"La storia dei Macelli di Soziglia" di Maria Teresa Valle


 

Tutti si guardano perplessi. Frasi sussurrate cominciano a circolare tra la folla, rimanendo a mezz’aria
-È in ritardo. Dovrebbe già essere qui…
-Come al solito…
-Ma quant’è che aspettiamo?
-Mi sto cominciando a preoccupare. Siamo sicuri che passerà di qui?
-Ho sentito dire che passava dai Macelli di Soziglia.
-Nei vicoli ci deve passare per forza. Arriva da lontano e la devono portare al Palazzetto Criminale per farle il processo. Il Grande Inquisitore e il Giudice dei Malefici la stanno aspettando. State tranquilli, si tratta solo di avere la pazienza di aspettare.
-Io non me ne vado di certo. Per niente al mondo rinuncerei a vederla.
-Anch’io..
A un tratto la folla si anima. Qualcuno grida:
-Eccola!
Un manipolo di soldati si avvicina. Appaiono stanchi e svogliati. Sono cinque o sei e arrivano a piedi. Non è possibile attraversare il cuore della città con un carro. I vicoli sono troppo stretti. Sul selciato di pietra rimbomba, nel silenzio sospeso che percorre la folla, il suono cadenzato dei calzari di cuoio.
In mezzo alla soldataglia procede, scalza, una donna.
Ha i polsi legati con una corda. La veste misera è sporca, ma dal corsetto stretto in vita sboccia un seno florido sormontato da spalle dolcemente rotonde e da un lungo collo sottile. Ha i capelli lunghi e spettinati che incorniciano un volto da madonna, in cui occhi ardenti come braci lanciano sguardi di sfida alla folla. Il piccolo naso mostra le narici frementi di rabbia, come le froge di un purosangue prigioniero. La bocca ha un labbro spaccato. Il pugno del soldato è arrivato come una mazzata, per scoraggiare ogni suo tentativo di fuga. Ora le labbra tumefatte sono leggermente aperte a mostrare le perle bianchissime dei denti da lupa.
La folla che si accalca nel vicolo si apre per lasciar passare il manipolo di guardie. Si fa da parte quasi avesse paura di essere toccata, come davanti a lebbrosi repellenti o ad appestati.
-Ecco la strega!
-La bagiùa!
-Che tu sia dannata!
-Ora assaggerai le fiamme! Quelle che ti bruceranno in eterno all’inferno!
-Bruciatela!
-Al rogo!
-Hai finito di ballare col diavolo, puttana!
– Cesserai prosciugare i pozzi, bagascia, e di far seccare i raccolti!
– Non farai più sparire il latte dalle mammelle delle madri!
La folla eccitata grida. Non capita spesso di poter godere di uno spettacolo simile. Non ricordano di avere mai visto in vita loro una strega. Sollevano i bambini sopra le teste della gente perché vedano bene come è fatta una bagiùa. I soldati faticano a tenere a bada la calca, che ha preso coraggio esaltata dalle sue stesse grida, e si fa avanti a spintoni. Donne affacciate alle finestre lanciano insulti e sputi sulla giovane. Anche gli uomini inveiscono contro di lei, ma con minore convinzione, poiché subiscono, senza rendersene conto, il suo fascino..
Tra la folla solo un giovane resta immobile e attonito. È un piccolo delinquente abile nei borseggi. Conosce bene il destino che aspetta la poveretta. Subirà un processo segnato dalle torture, a cui, se sopravviverà, seguirà l’inevitabile condanna. Guarda la donna avanzare a fatica, anche se con passo fermo. Da uno strappo della lunga gonna si intravede a tratti una gamba ben tornita.
Come un lampo gli occhi della donna lo fissano. Sembrano quasi lanciargli un appello muto.
È un attimo.
Il giovane prende la sua decisione. La mano corre al pugnale che porta alla cintura. Lo estrae dal fodero e si lancia in mezzo ai soldati. Mena colpi a destra e a manca, alla cieca e, la soldataglia, colta di sorpresa, non reagisce con la dovuta prontezza.
Il giovane afferra la donna e la spinge a forza in un vicolo laterale. Da qui in un altro e un altro ancora. Soldati e folla restano sbigottiti quel tanto che basta ai due per dileguarsi e far perdere le loro tracce. Il giovane, che conosce bene i vicoli della sua città, raggiunge un uscio che conduce a una scala che scende ripida nel sottosuolo.
Eccoli in un reticolo di gallerie che corrono sotto le case, sotto le strade. In un lampo raggiungono un rifugio sicuro.
Quando i soldati si mettono alla loro ricerca sono già scomparsi. A nulla varranno le perquisizioni alle case vicine. Di loro non c’è alcuna traccia.

Quando arriva la notizia della fuga il Giudice dei Malefìci e il Grande Inquisitore della Curia di Genova stanno amabilmente conversando, seduti su comodi scranni, nella sala dell’examinatorium, in attesa di interrogare la strega alla presenza dello scrivano incaricato di redigere il verbale, del medico e degli addetti ai macchinari per l’applicazione dei tormenti. Inutile descrivere il disappunto di tutti.

Il Comandante delle Guardie si appresta ad appartarsi con una giovane prostituta, quando viene raggiunto dal manipolo dei soldati che gli annunciano quanto è successso ai Macelli di Soziglia. L’amoroso appuntamento viene immediatamente sospeso. L’unica soddisfatta è la prostituta che evita una prestazione assolutamente gratuita.

Il vecchio Doge, avvisato dell’accaduto, lisciandosi la barba che si è lasciato crescere nella speranza che gli dia un’aspetto più autorevole, pensa che bisognerà provvedere quanto prima a fornire alla folla una bella esecuzione capitale sulla pubblica piazza o la fiducia dei cittadini nell’autorità sarà messa a dura prova dal “caso del Macelli di Soziglia”.

La folla, dopo aver rumoreggiato a lungo, si rassegna ad abbandonare la piazza e a tornare a casa senza la soddisfazione di sapere che presto ci sarà un bel rogo da vedere.

Alcuni anni dopo una donna sta mettendo a letto i suoi tre bambini. Una vocina supplica:
-Mamma, ci racconti ancora la storia dei Macelli di Soziglia?


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