveva sempre.
Un nuovo sentimento cominciò a farsi strada nel mio cuore e la parola amore sulle mie labbra, un sentimento potente, devastante forse, perché mi riportava a quella passione e possessività che aveva caratterizzato il nostro rapporto da giovani, a lui piaceva che io lo fossi, gli ricordava il passato mi diceva, incoraggiandomi in tal modo ad avere sempre meno limiti.

Lo volevo ancora tutto per me, tutto il giorno, aspettavo con impazienza che finisse gli appuntamenti per sentirci e diventavo insofferente in caso di ritardo.
Ero così felice quando decise di prenotare un appartamento per una settimana in una località balneare vicino a dove avrei soggiornato con la famiglia in agosto: ci saremmo potuti vedere e stare insieme, non sempre, ma quei momenti rubati sarebbero stati un grande regalo per entrambi.

Certe emozioni se non sei più abituato a provarle ti fanno andare un po’ fuori di testa e anche il sesso, quando con una persona raggiunge questi livelli diventa una dipendenza.
NON COMMETTERE MAI ‘ERRORE DI FAR DIPENDERE LA TUA FELICITA’ DA UNA SOLA PERSONA, A MENO CHE QUELLA NON SIA TU.
Avrei dovuto leggerla prima questa frase in un libro, avrei dovuto aver meno fiducia nel suo amore e nelle sue parole, ma del senno di poi sono pieni i fossi, si sa.

Il castello di carte a un certo punto crollò, con uno de tanti litigi dal quale però non siamo più venuti fuori, in particolare lui, che le settimane dopo non ha mai risposto ai miei messaggi, fino a quando l’ho bloccato io su what’s app e sui social: gli ho scritto un’ultima mail e ho smesso di aspettare un chiarimento che non arriverà.
Non mi sarei mai aspettata un comportamento simile, ma soprattutto non mi aspettavo questo ostinato silenzio rancoroso, che non ha nessuna traccia d’amore in sé, presente o passato. Nonostante lo implorassi tra le righe di farmi capire, da rispondermi anche solo per una spiegazione, ad oggi non ho ancora capito il perché della sua sparizione.

Ho visto che ha disdetto l’appartamento al mare, la ciliegina sulla torta, segno inequivocabile di chiusura totale.

Successe tutto nel giro d poche ore: un mese fa disse che un suo cliente lo aveva invitato il sabato sera a cena, per ringraziarlo per un lavoro svolto e che non sapeva dove sarebbero andati, ma solo che il posto era lontano. Per l’ora di pranzo mi informò che sarebbe partito alle tre del pomeriggio. A quel punto cominciai ad esprimere le mie perplessità, chi parte nel primo pomeriggio per andare a cena?

Come poteva non saperlo? Mi disse che una volta arrivato a casa del cliente glielo avrebbe chiesto e mi avrebbe informata, dopo di che mi scrisse che sarebbero andati a cena al Perla Nova Gorica in Slovenia, posto famoso per le prostitute che frequentano l’esterno del casinò e per le escursioni di uomini non più giovani che amano questo genere di divertimento.

Rimaneva forte l’ombra della menzogna, mi aveva detto che non sapeva dove sarebbe andato, con un confine di mezzo e un casinò era praticamente impossibile che non fosse stato messo al corrente. Perché mi aveva mentito? Lo affrontai, lo insultai, ma lui non aveva né la voglia né il tempo in quel contesto di chiarire la situazione.
“Sei pazza” fu l’ultima cosa che mi scrisse.

Sarò anche pazza, ma niente giustifica lo sparire improvvisamente e per sempre dopo un litigio, senza una spiegazione razionale, che avrei accettato comunque, mio malgrado.
Ho passato due settimane nella confusione più totale, nel disorientamento causato dalla mancanza di informazioni e dall’interruzione del contatto.
Poi, qualche giorno fa, un pensiero si è fatto strada nella mia testa, lentamente ma inesorabilmente, un insieme di coincidenze che mi hanno lasciata scioccata.

Ho ripensato alla nostra storia nel suo arco temporale completo e improvvisamente il cerchio si è chiuso: tanti anni fa ci eravamo messi insieme alla fine di gennaio ed è finita a fine luglio per via della Slovenia e questa volta ci eravamo messi insieme a fine luglio ed è finita a fine gennaio sempre con la Slovenia di mezzo. La modalità della sparizione e del silenzio praticamente identiche.

La possibilità che mi abbia corteggiata così a lungo solo ed esclusivamente per ricreare la stessa situazione e sparire lui questa volta, per vendicarsi, per farmi provare quello che ha provato allora, diventa tutt’un tratto credibile.

IO VOGLIO TE, O TE O NESSUNO sono parole vuote ora, probabilmente mai pensate sul serio e mi chiedo se tornassi indietro se rifarei l’errore di fidarmi di lui, di lasciarmi andare pagando poi il prezzo della delusione e della sofferenza: la risposta è si, lo rifarei.
L’amore, quello che ho provato io, è stato un sentimento così sincero e potente da riportarmi in vita quando credevo di essere morta, come mi era già successo in passato e come ora, anche allora finito all’improvviso, ma per via di una disgrazia.

Amare vale tutta la sofferenza del mondo e chi non la prova è perché non ha amato davvero, chi ha paura di amare ha paura di tutto.
Si era parlato spesso con Marco negli ultimi tempi di scrivere un racconto sulla nostra grande storia d’amore: ora l’ho fatto, anche se il finale non è più a lieto fine, bensì un epilogo vile e inquietante, che ha cancellato la bellezza e la poesia di quello che c’era tra di noi.

Una cosa positiva però è successa: a causa di questa brutta storia ho risentito Lorena, la prima cosa che mi ha detto che anche allora i nostri bisticci erano a causa della possessività e della gelosia e che per lei torneremo insieme, perché l’amore vince su tutto.
Mi spiace doverla deludere, resta sempre un’inguaribile romantica, anche se gli anni passano.

Continuiamo a sentirci, anche il nostro rapporto è ripreso da dove avevamo lasciato tanti anni fa, con la stessa complicità di un tempo e, a voler vedere il bicchiere mezzo pieno, ho perso un amore ma ho ritrovato un’amica.

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