"Poliantea" Di Massimo Tallone


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Poliantea ha ottenuto il Premio Nazionale “Una favola al castello” per il 1987.

Un giorno la parola PRINCIPE montò in groppa alla parola CAVALLO e fece un lungo giro dentro il dizionario. Vide molte parole nuove, ne salutò altre che non vedeva da tempo e improvvisamente si fermò di fronte alla bellissima POLIANTEA. Abbagliato dalla bellezza di quella parola, il Principe le si avvicinò e chiese di poterle fare compagnia. Ma Poliantea non rispose. Allora il Principe notò che Poliantea era pallidissima, le sue lettere non erano brillanti e nere come quelle delle altre parole, ma esangui, come svuotate d’inchiostro, di forza.
– Poliantea, Poliantea – esclamò il Principe, e ancora una volta Poliantea rimase muta.
– Non vedi che sta morendo? – gli gridò di lontano la parola POLENTA, grassoccia ed energica.
Il Principe trasalì. Come poteva essere? Non poteva lasciare morire così quella parola bellissima.
E in quel momento il Principe capì di essersi innamorato. Salì in sella e galoppò fino alla regina delle parole, che dimorava poco lontano da Poliantea.
La parola PAROLA era seduta sulla parola TRONO, e sulle sue dita brillavano come mille stelle le parole DIAMANTI e ORO. Il principe si avvicinò alla regina, si inginocchiò posando la fronte sulla parola PAVIMENTO e disse:
– Mia regina, brucio d’amore per Poliantea, ma Poliantea è pallida, come morta, e non risponde ai miei richiami. Dobbiamo salvarla, mia Regina.
– Nobile Principe – rispose la parola PAROLA con voce pastosa e quasi incomprensibile – è giunta voce… gneu… voce… anche a me che Poliantea sta morendo… gneu… e come lei molte altre parole… Io purtroppo non posso fare niente per queste mie povere figliole… gneu… non posso uscire dal dizionario. Tu… gneu… tu però puoi fare qualcosa… devi superare le tre prove… gneu…gneu…
A questo punto la regina smise di parlare, si guardò attorno con aria svanita, come se avesse improvvisamente perso il filo del discorso, biascicò qualche stentato suono sotto lo sguardo del Principe e si addormentò.
– Quali prove? Quali prove devo superare, mia regina? – gridò il Principe nel tentativo di risvegliare la parola PAROLA.
– Prove? – riprese la regina sobbalzando. – Già, le prove… gneu. Sono prove molto difficili. La prima… gneu… è questa: devi far nominare la parola POLIANTEA a un bambino di dieci anni… Sì. Poi… gneu… c’è la seconda prova… la seconda prova… ecco: devi convincere un poeta a inserire nel titolo di un suo libro la parola POLIANTEA.
La regina tacque. La parola CORONA le scivolò dalla testa e rotolò sulla spalla.
– E la terza prova? – urlò il Principe.
– E’ la più difficile… gneu… – sussurrò la regina in un soffio stanco. – Dovrai farla pronunciare a un muto… gneu… Sì, un muto dovrà pronunciare la parola POLIANTEA.
– Un muto? – gemette il Principe. – Ma è impossibile…
– Te l’avevo detto… gneu… che… che era la prova più difficile – sospirò la regina. – Gneu… Ma è l’unico modo per risvegliare… gneu… Poliantea. Sì… gneu… è l’unico modo per risvegliarla. Devi superare le tre prove… Solo in questo modo… gneu… lei tornerà, e tu con lei. Addio… gneu.
La parola PRINCIPE lasciò la regina con la morte nel cuore. Non avrebbe mai superato le tre prove, e Poliantea sarebbe morta. Un lessicografo avrebbe messo una crocetta davanti alla sua amata nella successiva edizione del dizionario, e in quella seguente un suo successore avrebbe cancellato del tutto la bellissima Poliantea. Tuttavia, lo scoramento del Principe non durò molto. Ritrovò coraggio e partì al galoppo verso l’inizio del dizionario, da dove sarebbe uscito per buttarsi nel mondo: le tre prove lo attendevano. Avrebbe dato la vita per Poliantea.
Correva fra i lemmi come sospinto dal vento, saltò la parola OSTACOLO, evitò la parola NEMICO, aggirò le sirene della parola MUSICA, ma all’improvviso gli si parò innanzi la parola MURO. Il Principe non ebbe il tempo di tirare le redini, cozzò contro il Muro e cadde sulla pagina. Si rialzò intontito e osservò il Muro. Come poteva trovarsi lì? Lui aveva già superato quella zona, ricordava benissimo di avere eluso l’ipnotico Laudano e, poco prima di cadere tramortito, aveva aggirato la parola GRANITO. Ma proprio in quel momento la parola FILTRO si avvicinò al Principe.
– E tu chi sei? – chiese stupito il Principe mentre aiutava la parola CAVALLO a rialzarsi.
– Sono il Filtro – fu la risposta – e ti chiedo scusa… Sono stato io a mettere il Muro qui. Non avevo altro modo di fermarti, correvi troppo forte. E avevo bisogno di parlarti. Ho saputo che vai nel mondo e che ti aspettano le tre prove per ridare la vita a Poliantea.
– E come lo sai? – disse il Principe.
– Tra noi le parole corrono – rispose il Filtro con aria enigmatica. – Si è saputo molto presto del tuo coraggioso tentativo.
– Coraggioso? Perché coraggioso? – chiese il Principe.
– Perché le prove sono molto difficili, e se non le supererai Poliantea sparirà e tu stesso non potrai tornare fra le parole. Vagherai per sempre sulla terra.
– Io? Ma questo la regina non me l’ha detto – strillò il Principe.
– Già, lei è sempre così assonnata – sentenziò il Filtro. – Ma vedi, alla regina non dispiace se le parole muoiono. Ho il sospetto che il suo sogno sia quello di esistere lei sola, l’unica parola, la Parola. Cosicché ha stabilito queste regole terribili: se una parola vuole salvare un’altra parola deve superare le tre prove, e se non ci riesce se ne resta fuori, nel mondo delle cose.
– E ora che faccio? – piagnucolò il Principe.
– Càlmati – continuò il Filtro. – Ti ho fermato proprio per questo. Ho preparato per te un filtro magico. Lo ho composto raschiando leggermente la superficie delle parole GHEPARDO, ANTILOPE e GAZZELLA. Ho poi sciolto la polverina in un liquido ottenuto con la parola NOME, la parola che riporta fra le parole. Ecco la boccetta. Se non supererai le prove berrai la sostanza e potrai rientrare rapido fra le parole prima che il magico potere della Parola ti chiuda ogni porta.
– E Poliantea? – chiese il Principe.
– Se berrai il filtro lei morirà. Devi usarlo soltanto quando sarai sicuro di non poter superare le prove – rispose il Filtro scomparendo.
Il Principe serrò in una tasca della parola MANTELLO la boccetta e ripartì alla volta del mondo.
Fu un volo.
Pieno di speranza, il Principe si ritrovò nel mondo, ma qui non sapeva che fare, come comportarsi. Poi si ricordò di essere una parola e si lasciò trasportare, come un relitto dalle onde, passando da una bocca all’altra, da una frase detta ridendo a una chiacchiera fra amici. Si trovò là ovunque venisse nominato, fino a che un bambino di dieci anni, intento a leggere una fiaba, staccò gli occhi dal libro, guardò fisso nel vuoto e ripeté tre volte:
– Un principe… un principe… un principe.
Il Principe corse tre volte sulle labbra del bimbo e subito dopo si ritrovò nei suoi pensieri. Cavalcava un cavallo bianco, e un lungo mantello rosso gonfiato dal vento scaturiva dal suo collo come un’ala scarlatta.
– Dove vai, giovane principe? – chiese il fanciullo al Principe che volava nella sua mente.
In quel momento il Principe capì che doveva agire.
– Vado a salvare la bellissima Poliantea – gridò il Principe.
– Poliantea? – domandò il bimbo ad alta voce. – Chi è Poliantea?
– Poliantea è una parola – gridò il Principe prima di sparire in un bosco.
Il fanciullo si addormentò. Quando si svegliò ricordò il Principe e Poliantea, e si chiese perché il Principe gli avesse detto che Poliantea era una parola. Si avvicinò al suo tavolo di studio e vi trovò il dizionario, che aveva consultato il giorno prima e sul quale aveva cercato il significato di dieci parole, per ordine dell’insegnante. Il dizionario era aperto alla P, e in quella stessa pagina il bimbo vide Poliantea, ne lesse il significato e più volte, alto, ripeté il nome dell’amata dal Principe.
Il Principe intanto era già stato su mille bocche, aveva traversato città e varcato fiumi. La seconda prova lo aspettava. Ma dove trovare un poeta? Vagava senza meta. Soltanto il caso poteva portarlo da un poeta. Ma, una sera, il Principe capitò sulla bocca di un barista che lo aveva nominato per definire chi sa quale aperitivo. Un momento dopo, il barista appellò un avventore chiamandolo poeta. Il Principe sussultò. Pregò fra sé che il poeta lo nominasse, così da poter andare sulle sue labbra e di lì, forse, nei suoi pensieri, attraverso i quali avrebbe poi tentato di superare la prova. E per fortuna il poeta nominò il Principe, rispondendo al barista. Da quel momento, senza volerlo, il poeta pensò alla parola PRINCIPE.
Nella mente del poeta, il Principe assunse mille facce, si camuffò in tutte le parole da cui derivava e che da lui derivavano. Con fatica, e non senza dolore, si trasformò nei suoi sinonimi, fino a che il poeta, affascinato dalla plasticità dei sinonimi, afferrò la raccolta di poesie che aveva appena concluso, cancellò dalla prima pagina la parola ANTOLOGIA, che era il titolo della sua opera, e vi scrisse POLIANTEA.
Il Principe esultò, mentre già un’altra bocca lo chiamava. Le prime due prove erano compiute, ma della terza, la più difficile, proprio non vedeva la soluzione. Un muto non poteva certo pronunciare il suo nome. E come poteva, dove poteva incontrare un muto?
– Devo riuscirci – disse a se stesso il Principe. – Poliantea sta già rivivendo, il fanciullo e il poeta l’hanno rinvigorita. Non può morire proprio adesso.
Ma come si può riuscire a fare parlare un muto? E come arrivare fino a lui? E poi, le labbra del muto non potevano nominarlo. Decise di aspettare. Alle parole non manca il tempo, pensò. Il caso l’aveva portato fino al poeta, e forse allo stesso modo sarebbe arrivato nei paraggi di un muto. Poi ci avrebbe pensato.
Il viaggio del Principe ricominciò. Dalle città ai paesi, dai monti al mare, ovunque, in ogni istante, c’era qualcuno che lo nominava. Ed ecco che, un mattino, il Principe si trovò in un villaggio nel quale viveva un muto. Tutti gli abitanti del villaggio lo amavano, e lo chiamavano ‘il principe’ perché vestiva abiti luccicanti, portava mantelli neri e aveva sempre in testa una feluca. Tutti amavano il principe muto, tutti gli davano da mangiare, e gli davano da bere.
La parola PRINCIPE capì che quella era la sua occasione.
La parola PRINCIPE si appostò nel villaggio.
D’improvviso fu nominato da una donna che stava preparando una bevanda fresca e colorata. Il Principe corse sulle sue labbra. Poi la donna scrisse su un foglio la frase: “Per il principe”. In quell’istante, il Principe si lasciò cadere sul foglio, cosicché la parola PRINCIPE si sovrappose alla parola ‘principe’. Infine, la donna depose sul davanzale della finestra il bicchiere a fianco del foglio.
– Devo fare in fretta – disse il Principe. – Ora la vita di Poliantea dipende da me. Che fare? Che fare?
Di lontano, saltellando, stava arrivando il principe nei suoi abiti multicolori.
– Non ho altra scelta – decise il Principe. – Verserò il filtro nella bevanda. La pozione è composta anche dalla parola NOME. Può darsi che la sua magìa faccia parlare il muto. Ma se così non fosse io non potrei più tornare fra le parole… Non importa. Devo tentare tutto per salvare Poliantea. Se il muto non parlerà moriremo insieme, io e Poliantea, parole dimenticate cacciate nel limbo del silenzio.
Fulmineo, il Principe versò la pozione nel bicchiere.
Rapido, il principe bevve la bevanda.
Passò un minuto. Il principe muto restò immobile. Poi prese il foglietto e lesse ad alta voce:
– Per Poliantea.
Poi si guardò intorno. Non credeva alle sue stesse orecchie.
– Posso parlare, posso parlare – gridò. – Ma chi è Poliantea?
E nuovamente guardò il foglietto, e lesse:
– Per il principe. Che strano, poco fa mi è sembrato di leggere ‘Poliantea’. Ma che importa. Posso parlare. Posso parlare.
E fece dieci capriole sulla strada.
La parola Principe si riprese poco dopo. Si era contorto all’inverosimile, aveva modificato le sue lettere tirandole in tutti i modi per formare la parola POLIANTEA. Aveva provato i più lancinanti dolori, in quegli attimi, e aveva avuto voglia di piangere e di urlare, per il dolore provato dalle sue lettere in quello sforzo di torsione, ma ce l’aveva fatta. Aveva superato anche la terza prova.
Volò dentro il dizionario, raggiunse Poliantea e si inginocchiò davanti a lei. Poliantea si era risvegliata, fra le sue lettere correva un’energia nuova. Il Principe la prese per mano, la issò sulla parola CAVALLO, e insieme corsero per il dizionario, facendo festa con altre mille parole amiche.
Poliantea e il Principe vivono ancora adesso, nel dizionario, e quando noi le guardiamo ci paiono ferme. Ma non è vero. Volano spesso dai bambini, dai poeti, dai muti.


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