"Un giorno come un altro…nel Valhalla" di Elisabetta Miari


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“Sto male Padre.”
Brunilde accasciata ai piedi di Odino solleva la testa con sguardo implorante, incrociando i suoi occhi, che lampeggiano gonfi d’ira e di dolore.
“Ti avevo avvertita, non avresti mai dovuto farlo, sei una Valchiria e il mio sangue scorre nelle tue vene. “
Brunilde scoppia un pianto disperato, il pianto degli umani, che aveva amato con tutta se stessa e che d’ora in avanti sarebbero stati i suoi unici compagni.
“Padre, ho solo amato un uomo, come tu hai fatto con mia madre… e per questo devo diventare completamente mortale e uscire dal Valhalla?”
Odino batte con rabbia il suo bastone sulla pietra, mentre ripensa al momento di debolezza che a sua volta aveva avuto anche lui,  anni prima, con la madre di Brunilde, Greta, un’umana  bellissima.
Ricorda ancora i suoi occhi la prima volta che la vide, quello sguardo così vulnerabile, di chi sa che un giorno morirà.
Odino l’aveva amata appassionatamente, tenendola  nascosta alla sua famiglia e a tutti gli Dei del Valhalla, che l’avrebbero condannato per questo. Non era per paura di perdere  il suo potere, lui era Alivater, il padre di tutti gli Dei, bensì qualcosa di molto più importante ai suoi occhi:  la stima della sua stirpe e di tutti coloro che guardavano a lui come alla perfezione.
E così, quando nacque Brunilde, lui le nascose nella foresta oscura, dove  quasi tutte le notti andava a trovarle, portando loro selvaggina e altri generi di conforto.
Con il passare degli anni Odino si attaccò sempre più alla sua famiglia clandestina: amava Greta e  Brunilde più di quanto avesse mai amato sua moglie Frigg e suoi figli, Thor incluso.
Sapeva di aver peccato e in un certo senso si sentiva anche in colpa, specie quando era chiamato a giudicare gli sbagli altrui e a stabilire una pena per questi, ma il fatto di averla fatta franca, di non aver pagato le conseguenze delle sue azioni e che il suo buon nome fosse ancora intatto, negli anni lo aveva tranquillizzato.
Quando Brunilde diventò donna, in virtù della sua metà immortale, Odino fece di lei una Valchiria. Così poteva tenerla vicina, senza destare sospetti e guardare la sua bellezza e il suo coraggio crescere ogni giorno di più.
Quando Greta morì, Odino tirò un sospiro di sollievo: era finalmente sparita la prova vivente della sua unione con una mortale.
Tutto perfetto dunque, il suo regno, il suo nome e la sua adorata Berenice vicino a lui.
Fino a quel momento.
Poi arrivò Sven, con il suo sorriso bello come l’alba nel Valhalla e quegli occhi del colore del mare del Nord. Un soldato valoroso, un uomo probo.
Brunilde lo vide un giorno che era scesa sulla terra per accompagnare nel Valhalla l’anima di un grande guerriero amico di Sven, morto valorosamente in battaglia.
Rimase a osservare Sven mentre piangeva sulla salma dell’amico, incurante di tutti, anche della sua presenza: quelle lacrime le entrarono nel cuore, cristallizzandosi.
Quando lui alzò gli occhi e la vide, Brunilde capì che era troppo tardi, che non  sarebbe mai più riuscita a non pensare a quegli occhi, anche se con tutta probabilità sarebbero stati la sua rovina.
Si amarono quindi, in modo folle e appassionato, in tutti i luoghi della terra nascosti agli occhi degli Dei, per anni, che a loro sembrarono brevi come mesi. L’amore faceva vibrare i loro corpi e le loro anime all’unisono. Mai passione clandestina fu più intensa della loro e non vi fu un solo istante di mancanza di desiderio.
Finché un giorno Thor, impegnato in una battuta di caccia, li vide e riferì al padre della loro unione, sapendo il debole che questi aveva per la ragazza, pur ignorandone la ragione. Si sarebbe sbarazzato di quell’inutile Valchiria sempre tra i piedi.
La legge del Valhalla è spietata: nessun contatto carnale con gli umani, pena l’espulsione. Bisogna preservare l’unicità degli Dei, non imbastardirla e impoverirla così, se si vuole continuare a guardare il mondo dall’alto, non portandone i segni.
Brunilde ha paura, è disperata, implora il padre di non farlo perché l’incognita che la terra ora rappresenta per lei la terrorizza.
Anche invecchiare presto e morire come sua madre la spaventa. L’unica consolazione è il pensiero di Sven, di passare tutte le notti con lui, anche se poi moriranno, forse lui prima di lei, ma che importa chi se ne va per primo, la cosa terribile è dover  morire.
Ma ancor più disperato di lei è Odino: in questa condanna che deve emettere davanti a tutti gli Dei del Valhalla, vede punita anche la sua colpa mai scoperta e vive l’allontanamento della sua adorata figlia come un castigo del destino che alla fine giunge postumo e inaspettato.
Pensava di averla fatta franca, ma la punizione è arrivata lo stesso alla fine, più dura di quanto avrebbe mai potuto essere allora.
Non si scappa alle leggi del destino, per ogni maiale viene sempre il suo sabato.
E.M.

 


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