“Capo d’accusa” di Rino Casazza


 

Eva si era appena afflosciata sullo schienale del divano con un singulto.

Sullo scoppio dell’ennesima cannonata dell’Armata Rossa, Adolf Hitler portò alle labbra la capsula di cianuro, avvicinando alla bocca la canna della luger.

In quel momento, la luce nello studio privato cambiò. Assunse una tonalità più luminosa, e trasparente, simile a quella di un acquario. E lui si ritrovò immobile, come immortalato insieme a tutto il resto in un’istantanea.

Questo succede, quando si muore?pensò. No: lui non aveva ancora inghiottito il veleno né tantomeno si era sparato il colpo di grazia. Entrambi i gesti erano rimasti grottescamente incompiuti.

Davanti alla scrivania, a qualche metro da lui, la superficie irreale del misterioso fotogramma di realtà che lo imprigionava incominciò a scurirsi, sino a formare un’immagine. Era una figura umana, non c’erano dubbi. Totalmente incongrua rispetto al luogo, ma era lì. Pian piano prese forma più distinta, anche se rimaneva sbiadita. Era un uomo alto, in divisa, una divisa grigia che lui, pur da sempre appassionato di uniformi, non aveva mai visto. I pantaloni e la giacca, attillatissimi, aderivano al corpo come una guaina. Il berretto, di foggia bizzarra, aveva una visiera esageratamente sporgente. Gli stivali erano squadrati tanto da sembrare antiestetici scatoloni. Mancavano le spalline come qualsiasi altro segno per identificare il grado. C’era solo una breve striscia sul lato destro della giacca, che riportava una scritta incomprensibile. Chiunque avesse disegnato quell’ abbigliamento militare, non aveva il minimo gusto.

La grottesca figura mosse la bocca, e ne uscì una voce impersonale che sembrava registrata.

«Io, agente Vettanio Colubr della Polizia Temporale, su mandato della Somma Corte Terrestre, la dichiaro in arresto per grave crimine transtemporale contro l’umanità »

Se avesse potuto muovere i muscoli del viso, Hitler avrebbe fatto una smorfia di amara ironia: sin dagli inizi della sua avventura di Fuhrer del Terzo Reich aveva convissuto col rischio di sentirsi ritorcere un’accusa del genere, e quando oramai sembrava che, grazie al cielo, non ce ne fosse più il tempo, invece …

«L’arresto avverrà trasferendola da questo punto spaziotemporale all’Anticamera di Giudizio della Somma Corte. La sua presenza verrà sostituita con un similcadavere. Prima del trasferimento, ha diritto a una dichiarazione. Può parlare»

Hitler d’istinto ne approfittò per rispondere nel modo che aveva preparato per simili evenienze: «Contesto la legittimità del giudizio»

Lo strambo agente Colubr non parve impressionato. «Dichiarazione acquisita» disse «Pronti all’estrazione»

Hitler sprofondò di colpo nell’incoscienza, facendo tuttavia in tempo a pensare che quello, forse, era il suo estremo incubo di moribondo, dettato dall’angoscia dell’aldilà.

Invece si risvegliò.

La cosa non lo rallegrava, ed ancor meno il luogo dov’era finito.

Una stanza spoglia, con pareti grigie che non erano fatte di materia ma di una specie di campo di forza.

Come il sedile squadrato su cui sedeva.

L’unica nota di colore era la fascia rossa con la croce uncinata stretta alla manica della giubba beige. Aveva voluto compiere l’ultimo atto della sua vita in uniforme, come si conveniva a chi s’era sempre inchinato alla potenza della guerra.

Quanto alla situazione attuale, avrebbe sopportato, pur non desiderandolo, di sopravvivere alla morte, ma detestava esser giudicato.

Conosceva bene l’imputazione che tutti gli muovevano e, ci si poteva scommettere, avrebbero continuato a muovergli nei secoli dei secoli: aver perseguito lo sterminio di quanti si opponevano alla grandezza del popolo tedesco.

Beh, lui riconosceva agli altri popoli il diritto di affermarsi, ma proprio per questo pretendeva reciprocità: mors tua vita mea. Aver fallito nel suo disegno di dominio gli bruciava molto, però non aveva niente in contrario se i popoli che gli avevano impedito di portarlo a termine volessero schiacciare la razza ariana. Solo che non ne avevano la forza. La stirpe germanica, pur sconfitta, non gliel’ avrebbe permesso.

Davanti ai suoi occhi si manifestò il fenomeno che aveva preceduto la comparsa dell’agente Colubr. Questa volta però non fu la figura di quest’ultimo a materializzarsi, ma quella di un’altra persona.

Il nuovo arrivato portava una toga di foggia essenziale, con drappeggi appena accennati, e un tocco da magistrato privo di pennacchio. Grigi entrambi come la divisa di Colubr.

«Salve» disse, con una voce quasi indistinguibile da quella dell’agente «Sono Peor Norrix, Avvocato d’accusa.»

Adolf Hitler, cui aver rinviato la morte aveva fatto riacquistare l’arroganza consueta, lo apostrofò con un: «Si può sapere cos’è questa pagliacciata?»

«Certamente» rispose l’altro «La procedura prevede che lei sia informato.»

Indicò una delle pareti, su cui si tracciò il riquadro di un monitor, con l’immagine di una cupola opaca in mezzo ai ghiacci.

«Quella che vede è la sede della Somma Corte Terrestre. Oggi, 30 aprile 2113»

«Mi vuol far credere che sono passati 168 anni dall’aprile del 1945??»

«La procedura prevede un’informativa ma non facoltà di domanda per l’imputato.» precisò Norrix.

«Me ne fotto delle vostre proced… » Hitler si ritrovò con le corde vocali bloccate. La “Somma Corte Terrestre”, come la chiamavano, non tollerava l’indisciplina. Nonostante non fosse abituato ad esser messo a tacere, ed anzi lo considerasse un affronto, quella prova di forza gli piaceva: il potere doveva farsi rispettare, sempre.

«La Somma Corte Terrestre è l’ultima traccia di civiltà umana rimasta sul nostro pianeta. Ed è condannata a perire in un futuro molto vicino. Non prima di aver adempiuto alla sua missione: giudicare e condannare i responsabili della fine del genere umano»

Caspita!, pensò Hitler, ma che cosa è successo dopo la mia morte? Ho eliminato un bel po’ di esponenti delle razze inferiori, e mosso guerra alle marce democrazie europee, ma sono stato sconfitto e costretto al suicidio. Eppure questi fanatici giustizialisti attribuiscono a me la responsabilità di una catastrofe che si compirà più di centocinquant’anni dopo!

«La Somma Corte dispone di una tecnologia per l’esplorazione spaziotemporale. Può inviare emissari indietro nel tempo, ma senza interferire. Individuati i criminali, non può neutralizzarli, ma solo estrarli dal percorso spaziotemporale pochi istanti prima della loro morte, quando non potranno più alterare il corso degli eventi»

Una breve pausa, poi: «Gli imputati hanno diritto di difesa. Possono ricorrere ad un avvocato d’ufficio, o sostenerla da soli. Nei precedenti cinque giudizi, questa è stata la scelta »

Cinque giudizi …, pensò Hitler, …a quanto pare faccio parte di una élite…

«In caso di assoluzione, l’imputato verrà aggregato alla Somma Corte come giudice aggiunto. In caso di condanna c’è la pena di morte.»

Hitler era elettrizzato!

Forse era stato troppo pessimista. Non avrebbe dovuto rifiutarsi di fuggire, come molti gli avevano suggerito e come i posteri, c’era da giurarci, avrebbero continuato a sospettare avesse fatto veramente.

La guerra, naturalmente, era persa senza scampo e nel giro di pochi giorni, se non di poche ore, le truppe sovietiche sarebbero piombate nel bunker.

Ma con ogni evidenza i suoi ideali, malgrado la sconfitta, avevano fruttificato.

Il Terzo Reich era caduto, ma l’idea del nazionalsocialismo no. Aveva continuato a covare sotto la cenere, per riproporsi più avanti con forza rinnovata e miglior successo. Qualche altro leader tedesco era riuscito dove lui aveva fallito: asservire il mondo alla razza ariana, costruendo il Grande Reich.

Chissà cos’era successo …

Forse qualcosa era andato storto anche questa seconda volta. Ah, lo sapeva bene che i nemici della supremazia teutonica si annidavano in ogni angolo. Le false ideologie pacifiste ed egualitarie erano dure a morire.

Ci sarà stata qualche guerra terribile, con conseguenze catastrofiche: quella cupola sperduta in mezzo ai ghiacci ne era la prova.

Alla fine, come al solito, la responsabilità era ricaduta sulla legittima volontà di potenza della razza superiore, come se causa della rovina non fosse proprio non voler accettare la legge del più forte.

Ecco il significato dell’imputazione per … come aveva detto quel Colubr?, ah sì: “grave crimine transtemporale contro l’umanità”.

In quando padre e ideologo del nazismo gli addebitavano la catastrofe avvenuta.

Tra gli altri cinque imputati, c’era di sicuro il suo successore.

Come gli sarebbe piaciuto incontrarlo!

Ed anche gli altri!

Chissà chi erano … Gengis Kan? Attila? Saladino? Anche il suo avversario russo, Stalin, se ne aveva ben compreso la scorza, gli sembrava degno di stare in quella ristretta cerchia…

«Che cosa sceglie?» chiese Norrix.

«Non ho mai avuto bisogno di nessuno nei momenti che contano» proclamò il Fuhrer.

«Bene.» commentò Norrix, nel suo tono asettico «Adesso potrà visionare le immagini sul suo capo d’imputazione. La tecnologia della Somma Corte consente di riprodurre qualsiasi evento dello spaziotempo. Prima un chiarimento: la Somma Corte ha a lungo dibattuto se sottoporre a processo anche frau Eva Braun, decidendo alla fine di archiviare la sua posizione.»

Hitler sussultò di sorpresa.

Che c’entrava Eva?

Lei era stata solo la sua donna.

L’unica sua colpa era di averlo amato. Sinceramente, appassionatamente.

Quel tribunale denunciava sempre più una rigidezza ossessiva. Non avrebbero nemmeno dovuto porsi il problema di una complicità della sua compagna.

O forse lo sottovalutavano, pensando che potesse farsi manovrare da una donna.

Ma avrebbero dovuto saperlo che nessuno poteva comandare al Fuhrer perché il Fuhrer era l’incarnazione stessa del comando!

La responsabilità di ciò che il nazismo aveva fatto, che poi non era nemmeno una responsabilità ma semplice estrinsecazione della sua natura, ricadeva tutta su di lui.

Non aveva intenzione di condividerla con alcuno dei suoi gerarchi: non con Goebbels, non con Goering, tantomeno con Bormann.

«Se non ha obiezioni, procediamo.» sentenziò Norrix.

Hitler avrebbe voluto protestare per l’ingiustificato coinvolgimento di Eva, ma decise di lasciar perdere.

L’immagine della cupola scomparve dallo schermo.

Hitler sapeva da dove avrebbero cominciato: i lager polacchi.

La maledetta “questione ebraica”, l’aveva sempre saputo, gli sarebbe rimasta appiccicata.

Eppure lui non aveva fatto niente di così abominevole, come pure si cominciava a vociferare nell’ultima parte della guerra.

Era anche sicuro che la propaganda sionista dopo la sua caduta avrebbe ingigantito l’efferatezza della “soluzione finale”.

Ma non c’era stato alcun accanimento verso i giudei.

Il nazionalsocialismo voleva eliminarli tutti nel modo più indolore.

Non a caso aveva messo a capo della macchina organizzativa che doveva realizzare loro soppressione l’Obersturmbannführer Adolf Eichmann: un efficientissimo, puntiglioso esecutore.

Se qualcuno aveva sofferto, era stato per marginali disfunzioni di quella macchina.

I giudei dovevano essere asfissiati con lo “zyklon b”, cremati e dispersi in cielo.

Il tutto con appropriata gradualità.

Niente di più.

Chissà cosa gli sarebbe toccato di vedere.

Le urla dei piccoli giudei atterriti (sciocchezze, i bambini piangono sempre, sono un fastidio infinito, sopportabile solo perché in un futuro non lontano si trasformeranno in ariani adulti); i rantoli dei prigionieri gassati (figuriamoci: lo zyklon b agiva in fretta, e quando uno è morto non può ricordarsi dell’agonia); le lugubri cataste di cadaveri (santi numi, aveva scelto la cremazione di massa proprioper far sparire in fretta quegli sgradevoli spettacoli!); ecc ecc.

Chissà, magari a qualche addetto alla soluzione finale erano sfuggiti atti di crudeltà, stupidi prima ancora che inutili, e adesso glieli avrebbero addebitati per “responsabilità oggettiva”. La responsabilità oggettiva era barbara, ma lui nel nome dell’ideale della razza l’avrebbe accettata.

Sullo schermo comparve l’immagine inconfondibile di una camera operatoria.

Maledizione!

Josef Mengele!

L’aveva sempre pensato che quel medico avesse una vena di follia assassina!

Non avrebbe mai dovuto commettere l’errore di mandarlo a compiere i suoi esperimenti nei lager.

Gli ebrei, d’accordo, erano cavie sacrificabili, ma c’era un limite a tutto!

Lui, ad esempio, aveva sempre aborrito la vivisezione, specie sui cani (il ricordo della povera Blondi lo aggredì violento).

Mengele si era di certo macchiato di crudeltà inaccettabili.

Si diceva che avesse una passione per la chirurgia su pazienti svegli. Li aveva sempre ritenuti pettegolezzi calunniosi, ma evidentemente…

Quando lui aveva dovuto uccidere la sua adorata cagna, l’aveva risparmiandole ogni sofferenza…

L’inquadratura si restrinse al tavolo operatorio.

Alla luce livida del proiettore, sotto un lenzuolo stava distesa una donna, con gli occhi aperti, molto tristi. Aveva inserito in un avambraccio l’ago di una fleboclisi. Con l’altra mano stringeva quella di un uomo.

Hitler rimase di pietra.

Quei due erano lui ed Eva.

Infatti l’inquadratura si aprì, rivelando la sua inconfondibile presenza a fianco del tavolo operatorio: in uniforme, più giovane di qualche anno, l’espressione severa.

«Riconosce questa circostanza?» disse Norrix.

Hitler la riconosceva. E il fatto che quel Tribunale del futuro volesse imputargliela dimostrava che i loro pronipoti, sconvolti per aver distrutto il pianeta, avevano perduto il senso delle proporzioni.

Eccome se ricordava! Era stato uno dei momenti più penosi della sua vita, e della sua relazione con Eva.

La sua donna era rimasta incinta. Pur sapendo che lui era contrario ad avere figli, dopo averglielo nascosto per qualche tempo, l’aveva affrontato proponendogli di tenere il bambino.

Era andato prima su tutte le furie, poi si era intenerito per la sincerità dell’aspirazione di Eva.

Ma era stato irremovibile: il Fuhrer del Grande Reich poteva avere successori (sperando che fossero degni di lui …) ma non eredi.

Doveva rimanere unico. Era, unico.

Quanto l’aveva pregato, Eva, di liberarsi dall’ossessione della propria unicità!

Non doveva temere che un figlio non fosse all’altezza, gli aveva detto. Pensava che dentro di sé lui covasse il complesso della propria inferiorità fisica, e non tollerasse di vederla rispecchiata in un figlio.

Ma non era così: lui era nato per fare grande la Germania e questa passione, questa missioneera incompatibile con la paternità.

Così Eva, pur con la morte nel cuore, aveva acconsentito ad abortire. E lui aveva deciso di stare al suo fianco mentre si sottoponeva a questo sacrificio necessario, di cui le era grato.

In verità, lo riteneva la più grande prova d’amore che lei gli avesse offerto.

E adesso i giudici supremi, autoarrogatisi tali, di quella Corte morente di un mondo in agonia, invece di occuparsi di crimini davvero rimarchevoli dal loro punto di vista “umanitario”, si accanivano contro un misero aborto, addirittura ponendosi il problema se condannare la donna che vi era ricorsa solo per dedizione al suo uomo!

«Il silenzio verrà considerato risposta positiva.» lo sollecitò Norrix.

«Mi fate pena.» disse Hitler «Siete così miseri che meritate l’estinzione.»

«Si attenga ai fatti. Ammette o no di aver procurato la morte di Herbert Hitler?»

«Cosa??» Hitler era più stizzito che sorpreso.

« Herbert Guntmar Hitler, nella linea temporale alternativa in cui frau Braun non ne interrompe la gravidanza, nasce nello chalet “Berghof”, a Bertasgaden, il 25 agosto 1940. La sua esistenza rimane nascosta fino alla caduta del nazismo, nel maggio del 1945.  Sono i comandanti dell’Armata Rossa a scoprire, tra le carte del bunker, che il bambino è stato messo in salvo negli Stati Uniti, dove vive in un esclusivo collegio di Philadelphia. Il governo di Washington si dichiara disponibile a fornirgli asilo e lì rimane fino alla maggiore età, nonostante lo scalpore e le polemiche che la notizia suscita.»

«Non ho intenzione di ascoltare questo ridicolo cumulo di invenzioni!»

«Invece dovrà ascoltarle. Potrà anche vederle, se vuole. La tecnologia della Somma Corte consente di riprodurre le linee temporali alternative. Questa è una delle sei che conducono a un futuro senza morte della terra.»

«E’ una follia!» strillò Hitler.

«Lo è quando accaduto in seguito alla non nascitadi suo figlio, invece … Ma ascolti: Herbert avrebbe avuto straordinarie qualità, da lei avrebbe ereditato un trascinante carisma naturale, dalla madre il carattere dolce ed aperto. Sarebbe stato alto, robusto, con gli occhi azzurri. Portato per gli studi, si sarebbe iscritto al corso di economia all’Università della Pennsylvania, laurendosi a pieni voti nel 1969. Malgrado nella Germania Federale non sarebbero mancati tentativi di coinvolgerlo in una rinascita del nazionalsocialismo, non ci sarà mai persona più avversa di lui alle ideologie totalitarie e razziste. Le riassumo le tappe della sua carriera. Nel 1973 sarebbe rientrato in patria, per fondare il Partito della Pacificazione, che due anni dopo avrebbe ottenuto uno straordinario successo alle elezioni per il Bundestag. Nel 1980 il Partito della Pacificazione avrebbe conquistato la maggioranza dei seggi nel parlamento, con un programma rivoluzionario, il “capital-altruismo”, o “capitaluismo” che prevede il coinvolgimento attivo dei cittadini in una crescita industriale a misura d’uomo, bilanciando gli squilibri sociali attraverso forme di solidarietà spontaneamente finanziate e gratuitamente gestite dai privati. Herbert sarebbe stato nominato cancelliere, portando al successo nell’arco della legislatura il “capitaluismo”, che si sarebbe diffuso in tutta Europa, e poi in tutto il mondo …. Avrebbe avuto un figlio degenere, Fuhrer… » commentò sarcastico Norrix, venendo per una volta meno al suo tono ufficiale.

Hitler fece una smorfia di disgusto.

 


Lascia un commento