"E' che tu non dai mai abbastanza importanza ai miei particolari" di Maria Teresa Bucco


 

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Come tutte le stazioni di periferia, quella di Lambrate è un posto che sa di muffa anche quando non piove. Il lunghissimo corridoio che collega i binari si trova sotto il passaggio dei treni; a parte pochi monitor di servizio, non c’è niente che copra le pareti color senape sporco. Le voci e i passi della gente, il rotolare dei trolley che copre il marmo scassato del pavimento, risuonano con un eco sinistro a qualunque ora del giorno.

Lui viene di corsa, con una valigia enorme che trascina con forza; avrà cinquant’anni ma è snello e atletico, ha l’aria sciatta in un modo ricercato, che fa pensare a un docente universitario o a un musicista. Lei è molto più giovane, carina ed elegante. Lo segue a pochi passi ma sembra che fatichi a stargli dietro, o forse ha calcolato bene la distanza, in modo da costringerlo a rallentare per sentire cosa gli dice a bassa voce:

– Io non ci vengo!

– Smettila, risponde lui secco e senza nemmeno girarsi.

Anche lei ha una valigia, ma più piccola, morbida e colorata, perfetta come bagaglio a mano. I tacchi delle scarpe lucide creano sul marmo un effetto sonoro che sovrasta tutti gli altri rumori. I passi sono corti, trattenuti dalla gonna stretta che spunta sotto una giacca in lana cotta color prugna dal taglio sportivo.  A tracolla porta una borsa dai disegni animalier.

– Lasciamo perdere, non ha più senso partire, insiste piagnucolosa

–  Perché fai così? Le dice lui girandosi di scatto, e poi riprende a correre.

Lei ogni tanto si ferma e poi riprende a seguirlo. Ora lui è in corrispondenza del binario tre, quasi alla fine del corridoio. Vicino alla scala che porta su c’è una pozza che dall’odore potrebbe essere urina. Lui la evita e sale sul primo gradino, poi si ferma e l’aspetta. La guarda senza amore: anche lui vorrebbe essere altrove, la magia della vacanza è spenta e a questo non c’è più rimedio, ma accettare di non partire adesso equivarrebbe a darle ragione, ad avvicinarsi in qualche modo a lei. No, meglio farle pagare tutti i giorni un po’ di rancore, piuttosto che assecondarla in qualche modo.

Lei si avvicina,  coglie il suo sguardo e si spaventa. Ha tirato troppo la corda, lo ha fatto infuriare, ora bisogna recuperare in qualche modo. Voleva ottenere la prova della sua abnegazione, voleva che lui la implorasse, che le dimostrasse di essere pronto a tutto pur di non perderla. Di colpo si ritrova a pensare che forse non è così, lui potrebbe fare a meno di lei, magari ha già elaborato il disegno mentale del dopo: un’altra donna meno bella ma più colta, una cerchia di amici che lei onestamente non potrebbe sostenere, serate tranquille a leggere e ad ascoltare la musica classica che tanto gli piace e che lei detesta. E lei? Cerca di immaginarsi la fine della loro relazione e vede solo banalità. Lui ha creato una distanza abissale tra il disimpegno di cui lei si circondava prima e una nuova vita interiore che ha preso forma da quando lo frequenta, e che si  riflette in abitudini nuove e brillanti che la fanno sentire al centro di qualcosa di solido e importante: non più serate in discoteca ma vernissages di mostre d’arte, non più film di cassetta ma opere di cui discutere, non più week end al mare per prendere il sole con le amiche ma viaggi di scoperta per incontrare scrittori giornalisti artisti che lui deve intervistare. Rinunciare a tutto questo sarebbe deprimente e solo l’idea le da la nausea. Rinunciare a lui? No, è un pensiero insopportabile, non le rimarrebbe niente: le vecchie amicizie le sembrano roba inutile, non si divertirebbe più e non sarebbe spiritosa, come quando si torna da un lungo viaggio che un po’ ti ha trasformato, e invece gli altri sono sempre così come li hai lasciati. Non è la prima volta che le sembra di averlo in pugno e lui le sfugge, ma oggi ha davvero paura .

Adesso è lei che chiede con tono di sfida cercando di non piangere:

– Perché fai così’?

Ma i continui annunci delle partenze da qui sono troppo forti,  lui non la sente e riprende a salire trascinando la valigia contro i gradini. Quando entrambi sono in cima, lui le dice:

– Non ne posso più dei tuoi capricci, riesci sempre a rovinare qualunque cosa. Ma forse non è colpa tua, forse sei solo stupida.

Non lo dice d’istinto, ci ha pensato su bene, voleva dirle una cosa cattiva, voleva farla a pezzi. Una così si può solo scopare, e poi bisogna ucciderla prima che sia troppo tardi, prima di ritrovarsi schiavi delle sue continue intemperanze, prima di giustificarla per abitudine, prima di attaccarsi troppo al suo odore, prima di arrivare a guardarla pensando che è la più bella donna della stanza, del ristorante, della città. Perché bella è bella e bisogna anche riconoscere che il broncio le dona. Quando è arrabbiata tutto in lei si accentua: le labbra sono più rosse, gli occhi più neri e i capelli si gonfiano. Quando è arrabbiata è un animale e ti guarda in un modo che ti paralizza. Ma non bisogna farsi incantare, bisogna colpire più forte, farle male, farla piangere.

Lei invece lo guarda e gli sorride.

– Scusa, gli dice con una leggera malizia negli occhi, hai ragione, è che tu non dai mai abbastanza importanza ai miei particolari.

Particolari?  Il colore dello smalto delle unghie dei piedi? La nouance della borsa da intonare alle scarpe? L’oroscopo del giorno?

Non resta molto tempo, bisogna decidere, il treno è un puntino nero in lontananza ma tra pochi minuti sarà davanti a loro con le porte aperte. Lui non ha più neanche idea di quali particolari lei stia parlando, sa solo che per qualche motivo lo ha esasperato, ha tirato fuori il suo lato peggiore, a lui che è un teorico delle buone maniere, l’ultimo dei galantuomini, cavaliere fin nel midollo. Basta. Ora si trova con questa piccola donna insopportabile sulla pensilina liberty, il cielo grigio e l’aria umida,  e sa che la decisione spetta a lui. L’idea della settimana nelle Marche era sua e l’aveva organizzata al dettaglio:  il viaggio in treno per poter leggere e lavorare al pc, l’agriturismo con i cavalli che avrebbero provato entrambi per la prima volta, il mare vicino per prendere il sole almeno mezza giornata come piace a lei, le visite a Camerino, Fossombrone, Recanati, Offida,  accuratamente pianificate per stupirla, la cena prenotata alla Madonnina. Vuole davvero rinunciare a tutto questo? La cosa migliore sarebbe lasciarla lì e partire da solo, svolgere il programma senza di lei, in solitudine, godersi il cavallo, le città, il ristorante stellato, evitare il mare e fare mattino con un bel libro per compagno.

– Non abbiamo fatto colazione, dice lei come se niente fosse, troveremo almeno un caffè sul treno?

Troveremo? Ecco, lei ha già deciso, e sembra quasi che stia per ridere con quegli occhietti vispi di topolino e le fossette sulle guance arrossate per la corsa e per la collera. Niente solitudine, il treno è lì e loro sono già saliti, lei per prima e lui dietro a tirare su il valigione. Nelle città medievali  si fermeranno soprattutto davanti alle vetrine,  passeranno un tempo smisurato in spiaggia e lui si sentirà male quando lei alla Madonnina ordinerà solo un’insalata scondita.

Trovano uno scompartimento vuoto e si siedono una di fronte all’altro. Lei apre la borsa e ne estrae un libro che gli porge.

– Ho visto che leggevi questo, ho fatto bene a prenderlo?

Si, ha fatto bene, nella confusione della partenza l’aveva dimenticato. E’ l’ultimo lavoro di uno scrittore che dovrà intervistare al ritorno dalla vacanza, un volume appena pubblicato e non ancora distribuito, impossibile da reperire in libreria. La guarda cercando di non sembrare troppo riconoscente. Lei ha incrociato le mani sulla gonna, le unghie perfettamente laccate di rosa antico, lo stesso colore della sciarpa che ha drappeggiato in un modo tutto suo sulla giacca viola.

La guarda e pensa che, a modo suo, anche lei è un’artista.


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