"347" di Fabio Mundadori


 

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“Questa è la segreteria telefonica del cellulare di Dorian Dum. Se ascoltate questo messaggio sono già morto.

Quando ero ancora in vita ho sottoscritto un contratto con il gestore telefonico affinché mantenesse attivo questo numero fino a sei mesi dopo l’ultima telefonata ricevuta.
Se ascoltate questo messaggio è molto probabile che io sia stato ucciso.
Prima della mia scomparsa ho lasciato istruzioni affinché il gestore disattivasse il numero solo qualora fosse stata accertata la mia morte per cause naturali, in caso di conclamato incidente di qualunque genere, o dopo la condanna di un colpevole in caso di morte violenta.
Se ascoltate questo messaggio sono semplicemente morto o, cosa improbabile, scomparso.
Nessuno, a parte il gestore, conosce l’esistenza di questo numero, se lo avete composto lo avete letto per caso su qualche parete, o in un messaggio di SPAM nella posta elettronica o ancora su qualche pezzo di carta scarabocchiato e messo dentro una bottiglia.
Perché questo è un messaggio nella bottiglia: un messaggio di richiesta di aiuto.
Se sono vivo trovatemi, se sono morto trovate chi mi ha ucciso e consegnatelo alle forze dell’ordine.
Potrebbe esservi utile ascoltare i messaggi lasciati da chi ha chiamato prima di voi.
A vostra volta potrete decidere in qualunque momento di richiamare e lasciare un messaggio, oppure diffondere il più possibile questo numero di telefono.
E ricordate: più telefonate verranno ricevute e per più tempo questo numero resterà attivo, maggiori saranno le possibilità di arrestare i colpevoli della mia morte o, cosa improbabile, di ritrovarmi vivo.
Al termine del messaggio vi verranno date delle opzioni guida: ascoltatele e decidete che cosa fare.
Qualunque sia la vostra scelta grazie e buona fortuna.”

Voce impersonale femminile:
– Per riascoltare il messaggio premete il tasto uno.
– Per ascoltare i messaggi lasciati da altri utenti a partire dall’ultimo premete il tasto due.
– Per ascoltare i messaggi lasciati da altri utenti a partire dal primo premete il tasto tre.
– Per lasciare un vostro messaggio premette il tasto quattro.
– Per tornare al menu principale premete il tasto cancelletto.
– Per terminare la telefonata si prega di riagganciare.
– Grazie per aver chiamato.

Diana premette di nuovo il tasto uno: benché fosse la terza volta che riascoltava il messaggio non riusciva a scrollarsi di dosso lo sconcerto che si era impossessato di lei.
Alcuni giorni prima, aveva trovato quel numero su di una parete del bagno della discoteca che frequentava abitualmente, appena sotto la sequenza di cifre una breve frase: “…is God-like”, “è come un dio”. Senza dubbio un’esagerazione.
Che andava verificata.

– Ma davvero vuoi chiamare quel numero?
Le aveva quasi gridato con voce strozzata Marica quando comunicò le proprie intenzioni alle amiche.
– Perché no? – l’aveva sostenuta invece Simona con un sorrisetto – io non troverei mai il coraggio, ma se Diana è curiosa di provare questo “dio”.
– Di curioso c’è quello che si ritroverà per le mani. – sottolineò con tono malizioso Miriam – Non credo che un uomo si arrischierebbe a entrare nel bagno delle donne per una bravata simile: i buttafuori da queste parti picchiano duro!
– Forse il messaggio è stato scritto da una donna e riguarda un uomo: una sorta di “consiglio” – ipotizzò divertita Miriam.
– Quindi, c’è il rischio che a risponderle sia una donna – precisò Marica.
– Chi ha scritto quella frase è un uomo. – tagliò corto Diana.
– Scommetto con voi che la sera stessa del giorno in cui lo chiamerò, me lo porterò a letto.
Dio o non dio.
Considerate le circostanze, una scommessa non troppo difficile da vincere, ma soprattutto era ben consapevole del proprio fascino: le ore spese in palestra e in piscina a modellare il proprio corpo, avevano dato risultati di notevole effetto sugli appartenenti dell’altro sesso.
E non solo.
Certo, quando quella sera aveva lanciato la sfida, tutto si sarebbe aspettata tranne ciò che stava ascoltando in quel momento dall’auricolare del suo cellulare.
Ma era una… scommessa.
E… scommesse, sempre scommesse. Lei adorava le scommesse.
Premette il tasto tre.

Voce impersonale femminile:
– Messaggio ricevuto il trentuno dicembre millenovecentonovantanove alle ore ventitré e cinquantanove minuti.
Rumore di gente in sottofondo. Molta, tanta gente.
Coro di voci di ragazzi:
– …tre, due, uno yeeeeeeeeee buon annoooo
Voce di ragazza:
– … yeeeeee benvenuto nel nuovo millennio!!!
voce di ragazzo impastata:
– … che cazzo dici il nuovo millennio comincia il prossimo capodanno. L’ho letto anche su Focus.
altra voce di ragazzo alticcio:
– Oh oh e da quando leggi Focus? Anzi da quando leggi? Uahahahha, ma poi che parli? Magari questo è schiattato.
Il ragazzo di prima, voce impastata:
– Hei, tu…fottiti! – poi rivolto al telefono – ..ah…uhm… mi spiace se sei schiattato qua se sta una favola.. cioè troppo fico!
Voce della ragazza.
– Eddai un po’ di rispetto per i morti. Vabbè buon anno!!! – Lontano in sottofondo, voce impastata:
– Ma ha detto che forse non è…
Click!
Voce impersonale femminile:
– Per riascoltare il messaggio premete il tasto cinque.
– Per ascoltare il messaggio successivo premete il tasto sei.
– La cancellazione del messaggio è disabilitata.
– Per tornare al menu principale premete il tasto cancelletto.

Aveva trovato il messaggio il 16 gennaio 2007, Incredibile. Il numero era stato scritto sulla parete del bagno della discoteca poco più di sette anni prima, senza che lei lo avesse mai notato. Non si metteva a leggere tutto quello che la gente scriveva sui muri, tantomeno pretendeva di ricordarsi eventuali numeri sparsi tra quelle parole che spesso corrispondevano a oscenità.
Tuttavia quel numero, così come aveva attratto la sua attenzione la sera della scommessa, avrebbe dovuto incuriosirla altrettanto se lo avesse visto in precedenza.
Sì, dopotutto era abbastanza sicura che il periodo in cui lo aveva notato e quello in cui era stato scritto coincidessero esattamente.
Così però non tornavano i sette anni, ma certo! La voce della segreteria diceva verso la fine “….potrete decidere in qualunque momento di richiamare e lasciare un messaggio, oppure diffondere il più possibile questo numero di telefono”.
Diffondere il più possibile, ecco la chiave: qualcuno aveva seguito delle tracce fino ad arenarsi o forse si era stancato e, qualche giorno prima che lei lo leggesse, aveva scritto il numero sul muro del bagno affinché qualcuno potesse proseguire.
Seguendo quella logica, la stessa persona che aveva scritto il numero nel bagno della discoteca avrebbe potuto lasciare un messaggio nella segreteria.
Sarebbe bastato ascoltarli tutti e…
Accidenti, setteannidimessaggi! Le sarebbe costato un capitale!
Avrebbe però potuto cominciare dall’ultimo e andare a ritroso, fino alla data in cui si era recata in quella discoteca per l’ultima volta e scorrere i messaggi avanti e indietro nel tempo, fino a trovare indicazioni interessanti.
Come le proprie amiche si trovò a dibattersi tra istinto e logica: che voce doveva cercare? Di uomo o di donna?
Seguendo lo stesso istinto che l’aveva spinta a scommettere avrebbe dovuto essere uomo, optando invece per la logica del bagno femminile, donna.
Si rese conto che, senza nemmeno accorgersene, quell’enigma l’aveva avvinghiata in spire dalle quali non si sarebbe più liberata fino a quando non l’avesse risolto.
Le restava ancora qualche ora prima della cena programmata con le ragazze. Poteva ascoltare ancora qualche messaggio.

La serata andò via liscia e si divertì discretamente, chiacchierò con le sue amiche. Tra un tagliolino gamberetti e zucchine e una trota alle mandorle, sedusse un paio di avventori del locale, facendo innervosire altrettante mogli/fidanzate/amanti.
Appena sotto un velo di consapevolezza, nella sua mente nuove considerazioni si susseguivano riguardo i messaggi ascoltati prima di arrivare al ristorante.
Tra la moltitudine di commenti lasciati da chi pensava si trattasse di uno scherzo, ne erano disseminati altri di vario genere, incluso quello di una donna che confessava di eccitarsi ascoltando la voce maschile del messaggio iniziale.
I più interessanti erano quelli lasciati da coloro che avevano preso seriamente la faccenda, tutti con la strana caratteristica di essere univoci.
Era raro che una persona lasciasse più di un messaggio, quasi mai più di due e solo in tre messaggi, pensava di aver riconosciuto una voce femminile comune.
Un’altra cosa l’aveva colpita: i messaggi lasciati da persone diverse apparivano del tutto slegati tra loro, come se le tracce di Dorian Dum cambiassero connotazione a seconda di chi lo cercasse.
Spesso aveva avuto come l’impressione che la ricerca ogni volta ripartisse da zero.
Certo, poteva essere che alcuni fossero fuori strada, ma si sentiva come una bambina alla quale avessero dato le tessere rimescolate di un numero imprecisato di puzzle, che lei avrebbe dovuto ricomporre e…
– Diana… pronto? Ehi ci sei? Sto parlando con te!
– Scusa, Miriam, ero sovrappensiero – si era lasciata prendere troppo dalle elucubrazioni.
– No dico, Passito di Pantelleria o Recioto con il dolce?
Il cameriere si allontanò con l’ordinazione
– Cosa ti assorbiva così a fondo?
– Starà pensando all’uomo della scommessa.–Non escludo che questa losca seduttrice abbia già pronto un piano. – chiosò Simona. Tutte, inclusa Diana confluirono in una sonora risata.
– E per il dopo cena? Discoteca? – chiese Marica, la quarta del gruppo.
– Discoteca! – approvò Diana – Discoteca.

“Discoteca Nuova Baia degli angeli”, recitava l’insegna. Nome mutuato da una famosa discoteca degli anni ’80 e dove si ballava musica , ovviamente anni ’80.
“Ballet dancer” dei Twins era nel culmine quando Diana e le sue amiche misero piede nel locale. Trovarono la pista piena, ma fecero un giro tanto per scaldarsi.
Al termine del brano Diana lasciò il gruppo e si recò al bagno; era decisa a cancellare quel numero: se doveva risolvere l’enigma voleva la certezza che avrebbe avuto campo libero da interferenze. Entrò nella toilette prese un fazzolettino inumidito e cancellò il numero dalla parete, senza pensarci troppo.
– Dorian Dum… sei mio!

Rincasò piacevolmente stanca, ma non aveva alcuna intenzione di mettersi a letto.
Richiamò invece il numero riprendendo l’ascolto dei messaggi dalla serie di tre che l’aveva colpita di più, una delle ultime in ordine di tempo: si era convinta, considerata anche l’apparente mancanza di legame con quelle più datate, che non aveva senso partire da troppo indietro, avrebbe quindi tenuto conto solo delle tracce più recenti.
Compose la sequenza di cifre sulla tastiera e riascoltò il messaggio iniziale.
Premette il tasto due poi andò a ritroso fino a…

Voce impersonale femminile:
– Messaggio ricevuto il giorno otto maggio duemilaesei alle ore undici e trentaquattro minuti.
Silenzio di sottofondo.
Voce infervorata:
– Diciamo basta all’invadenza delle compagnie telefoniche che con questo ennesimo trucco attingono ai risparmi dei consumatori, che… –
Messaggio successivo!
Voce impersonale femminile
– Messaggio ricevuto il giorno otto maggio duemilaesei alle ore quattordici e ventidue minuti.
Rumori di fondo in campo aperto, forse una strada, forse un mercato
Voce di donna, adulta: era quello giusto!
– Dorian, se sei ancora vivo ti sto cercando, ho cominciato oggi a seguire le tue tracce dopo aver trovato il numero su di un annuncio di ricerca personale sul Resto del Carlino. L’inserzionista ha chiesto di rimanere anonimo. Ho appena iniziato, ma sono già a un punto morto. Tieni duro!
Click!

Cercò il successivo, seguendo le date che si era appuntata.

Voce impersonale femminile:
– Messaggio ricevuto il giorno quindici agosto duemilaesei alle ore venti e quarantasette minuti.
Stessa voce di donna, segnale molto disturbato:
– Dopo a..r ascoltato i messaggi d.. chi mi ha prec..duta sono arrivata qua, sul delta del Po a Fe…ara. Pare che tu o il tuo corpo siate nas…ti in un luogo ri..o di canali di acqua. Qua le tue tracce si pe..ono, ora dovrò usare solo l’..tuito. –

Terzo messaggio, il più interessante ma anche il più enigmatico dei tre.
Voce impersonale femminile:
– Messaggio ricevuto il giorno diciotto gennaio duemilaesette alle ore zero e tredici minuti
Voce di donna:
– Ti ho trovato Dorian! Sto per venire a prenderti, so che ormai ti resta poco. Ho girato tutto il delta per trovarti ma ti avevo sotto i piedi. Dovevo saperlo che,…..a era, .iena di ca..li.
Cade la comunicazione.
Quest’ultimo messaggio risaliva a pochi giorni dopo il ritrovamento del numero da parte sua. Seguivano poi messaggi di altre persone.
Questo significava solo una cosa, anzi due: nessuno aveva ritrovato Dorian Dum vivo, o il numero sarebbe stato disattivato, ma nemmeno morto in quel caso i notiziari lo avrebbero riferito.
Quindi?
Ormai non aveva più dubbi: toccava a lei.
Passò la notte in elucubrazioni, vagliando tutte le possibili cause di scomparsa, di sequestro, delitto, ma si trovava sempre a un punto morto.
Decise a quel punto di ascoltare anche i messaggi in apparenza slegati tra di loro.
Alla fine di un’estenuante e costosa ora abbondante di ascolto, scoprì che i suoi predecessori avevano vagliato e inseguito in giro per l’Italia le ipotesi più improbabili: mafia, massoneria, sette, servizi segreti, senza mai approdare a niente.
Dorian Dum era sparito nel nulla. Oltre alla donna dei tre messaggi solo altri due sostenevano di essere giunti a un passo da Dorian e, fatto curioso, entrambi a notte fonda.
Per il resto non aveva altri elementi. Uno dei “cacciatori”, come aveva cominciato a chiamarli, aveva ritrovato il numero annotato dietro la fotocopia di una pagina di un codice medioevale, il quale raccontava della sconfitta di alcune barche della Serenissima repubblica di Venezia, in una battaglia nei pressi del delta del Po.
Molti presero questo fatto come indizio, alcuni cacciatori si spostarono sulla costa dalmata in cerca di tracce che non furono evidentemente trovate, molti si arrendevano dopo aver scartato la pista di Venezia.
Arrivata a un certo punto si chiese se davvero poteva risolvere a tavolino, in una sola notte, qualcosa che altri non avevano saputo fare spostandosi da una parte all’altra dell’Adriatico e del nord Italia.

Passò al setaccio internet alla ricerca di nuovi probabili indizi partendo dai pochi che aveva.
Il Resto del Carlino, un luogo ricco di canali d’acqua e una città che aveva sconfitto Venezia in una battaglia sul mare. L’unico di questi che era chiaro e lampante era il primo: il quotidiano di Bologna. Per il resto notte fonda.
Non restava molto da fare.
Scrisse una mail in ufficio avvisando che sarebbe mancata un paio di giorni. Preparò una borsa con lo stretto necessario, prenotò un posto sul primo treno Eurostar per Bologna, chiuse il portatile e andò a dormire per le ultime ore che aveva a disposizione.
L’indomani giunta a Bologna si sistemò in albergo e cominciò a cercare indicazioni sui restanti indizi.
In realtà nella prima mattinata fece un po’ la turista girando per il centro della città, lasciandosi affascinare dalle vetrine dei negozi e percorrendo le intricate vie rosso mattone. Arrivando in treno, aveva visto la periferia di una città moderna, ma lì nel centro, se si escludevano le merci esposte nelle vetrine e gli inevitabili segni del progresso, il tempo pareva essersi fermato.
Palazzi medioevali e rinascimentali ospitavano quasi noncuranti le attività commerciali dell’era moderna, sui muri di alcune vie si alternavano numerosissimi anelli di ferro battuto, di quelli utilizzati per assicurarvi i cavalli.
Mentre considerava questa ipotesi si sorprese a stringere tra le mani uno di quei pezzi di metallo, come se il solo toccarlo potesse in qualche modo comunicarle la sua antica funzione.
Una voce la distolse.
– Lo so cosa sta pensando!
Si voltò nella direzione della voce e trovò il viso simpatico di un anziano che la guardava ammiccante.
– Prego?
– Sì, sì, tutti lo pensano quando vedono quegli anelli – continuò il vecchio.
– Ovvero, cosa intende?
– Signorina, mi stupirei se lei non stesse pensando che a quegli anelli, in passato vi legassero i cavalli.
– Mi pare logico pensarlo, considerata l’altezza da terra e visto che siamo nel cuore commerciale medioevale della città. Non vedo quale altro…
Il vecchio la interruppe con una risata bonaria.
– Sì, sì, certo! Successivamente furono usati anche per i cavalli.
Diana non capiva.
– Successivamente a cosa?
– A quando, signorina. Successivamente a quando è la domanda giusta.
– Ebbene, – incalzò Diana sul punto di spazientirsi – successivamente a quando?
– A quando i canali che attraversavano la città furono coperti. Prima che avvenisse, a quegli anelli venivano ormeggiate le barche.
Diana si sentì quasi mancare.
– Mi faccia capire: qua, nel pieno centro di Bologna, scorrevano dei canali?
– Certo! Servivano a portare l’acqua ai mulini che azionavano i telai idraulici per i filatoi della seta, numerosissimi in quell’epoca. Arrivarono a formare una fitta rete che estendendosi fino al delta del Po, veniva utilizzata anche per il trasporto delle merci.
Un po’come a Venezia – disse il vecchio, ridendo della propria battuta.
Agli occhi di Diana si aprì un mondo.
Il pomeriggio lo trascorse in biblioteca tra antichi codici medioevali. Consultarli le costò la promessa di una cena al giovane bibliotecario, ma ne valse la pena.
Prima notizia. Nel 1271 le navi bolognesi sconfissero Venezia in una battaglia navale divenuta famosa, nelle acque del Po di Primaro. Tutto tornava, ormai era chiaro: Dorian Dum, vivo o morto che fosse, si trovava lì a Bologna. Ma dove restava ancora un mistero.
Scoprì che anche la fontana del Nettuno riceveva acqua da un antico canale che proveniva dalla fonte Remonda sulle colline intorno alla città.
Chiese lumi al bibliotecario, il quale non si fece pregare troppo.
– La fonte Remonda si trova in uno splendido giardino lungo la strada che porta al convento di San Michele in Bosco – spiegò.
– Durante la seconda guerra mondiale…
Per la seconda volta nello stesso giorno Diana sentì le gambe venirle meno per l’eccitazione.
– …non, non era una sparata.
– Eh? – disse il bibliotecario.
Lo ignorò.
– … accanto al numero: is God-like…
– Is god-like? Non è inglese perfetto, ma secondo un gergo informatico suona più o meno così :è come un dio ma che…?
– No! No! – gridò Diana attirando gli sguardi seccati degli astanti assorti chi nello studio, chi nella lettura.
Quasi sottovoce disse:
– La G è maiuscola!!!
– …e quindi?
Diana si catapultò al primo computer collegato a internet e cercò.
– Lo sapevo! Mi ricordavo bene!!!
Il bibliotecario si avvicinò allo schermo piatto e lesse.
– Il nome Michele deriva dall’espressione Mi- ka- El che significa chi è come Dio.
Diana sottolineò.
– Non “è come un dio” ma “è come Dio”, la G è maiuscola: Michele.
Ora sapeva dove cercare. Inizialmente pensò di partire dal convento ridiscendendo il percorso del fiume che si inabissava sotto la città – l’ultimo messaggio dei tre della donna diceva “…ti avevo sotto i piedi” – ma questo avrebbe significato proseguire le ricerche il giorno successivo.
– Pazienza – si disse. Un giorno in più o in meno non avrebbe cambiato granché. Tuttavia un’altra mezz’ora di ricerche cambiò ancora i suoi piani.
C’era un accesso al torrente sotterraneo, raggiungibile in modo abbastanza semplice e soprattutto non troppo lontano dal centro cittadino.

Il tassista chiese a Diana più volte se era davvero lì che volesse essere lasciata a quell’ora di notte. Diana altrettante volte rispose che era proprio quello il posto. Il tassista borbottò qualcosa circa le donne, i ferri da calza e altre cose sul mestiere più antico del mondo. Prese i soldi della corsa e se ne andò.
Mentre si avvicinava all’accesso del torrente ripercorse con la mente gli avvenimenti degli ultimi giorni. Lei da sola, con le sole proprie forze e intelligenza, stava per arrivare alla soluzione di un enigma durato più di sette anni. Quasi non riusciva a crederci. Accese la potente torcia che aveva portato con sé per illuminare il percorso.
Una targa su di un muro indicava “via Bagni di Mario”. Si immise nella viuzza e dopo pochi metri trovò un cancelletto dalla vernice scrostata, che le sbarrava il passaggio. Il lucchetto era nuovo ma la catena che bloccava il cancello era semi-polverizzata dalla ruggine. Forzarne un anello non risultò essere un problema nemmeno per lei.
Il passaggio oltre il cancello immetteva in una stretta scala che si incuneava nelle viscere della città.
Era scesa di alcuni metri quando, quasi all’improvviso, la torcia illuminò l’interno di una spettacolare sala ottagonale con tanto di affreschi e bassorilievi corrosi dall’umidità. Su uno dei lati una nicchia a forma di conchiglia era sovrastata da due leoni e uno stemma.
Aveva letto dell’esistenza di quella sala nelle sue ricerche su internet, ma trovarcisi dentro suscitava in lei un fascino indescrivibile. Era come un salto indietro nel tempo.
Mentre col fascio di luce scorreva le pareti che la circondavano, si rese conto che si trovava in una situazione del tutto nuova per lei. Il cuore le batteva all’impazzata, sospinto dall’adrenalina che scorreva a fiumi, per un attimo le venne da chiedersi come avrebbe potuto ritornare al suo lavoro di scartoffie in ufficio.
Diede uno sguardo più approfondito al luogo nel quale si trovava: immaginando una linea che dividesse a metà il poligono che costituiva la sala, da un lato si trovavano quattro condotti disposti a semi-raggiera, dal lato opposto invece partiva una galleria stretta e lunga: quella che, stando a quanto aveva letto, attraversava il centro storico terminando sotto la statua del Nettuno.
Decise che da qualche parte doveva pur iniziare e si diresse verso la fontana del dio dei mari.
Pochi metri, poi pochi istanti e il mondo attorno a lei impazzì. Il ruggito dell’acqua la prese alle spalle risucchiandola indietro verso la sala, una mano invisibile la spingeva verso il basso, l’acqua le riempiva gola, naso, polmoni, orecchie, tutto. Il fisico allenato per ore in piscina, gli permise di prendere ancora un’ultima boccata di ossigeno e contrastare il vortice che si era impossessato del suo corpo, ma in breve la mano invisibile di quel gigante d’acqua la spinse di nuovo sotto.
Un colpo sordo alla nuca.
Nero.

Freddo.
Sentiva freddo.
Buon segno, era viva.
A parte l’incredibile mal di testa non sembrava avere nulla di rotto. Attorno tutto sembrava di nuovo tranquillo. La sala ottagonale era sparita, chissà quante centinaia di metri aveva percorso trascinata dalla furia dell’acqua. La torcia penzolava inservibile dal polso al quale l’aveva assicurata. La gettò lontano con un gesto di stizza.
Stupida! Stupida! Era stata davvero incosciente, buttarsi così, senza sapere dove stesse andando, senza avvisare nessuno. Sospirò, piangersi addosso le sarebbe stato di ben poco aiuto.
Doveva invece muoversi, andarsene di lì, ma dove?
Non sapeva dove si trovasse. Tantomeno sapeva che cosa fosse successo. Forse qualche chiusa aperta dalla manutenzione per pulire le condutture sfruttando la pressione dell’acqua o forse…!
Congetture forse, ma le impedivano di farsi prendere dal panico.
Cominciò ad avanzare in una direzione a caso: da qualche parte sarebbe arrivata. Camminò per diverso tempo nel buio più assoluto, accompagnata di quando in quando dagli abitanti di quei luoghi, presenti sotto forma di zampette che sentiva camminare sulle mani e sulla testa o di ali membranose che le sfioravano il viso e tutt’intorno ancora, gemiti, strepiti e altri rumori poco tranquillizzanti.
Erano passate parecchie ore dalla sua discesa in quell’inferno, quando all’improvviso un bagliore, che ricordava quello di un monitor acceso, comparì in fondo al tunnel. Diana si mise a correre, scivolò, cadde faccia a terra in mezzo alla fanghiglia.
No maledizione! Non doveva piangere!
Si rialzò e riprese la corsa, il bagliore si avvicinava.
Cosa avrebbe potuto essere? Un posto di controllo? Che altro? Pochi metri ancora e lo avrebbe scoperto.
La luce filtrava da dietro delle sbarre. Il monitor di un pc illuminava l’ultima cosa che si sarebbe aspettata di trovare là sotto, un open space di almeno dieci metri per dieci arredato nei vari ambienti: cucina, camera da letto, salotto. Una sorta di prigione molto comoda.
Udì dei passi arrivare da quello che doveva essere il bagno.
– Qualcuno è arrivato finalmente.
– Dorian? Ma… la voce.
Si trovò di fronte Dorian Dum, a un passo di là dalle sbarre. Diana si avvicinò di più, per vedere meglio, per togliersi ogni dubbio.
– Sei una donna, ma come è possibile? – disse Diana sorpresa. – Non fa nulla. – si scosse – È una cosa che vedremo dopo, ora devo liberarti.
Dorian Dum tacque.
La prigione sembrava non avere né porte, né serratura, né cardini. Diana provò a saggiarne la consistenza, afferrando due sbarre a caso.
Quel gesto così istintivo sembrò far scattare un meccanismo infernale. Senza che Diana quasi se ne accorgesse, un’intera sezione della cancellata ruotò su se stessa scambiando di posizione lei e Dorian Dum.
Tutto era accaduto in frazioni di secondo. Ogni singola sillaba restò annodata nella gola di Diana.
Lo sguardo terrorizzato andava da un angolo all’altro della cella in cerca di una risposta, di un’unica piccola motivazione che spiegasse quell’incubo.
Solo una frase giunse dall’altra parte delle sbarre.
Parole tanto incredibili quanto terrificanti.
– Ora sei tu Dorian Dum.
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